Haaretz.com
05.09.2013
http://www.haaretz.com/misc/article-print-page/.premium-1.544607
Superpotenza immorale.
Anche Israele e gli Stati Uniti hanno usato armi vietate dal diritto internazionale. Ma non sono stati puniti.
di Gideon Levy
Un esercizio sull’onestà (e i doppi standard): cosa succederebbe se un giorno fosse Israele a usare le armi chimiche? Gli Stati Uniti sosterrebbero la necessità di attaccarlo? E che cosa succederebbe se gli Stati Uniti facessero ricorso a queste armi?
Bisogna ammettere che, pur avendole in arsenale, Israele non userebbe mai armi di distruzione di massa, se non in circostanze estreme. Tuttavia ha già usato armi che sono vietate dal diritto internazionale – il fosforo bianco e i proiettili del tipo flèchette contro civili della Striscia di Gaza, e le bombe a grappolo in Libano – ma il resto del mondo non ha alzato un dito. E bastano poche parole per descrivere le armi di distruzione di massa usate dagli Stati Uniti, dalle bombe atomiche in Giappone al napalm in Vietnam.
La Siria, naturalmente, è una questione diversa. Dopotutto nessuno può seriamente pensare che un attacco statunitense contro il regime del presidente Bashar al-Assad possa essere davvero basato su considerazioni di ordine morale. I circa centomila siriani morti finora non hanno spinto il mondo a intervenire, e solo la notizia di 1.400 vittime delle armi chimiche – ma sul numero non c’è ancora una conferma definitiva – sta spingendo l’esercito della salvezza mondiale ad agire.
Allo stesso tempo, non ci sono dubbi sulle vere motivazioni che portano la maggior parte degli israeliani – il 67 %, secondo un sondaggio del quotidiano Israel Hayom – a sostenere l’attacco. Non sono preoccupati per il benessere dei siriani. Nell’unico paese al mondo dove la maggioranza dell’opinione pubblica è favorevole all’attacco, il principio guida è totalmente diverso: colpire gli arabi. Non importa perché, importa solo in che misura:molto.
Linee tracciate da Obama.
Nessuno può seriamente pensare che gli Stati Uniti siano una “superpotenza morale”, come ha scritto il giornalista Ari Shavit su Ha’aretz. Il paese responsabile della maggior parte dei massacri avvenuti dopo la fine della seconda guerra mondiale – c’è chi parla di quasi otto milioni di vittime nel Sudest asiatico, il America Latina, in Afghanistan e in Iraq – non può certo essere considerato una “potenza morale”. Lo stesso discorso vale per il paese in cui sono incarcerati un quarto dei detenuti di tutto il mondo, dove la percentuale di detenuti rispetto alla popolazione è più alta che in Cina e in Russia, e dove dal 1976 sono state condannate a morte 1.342 persone.
L’attacco in preparazione sarà un nuovo Iraq. Gli Stati Uniti – che non sono mai stati puniti per le bugie con cui hanno giustificato la guerra in Iraq nel 2003 e per le centinaia di migliaia di persone morte inutilmente in quel conflitto – sostengono la necessità di cominciare un’altra guerra. Ancora una volta lo fanno senza una prova schiacciante, basandosi solo su indizi e su linee rosse che lo stesso presidente Barack Obama ha tracciato e che ora lo costringono a mantenere la sua parola.
In Siria è in atto una crudele guerra civile, che il mondo deve cercare di fermare. Ma non sarà l’attacco statunitense a farlo
(gim – Internazionale)