Il discorso improbabile di Netanyahu

Internazionale n.1010
26 luglio/1 agosto 2013

Le opinioni

Il discorso impossibile di Netanyahu

di Gideon Levy – Ha’aretz

Nel mio sogno vedo Benjamin Netanyahu tenere il discorso della sua vita, che poi sarebbe il discorso della nostra vita. Ringraziando il segretario di stato americano John Kerry per i suoi sforzi e il presidente palestinese Abu Mazen per la sua disponibilità, Netanyahu annuncia la fine della paralisi israeliana e lancia un’impostazione completamente nuova, un nuovo Netanyahu, e ancor di più: un nuovo Israele.

                    

 

Cartello: 3° intifada                                        Cartello: nuovo quartiere ebraico a
                                                                                          Gerusalemme Est 

Abu Mazen: Soltanto la prima pietra                Netanyahu: Soltanto la prima pietra

 

Il nuovo Israele farà subito, senza precondizioni, una serie di passi generosi per creare fiducia. Il nuovo Israele annuncerà in anticipo – sì, in anticipo! – tutti i passi che sarà disposto a fare al termine delle trattative. Questa novità inattesa coglierà di sorpresa i palestinesi e la comunità internazionale: dove sono finiti i tradizionali rifiuti di Israele? E dove sono finite le sue meschinità nel modo di negoziare? Come per magia il vento nuovo cambierà il clima della regione, migliorando subito l’immagine di Israele. 

Nel suo discorso Netanyahu esordirà annunciando il rilascio di migliaia di prigionieri palestinesi. E questa dichiarazione non gli sarà estorta contro la sua volontà dal rapimento di un militare israeliano o dalle pressioni di Washington, ma si inquadrerà in una nuova iniziativa israeliana basata sulla convinzione che la via della pace passa sempre per i cancelli delle prigioni. Migliaia di prigionieri politici palestinesi – alcuni detenuti senza processo, altri in carcere da decenni per omicidio – torneranno liberi con la benedizione di Tel Aviv. Sarebbe un simbolo della rivoluzione che Israele vuole promuovere. E’ così che si comportano i regimi ingiusti quando cominciano a cercare di redimersi. 

Israele aprirà poi le sue porte ai lavoratori arabi, alle visite dei familiari, al commercio e al turismo palestinese. Il programma pilotata dell’anno scorso ha superato la prova: decine di migliaia di palestinesi hanno ricevuto un permesso speciale e si sono goduti qualche ora di libertà, divertimento e felicità senza torcere un capello a un israeliano. Come la soppressione dei checkpoint in Cisgiordania non danneggerebbe la sicurezza dello stato ebraico, cos’ì un’apertura controllata delle porte servirebbe allo stesso obiettivo positivo. Il muro di separazione sarà demolito o ricostruito lungo i confini del 1967. Il nuovo Israele annuncerà inoltre la liberazione del mare di Gaza, compresa la costruzione di un porto marittimo per importazioni ed esportazioni, posto sotto supervisione internazionale. La Cisgiordania e la Striscia di Gaza saranno unite dal un corridoio sicuro a lungo promesso, ma mai realizzato. Questa dovrebbe diventare la nuova vita quotidiana dei palestinesi: come uomini e donne liberi in Cisgiordania e a Gaza. E questo avrà effetti positivi sia sui palestinesi sia sugli israeliani. 

Ed eccoci al culmine di questa illusione d’estate. Il nuovo Israele annuncerà la sua disponibilità a discutere con i palestinesi, alla pari, le linee guida per l’accordo finale: due stati separati dalle frontiere del 1967 con ritocchi concordati dei confini, oppure pieni diritti civili per tutti in uno stato binazionale. Si sceglierà la soluzione che si può realizzare per prima, quella stabilita insieme dai leader dei due popoli: due stati senza gli insediamenti oppure un unico stato con gli insediamenti. Questo porrà fine all’interminabile discussione sui particolari: riconoscimento o non riconoscimento, smilitarizzazione o chissà che, insomma quei dettagli che fanno sempre pensare al demonio. I particolari saranno invece affrontati solo dopo – e non prima – il rivoluzionario accordo di pace. 

Ma Israele farà un passo in più, compiendo il gesto cruciale di riconoscere l’ingiustizia storica che ha commesso e continua a commettere verso la nazione palestinese. E si scuserà. Quest’ammissione può avere un ruolo decisivo nel processo, com’è avvenuto nel Sudafrica con la Commissione per la verità e la riconciliazione. In cambio i palestinesi si scuseranno per i loro atti di terrorismo omicida. Sarà riconosciuto il diritto al ritorno e la sua attuazione sarà controllata e concordata per non dar luogo a nuovi profughi, stavolta israeliani. Se questa sarà giudicata la soluzione giusta, non vi saranno limitazioni al ritorno dei rifugiasti nello stato palestinese, e neanche nello stato binazionale, in questo secondo caso in una proporzione concordata rispetto all’immigrazione ebraica. Anche questo passo potrebbe rivelarsi molto meno pericoloso di quanto il vecchio Israele avesse mai immaginato 

Un discorso del genere potrebbe modificare la partita in corso: sostituire alle intimidazioni le promesse, ai rischi le opportunità, alle minacce la speranza. Ma può prodursi solo in un’unica mossa compiuta da grandi statisti. Il cambiamento sorprenderebbe tutti: gli israeliani, i palestinesi e la comunità internazionale. Oggi come oggi, sembrano tutte illusioni d’estate e niente di più. Le giornate sono più calde che mai, e Kerry è riuscito a creare l’ennesima occasione per fotografare strette di mano, confondendo molti osservatori. Ma c’è forse un’altra possibilità per far tornare in scena la speranza? 

(ma)