FOTO: sfogliare il "Museo del Muro"

FOTO: Sfogliare il “Museo del Muro”

Una serie di poster che raccontano le storie vere di donne palestinesi sono appesi lungo il Muro di Separazione a Betlemme, intorno all’area della Tomba di Rachele. Un “Museo del Muro” che racconta la vita dei palestinesi sotto occupazione. Come spiega il primo poster, queste sono “storie di sofferenza ed oppressione, ma anche di
sumud (‘resistenza’), forza interiore e identità culturale”. 

di Mona Niebuhr

Passeggiare lungo il Muro di Separazione è allo stesso tempo deprimente e stimolante, schiacciante ed esaltante. Da una parte puoi vedere come taglia a metà i quartieri, divide le persone dalle proprie terre e famiglie, restringe i movimenti. Dall’altra i palestinesi resistono usando il Muro come una tela per i propri sogni e le proprie speranze, coprendolo con disegni, scritte e graffiti.

                

                    Le donne palestinesi e le loro storie (Foto: Mona Niebuhr, AIC)

 

Dopo che il Muro è stato costruito intorno alla Tomba di Rachele, mi sono sentita malissimo. Nessuno ci camminava, solo cani e gatti. Il Muro ha creato una sensazione, la sensazione di essere circondati; non sei autorizzati a muoverti. Ogni volta, ogni giorno che vedo il Muro. Quando guardo fuori dalla finestra per vedere il tramonto o l’alba, il Muro è di fronte a me. Quando vado al Muro, sento che qualcosa si chiude nel mio curo, come se il Muro fosse nel mio cuore”.
                                                                                        Melvina, Betlemme 

Non so chi sia Melvina, ma ho avuto l’occasione di gettare lo sguardo nella sua vita. Insieme a Maha, Rose, Antoinette, Sylvana, Ghada, Aida, Rana e molte altre donne, Melvina ha avuto il coraggio di condividere la sua esperienza del Muro. Una serie di poster che raccontano le storie vere di donne palestinesi sono appesi lungo il Muro di Separazione a Betlemme, intorno all’area della Tomba di Rachele. Un “Museo del Muro” che racconta la vita dei palestinesi sotto occupazione. 

                       

                             Arte e graffiti lungo il Muro (Foto: Mona Niebuhr, AIC)

Il “Museo del Muro” è curato dal Sumud Story House, a pochi metri dalla barriera di separazione. Aperto come parte dell’Arab Educational Institute nel 2009, il Sumud Story House è un centro per gruppi di donne delle aree intorno che si incontrano per svolgere attività sociali. Uno dei poster testimonia l’importanza di questi meeting:

“Il Muro è come un cartello che ti dice: ‘Vattene da qui’. Intimidazione. Se vai al checkpoint verso Gilo, vedi tutte le terre che sono state confiscate per la sua costruzione, terre che non possiamo più raggiungere. Alcune di queste terre appartenevano ai miei nonni. Nonostante tutto, noi dobbiamo continuare a resistere. Proseguire nella nostra vita quotidiana è una forma di resistenza. Un esempio di resistenza è venire ogni giorno al Sumud Story House. Gli israeliani vogliono distruggere le nostre vite per poterci cacciare. Noi possiamo resistere in tanti modi diversi e ogni attività è d’aiuto, perché le attività fanno sì che la gente resti qui. Puoi organizzare un concerto o un evento culturale. Sono i modi in cui possiamo raggiungere il mondo e il mondo può raggiungere noi”.
                                                                                          Ghada, Betlemme 

Quando Sumud ha aperto nel 2009, c’era poca vita di comunità nell’area. La Hebron Road, la storica via principale che collegava Hebron a Gerusalemme via Betlemme, prima era piena su entrambi i lati di negozi e ristoranti. Dalla costruzione del Muro di Separazione del checkpoint, l’area si è svuotata e i negozi hanno ridotto i dipendenti o cessato le attività. 

                 

                   Un’area messa sotto silenzio dal Muro di Separazione (Foto: Mona Niebuhr, AIC)

Rania Murra, la coordinatrice del progetto, è andata casa per casa a raccogliere le storie della gente e ad invitare le donne a condividere le loro esperienze. Negli anni, il Sumud Story House ha costruito un’intensa rete di gruppi di donne che organizzano incontri e attività culturali.

Alcune delle storie raccolte erano all’inizio appese nella sala riunioni dell’associazione, ma subito venne fuori l’idea di presentare quelle storie ad un pubblico più vasto, locale e internazionale. Quando i poster vennero finalmente esposti durante il Natale del 2011, le donne ne erano felici. “Le donne credono nelle loro storie di palestinesi – spiega Fuad Giacaman, direttore generale dell’Arab Educational Institute, la cui moglie è una delle autrici delle storie – Molte donne volevano che le loro esperienze fossero conosciute. Vogliono comunicare la Palestina”.

Se le storie sono lì perché chiunque possa vederle, quando hanno preparato i poster, selezionato le storie e tradotto dall’inglese, gli organizzatori avevano in mente visitatori internazionali: “Molti internazionali vengono e fanno foto al Muro – spiega Giacaman – Alcuni conoscono poco o niente di quello che accade qui. Attraverso i poster, possono imparare di più”. 

                              

  Nuovi poster racconteranno nuove storie sulla forza e l’allegria del popolo palestinese (Foto: Mona Niebuhr, AIC)

Le storie permettono ai turisti, impossibilitati a incontrare gente del luogo, a capire in ogni caso alcune delle loro sfide: “Spesso si parla di questioni umanitarie ma non si comprendono realmente le conseguenze personali di chi è coinvolto – dice Anky, una donna tedesca che oggi sta visitando Betlemme – Vengo al Muro di Separazione per la prima volta, i poster mi hanno trasmesso l’impatto che il Muro ha sulle vite della gente”. Anche per chi conosce bene il conflitto israelo-palestinese, le storie delle persone sono spesso la chiave per comprendere la pervasività dell’occupazione, come spiega Sarah, studentessa statunitense di relazioni internazionali: “Ho passato molti anni a studiare la storia del conflitto, le guerre e i tentativi di negoziato. Tuttavia, leggere queste storie mi ha aiutato a guardare dentro alle lotte quotidiane e agli abusi che i palestinesi subiscono sotto occupazione. Per loro, la lotta non è solo per i confini, la terra o l’acqua, ma è per il diritto di vivere in libertà e dignità”.

Attualmente, l’Arab Educational Institute sta progettando l’installazione dei poster caduti e di espandere il “museo” alle storie dei giovani e a quelle che sfatano i stereotipi più comuni. Mostrare sempre più storie è anche il modo per condividere il carattere palestinese, spiega Rania: “Vogliamo mostrare la forza e il sorriso dei palestinesi. Se le nostre case vengono demolite, noi le ricostruiamo. Viviamo sotto occupazione, ma balliamo e ridiamo. Sebbene piangiamo, noi ridiamo”.

(tradotto a cura di AIC Italia/Palestina Rossa)