Counterpunch.org
18.04.2013
http://www.counterpunch.org/2013/04/18/a-hundred-deir-yassin-and-counting/
Un centinaio e oltre di Deir Yassin: Beit Daras e storia dei massacri sepolti.
di Ramzi Baroud
Pochi con un po’ di senso di integrità intellettuale o storica metterebbero ancora in discussione il sanguinoso massacro avvenuto nel villaggio di Deir Yassin, 65 anni fa, che causò la morte di oltre 100 palestinesi innocenti. I tentativi di coprire la strage sono stati sminuiti dagli orrendi particolari forniti da storici di tutto rispetto, tra cui alcuni proprio di Israele.
Anche i racconti forniti da storici come Benny Morris – un ricercatore onesto che ha scelto il sionismo nonostante l’agghiacciante storia che lui stesso aveva scoperto – hanno presentato una versione straziante degli avvenimenti verificatisi in quel giorno: “Intere famiglie furono crivellate di proiettili. Uomini, donne e bambini furono falciati mentre uscivano dalle case; certuni vennero presi da parte e fucilati. L’intelligence dell’Haganah riferì che c’erano cumuli di morti. Alcuni dei prigionieri trasferiti in luoghi di detenzione, tra cui donne e bambini, vennero assassinati brutalmente dai loro carcerieri.”
Furono le milizie sioniste dell’Irgun di Menachem Begin e della Banda Stern (Lehi) comandata da Yitzhak Shamir a prendersi il merito dell’infamia di quel giorno; ed entrambe furono ricompensate generosamente per il loro “eroismo”. I criminali una volta ricercati assursero alla ribalta per divenire in anni successivi Primi Ministri israeliani.
Per gli storici l’importanza del massacro di Deir Yassin oscura spesso fatti rilevanti. Uno tra questi è che Deir Yassin è stato uno dei tanti massacri perpetrati dalle truppe sioniste, comprese le unità dell’Haganah. Un altro è che tale milizie si unirono per costituire congiuntamente le Forze di Difesa Israeliane (IDF) a seguito della dichiarazione ufficiale dell’Indipendenza di Israele del 14 maggio 1948, nonostante le loro ipotetiche differenze durante la conquista della Palestina. David Ben Gurion prese tale decisione il 26 maggio ed ebbe ben poche esitazioni nell’affiancare sia l’Irgun che il Lehi all’Haganah. Non solo avvenne che i leader a commando delle milizie terroriste divennero oggetto di rispetto e godettero di prestigio all’interno della società israeliana, delle forze armate e dell’élite politica, ma gli stessi assassini che avevano massacrato uomini innocenti, donne e bambini vennero riforniti di maggiori armi e continuarono a “servire” e a spargere terrore per molti anni ancora. Un altro fatto spesso trascurato è che ciò che è iniziato a Deir Yassin non è mai finito del tutto. Sabra e Chatila, Jenin, Gaza e molti altri sono solo la riproduzione dello stesso evento.
Ma, negli ultimi 65 anni è emersa e cristallizzata pure un’altra triste realtà. Fin d’allora il diritto a una narrazione credibile venne riservata in gran parte agli storici israeliani. La maggior parte di questi storici, che piaccia o meno, sia che non svolgessero alcun ruolo in questa storia, o che ne fossero essi stessi dei partecipanti attivi, risultarono privilegiati dal suo esito. Ancora, ci sarebbe voluto uno storico israeliano per “scoprire” un massacro palestinese in un certo villaggio in un determinato momento. Per esempio, solo quando il giornalista israeliano Amir Gilat scelse alcuni anni fa di pubblicare sul quotidiano Ma’arive una storia, citando la ricerca per la tesi di laurea dello studente israeliano Theodore Katz, portò a conoscenza dei media occidentali il massacro di Tantura. Poco importava che i discendenti e i parenti delle 240 vittime di quel villaggio desolato che erano state uccise a sangue freddo dalle truppe della brigata Alexandroni, non abbiano mai smesso di ricordare i loro cari. Un “massacro” è un massacro solo quando viene riconosciuto svogliatamente da uno storico israeliano, non importa quanto tempo ci voglia perché riaffiori questa ammissione.
Anche gli storici palestinesi, almeno quelli che sono tenuti ad attenersi alle regole dei media e delle università occidentali, si trovano a prendere in prestito per lo più dalle fonti israeliane, che ingigantiscono gli scrittori israeliani e celebrano gli storici israeliani che apparentemente sono più affidabili di quelli palestinesi. Logica vuole che un racconto israeliano compassionevole conquisterebbe un maggior consenso da parte del pubblico americano o britannico di quello di un palestinese, anche se lo storico palestinese aveva vissuto l’evento e ne aveva sperimentato ogni cruento dettaglio.
