Al Jazeera.com
27.09.2012
http://www.aljazeera.com/indepth/opinion/2012/09/201292763735378417.html
Salam Fayyad, la Banca Mondiale e la partita di Oslo.
La maggior parte degli analisti palestinesi sostiene che gli Accordi di Oslo sono responsabili del collasso dell’economia palestinese
di Neve Gordon
Mossi dagli aumenti di prezzo del gas, decine di migliaia di conducenti palestinesi di taxi, di autocarri e autobus in Cisgiordania hanno osservato una giornata di sciopero, bloccando di fatto le città. Questo, come Al Jazeera ha riferito, è stato il culmine di diversi giorni di proteste, in cui migliaia di palestinesi, frustrati dalla crisi economica in Cisgiordania, sono scesi in piazza. Dopo che questi manifestanti hanno costretto alla chiusura gli uffici del governo, il primo ministro Salam Fayyad ha deciso di diminuire i prezzi del carburante e di tagliare gli stipendi dei dirigenti dell'Autorità palestinese, nel tentativo di placare i suoi elettori arrabbiati.
Il primo ministro Fayyad, un ex dirigente del FMI, sa senza dubbio che sia la sua precedente decisione di aumentare i prezzi del gas così come la sua recente decisione di diminuirli non avrà alcun effetto reale sulla crisi economica incombente. Relazione dopo relazione hanno documentato la completa dipendenza dell'economia palestinese dagli aiuti stranieri, mettendo in evidenza la situazione di estrema povertà e l'insicurezza alimentare cronica che affligge la popolazione. Tutte queste relazioni suggeriscono che l'occupazione israeliana è la responsabile della debacle economica, sollevando la questione cruciale del perché l'ira dei palestinesi sia diretta contro Fayyad, piuttosto che contro Israele.
La chiave di questo enigma si trova nel capitolo mancante di un rapporto che Banca Mondiale ha pubblicato appena una settimana dopo che le proteste si erano placate. Avvertendo che la crisi fiscale in Cisgiordania e Striscia di Gaza sta peggiorando, la Banca mondiale ha accusato il governo israeliano per il mantenimento di uno stretto controllo su oltre il sessanta per cento della Cisgiordania, negando ai palestinesi l'accesso alla maggior parte dei terreni coltivabili della zona così come limitando il loro accesso all'acqua e ad altre risorse naturali.
Sorprendentemente, gli economisti che hanno redatto il rapporto evidenziano l'impatto delle gravi restrizioni israeliane sulla terra palestinese, ma non dicono nulla sulla politica economica. Essi sembrano suggerire che se solo fosse stato permesso al processo di Oslo di andare avanti allora l'economia palestinese non sarebbe in condizioni di così grave crisi. Perciò essi non menzionano l'effetto dannoso del Protocollo di Parigi, l'accordo transitorio israelo-palestinese del mese di aprile 1994, che regola gli accordi economici di Oslo.
È interessante notare che i tre documenti fondamentali che Fayyad ha pubblicato da quando ha iniziato il suo mandato come primo ministro palestinese - piano di riforma e di sviluppo a partire dal 2008, la fine dell'occupazione e la creazione di uno Stato a partire dal 2009, e la dirittura d'arrivo verso la libertà dal 2010 - non riescono a mettere in discussone l'effetto soffocante che il Protocollo di Parigi ha avuto sull'economia palestinese.
Attraverso 35 pagine - al contrario delle mille pagine del NAFTA - questo accordo economico riproduce la sottomissione palestinese a Israele, mentre mina la possibilità stessa della sovranità palestinese. Il principale problema dell'accordo, come gli economisti israeliani Arie Arnon e Jimmy Weinblatt hanno sottolineato più di un decennio fa, è che si stabilisce un'unione doganale con Israele sulla base delle regole commerciali israeliane, permette ad Israele di mantenere il controllo di tutti i flussi di lavoro e vieta ai palestinesi di introdurre la propria valuta, escludendo quindi la loro possibilità di influenzare tassi di interesse, inflazione, ecc
Perché, ci si deve chiedere, il primo ministro Fayyad desidera "migliorare" il Protocollo di Parigi, e perché la Banca Mondiale non ha nemmeno menzionato l'accordo e, non c’è bisogno di dire, le gravi limitazioni che esso impone alla capacità dell'Autorità palestinese di scegliere il proprio regime economico e di adottare politiche commerciali adeguate ai loro interessi?
La risposta ha a che fare con un investimento condiviso e continuo su Oslo.
Il primo ministro Fayyad, la Banca Mondiale e, in effetti, la maggioranza dei leader occidentali percepiscono l'attuale crisi economica nei territori palestinesi come il risultato del collasso del processo di Oslo del 1993. Vorrebbero rimettere in pista Oslo, svilupparlo ed espanderlo. Al contrario, la maggior parte degli analisti palestinesi attualmente sostiene che gli Accordi di Oslo sono da biasimare in quanto responsabili del crollo dell'economia palestinese.
I manifestanti sanno che la frammentazione della Cisgiordania, l'incapacità di controllare i propri confini e la mancanza di accesso ad enormi estensioni di terra (che sono evidenziati nelle relazioni), sono strettamente legati alla insostenibile unione doganale e all'assenza di un moneta palestinese. Queste restrizioni sono tutte parte integrante degli accordi di Oslo e non una loro aberrazione.
Quindi, sarebbe azzardato pensare che i manifestanti palestinesi accusino il Primo Ministro Fayyad per la crisi economica, dal momento che tutti i residenti della Cisgiordania sanno fin troppo bene che la crisi è il risultato dell'occupazione. Sembra quindi ragionevole supporre che essi diano la colpa Fayyad perché continua a giocare la partita di Oslo.
I palestinesi non hanno sovranità nei territori occupati, e tuttavia hanno un presidente, un primo ministro e una serie di ministri che da anni sono in posa come parte di un governo legittimo in un paese indipendente. L'unico modo per porre fine all'occupazione è rinunciare a Oslo, costringere l'Autorità palestinese a smettere di giocare a questo gioco inutile e ad affrontare le sue conseguenze disastrose.
Neve Gordon è l'autore di L'occupazione Israeliana ed è raggiungibile attraverso il suo sito web.
(tradotto da barbara gagliardi)