Israele: operaio palestinese lasciato morire dal datore di lavoro

Nena News
21.09.2013
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Operaio palestinese lasciato morire dal datore di lavoro

La morte di Sarur, muratore "illegale" in Israele, è lo specchio della mancanza di diritti dei lavoratori palestinesi. Sotto accusa anche la polizia.

di Roberto Prinzi

Roma, 21 settembre 2013, Nena News - Un muratore palestinese che stava lavorando alla ristrutturazione di un appartamento a sud di Tel Aviv, dopo essersi sentito improvvisamente male, sarebbe stato abbandonato dal suo datore di lavoro e da altri due operai su un marciapiede non distante dal luogo di lavoro. Dopo gli iniziali tentativi di rianimazione da parte di alcuni passanti e l'arrivo (tardivo a quanto pare)dell'autoambulanza sarebbe deceduto poco dopo il suo ricovero all'ospedale Ichilov.

 

Sarebbero stati questi gli ultimi istanti di vita del palestinese Ahsan Sarur secondo quattro testimoni oculari citati dal giornale Ha'Aretz pochi giorni fa. Sarur, 54 anni del campo profughi di Askar nei pressi di Nablus, lavorava in Israele "illegalmente" perché sprovvisto di permesso di lavoro.

Sul caso sta lavorando la polizia che ha fatto sapere di essere «a conoscenza di quanto accaduto. Se sarà provato che è stato abbandonato, apriremo un'inchiesta». Una posizione molto "cauta" che contrasta con le dichiarazioni di chi era presente. «Il muratore morto lavorava già da una settimana» ha raccontato ad Ha'Aretz Hussam di Qalansawe. «Ho visto il datore di lavoro arrivare di corsa con due operai, afferrare l'operaio per le braccia mentre gli altri due lo prendevano per i piedi e gettarlo sul marciapiede».

Hussam gli avrebbe chiesto di salvare il palestinese, ma inutilmente perché il datore avrebbe chiuso la casa e sarebbe scappato. Hussam racconta che questi avrebbe inizialmente finto di non conoscere la vittima. Successivamente avrebbe invece sostenuto che il muratore palestinese si era recato da lui per proporgli una paga. Il racconto di Hussam è confermato da un'altra testimone, Claudia Levin, che ha aggiunto che il principale della ditta, sordo agli inviti dei presenti che lo invitavano a dare al palestinese dell'acqua e di chiamare l'ambulanza, avrebbe chiuso l'appartamento in ristrutturazione e avrebbe consigliato agli altri operai di scappare da lì.

I tentativi di rianimazione dei passanti, per quanto encomiabili, non sortivano gli effetti sperati: all'arrivo della Magen David Adom (la Croce rossa d'Israele, ndr) la situazione clinica del palestinese era disperata. Sarur sarebbe spirato infatti poco dopo il suo arrivo in ospedale. Il datore di lavoro si è difeso: «Non sono stato interrogato dalla polizia. La mia era solo una testimonianza. Ho raccontato esattamente cosa è accaduto e ho detto che sono stato lì un'ora con un altro uomo con cui ho cercato di rianimare l'operaio. Non c'è alcun legame tra me e l'appartamento. Non è mio. Sono tutte fandonie».

Sul banco degli imputati è finita anche la polizia. In un editoriale pubblicato ieri, il liberal Ha'aretz ha scritto che «le testimonianze raccolte sul posto pongono domande difficili non su chi ha dato l'impiego ma sul funzionamento della polizia. Il poliziotto che è arrivato sul posto ha cacciato i presenti che provavano a dirgli che Sarur era stato abbandonato, non ha raccolto i dettagli forniti dai testimoni ma li ha allontanati».

Le (presunte) responsabilità della polizia israeliana non dovrebbero destare eccessive sorprese. Ha'aretz ha giustamente ricordato il caso dell'agonizzante trentacinquenne Omar Mohammed Ibrahim abbandonato anche lui sul ciglio di una strada da tre poliziotti nel 2008. Nel frattempo che la giustizia faccia il suo corso resta il dolore della famiglia del defunto. Il fratello di Sarur ha raccontato che la vittima aveva lavorato negli ultimi venti anni in Israele. Per molto tempo Ahsan era stato in possesso di un regolare permesso di lavoro. Ma una volta scaduto, l'operaio era stato costretto ad entrare illegalmente in Israele, a nascondersi e a ritornare a casa solo una volta ogni due o tre settimane.

Come Nena News vi ha raccontato poco tempo fa, Sarur è solo uno delle migliaia di palestinesi dei Territori Occupati costrette ad entrare in Israele per poter lavorare e mandare i soldi ai propri familiari. Una situazione drammatica quella dei lavoratori palestinesi costantemente ricattati da avidi datori di lavoro israeliani. Soprattutto se il loro status è quello di «illegali». Manovalanza a basso costo che suscita poca attenzione ed empatia sui media locali e nell'opinione pubblica perché a morire sottopagato resta in fin dei conti un «nemico, un infiltrato». Il corpo abbandonato di Sarur su un marciapiede racconta più di tante parole quanto sia cinica, indifferente e violenta Israele non solo con chi definisce "arabo" ma con una categoria più ampia di umanità che Tel Aviv definisce "illegale". E proprio in questo spazio indefinito i "dannati" eritrei, sudanesi, i cushim (in ebraico "negri") e i palestinesi si sfiorano e per un momento sono uguali.

E' la faccia istituzionalizzata dei pogrom di due anni fa nel quartiere meridionale HaTikva di Tel Aviv. Lì era il sottoproletariato emarginato israeliano che aveva scelto di farsi giustizia da solo andando alla caccia del «sudanese parassita». Qui è lo Stato con la complicità delle sue forze dell'ordine e con il silenzio delle sue istituzioni giudiziarie a "cacciarli" sbarazzandosi dei loro corpi dopo averli sfruttati. Nena News