Per la narrativa palestinese è una farsa vivere di analogie prese a prestito, di storie e di storici presi in prestito per godere di un briciolo di credibilità. Questa è solo la punta di un iceberg e il problema conduce molto più in profondità.
Nel mio ultimo libro: Mio padre è stato un combattente per la libertà. Storia taciuta di Gaza, ho tracciato un resoconto dettagliato del massacro di Beit Daras quando decine di abitanti di quel villaggio coraggioso che si trova nel sud della Palestina vennero freddati dalle truppe dell’Haganah solo una settimana dopo che gli abitanti di Deir Yassin erano stati massacrati in modo analogo. Beit Daras è il villaggio da cui la mia famiglia fu espropriata per sopravvivere in un disagiato campo profughi di Gaza.
Sebbene Beit Daras fosse situato nella parte nord orientale del distretto di Gaza nel sud della Palestina, era all’ordine del giorno della leadership sionista fin dai primi mesi della conquista. Il piccolo villaggio era uno dei pochi villaggi e città condannate alla distruzione dall’Operazione Nachshon e Harel finalizzata a separare completamente la regione di Jaffa-Gerusalemme. La guerra per Beit Daras cominciò presto, dato che tra il 27 e 28 marzo 1948 cominciarono i pesanti bombardamenti che uccisero 9 abitanti del villaggio e distrussero ampie aree a coltura.
Diversi tentativi di scacciare i resistenti del villaggio erano falliti. Quella che è risultata essere l’ultima battaglia si è svolta a metà maggio. A quel tempo, Um ‘Adel e Um Mohammed erano due giovani di Beit Daras. Ora, donne anziane del campo profughi di Khan Younis a Gaza, mi hanno aiutato a collegare alcuni dei pezzi relativi a ciò che accadde quel giorno. nel mio libro su Gaza ho tenuto conto dei loro racconti storicamente coerenti. Ecco alcuni stralci:
Um ‘Adel ricorda: “Dato che si stava diffondendo la notizia del massacro di Deir Yassin e con essa un sacco di paura, venne detto alle donne e ai bambini di andarsene. Ci venne raccontato che gli ebrei non solo massacrano la gente, ma che stuprano le donne. Si dovevano mandare via le donne, ma gli uomini non se ne sarebbero andati. Ma così molti di loro rimasero uccisi. Gli uomini combatterono da leoni e molti furono uccisi, tra cui Abu Mansi Nassar e i suoi due fratelli, Ali Mohammed Hussain al-Osaji e quattro giovani di al-Maqadima.”
Um Mohammed ha approfondito: “La città era sotto i bombardamenti ed era circondata da tutte le parti. Non c’era via d’uscita. Avevano circondato il tutto, dalla direzione di Istud di al-Sawafir e da ogni parte. Si voleva cercare una via d’uscita. Gli uomini armati ( i combattenti di Beit Daras) dissero che sarebbero andati a controllare la strada per Istud per vedere se era aperta. Avanzarono e spararono alcuni colpi per vedere se qualcuno rispondeva al fuoco. Nessuno lo fece. Ma loro (le forze sioniste) se ne stavano nascoste in attesa per tendere un’imboscata alla gente. Gli uomini armati tornarono e dissero di evacuare le donne e i bambini. La gente uscì (compresi) coloro che si erano raccolti nella mia casa enorme, la casa di famiglia. In essa c’erano per lo più bambini e ragazzi.
“Gli uomini ritornarono e dissero, ‘la strada per Istud è aperta, evacuate la gente’. Gli ebrei lasciarono che le persone uscissero e poi le attaccarono con bombe e raffiche di mitra. Fu più la gente che cadde di quella che fu capace di fuggire. Io e mia sorella cominciammo a correre attraverso i campi, cademmo e ci rialzammo. Mia sorella ed io scappammo insieme tenendoci l’un l’altra per mano. Coloro che presero la strada principale e quelli che andarono attraverso i campi vennero uccisi o feriti. Il fuoco si abbatteva sulla gente come sabbia. Le bombe da un lato, le mitragliatrici dall’altro. Gli ebrei erano su una collina; c’era una scuola e una cisterna d’acqua per la gente e la verdura. Fecero piovere addosso alla gente raffiche di mitraglia. Un mucchio di persone morì o venne ferita.
Ma molti combattenti rimasero a Beit Daras. Neppure un massacro avrebbe indebolito la loro determinazione. I feriti vennero raccolti in molte case, ma con una scarsa assistenza medica sulla quale poter contare. Alcuni dei morti vennero sepolti in fretta. Molti altri erano irraggiungibili, sdraiati al sole in mezzo ai primaverili campi in fiore.”
Ramzi Baroud è redattore di PalestineChronicle.com. E’ l’autore di Seconda Intifada palestinese: cronaca di una lotta popolare e Mio padre era un combattente per la libertà: storia taciuta di Gaza. (Pluto Press, London).
(tradotto da mariano mingarelli)