Palestinesi d'Israele, anniversario nel segno della lotta al Piano Prawer

Nena News
02.10.2013
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Palestinesi d'Israele, anniversario nel segno della lotta a Piano Prawer

Le commemorazioni tra i palestinesi di Israele delle 13 vittime della repressione dell'ottobre 2000 in Galilea sono state l'occasione per nuove proteste contro il Piano Prawer.

di Roberto Prinzi

Roma, 2 ottobre 2013, Nena News - Migliaia di palestinesi cittadini d'Israele sono scesi in piazza ieri per ricordare i tredici manifestanti palestinesi uccisi dalla polizia israeliana nell'Ottobre 2000. Almeno per un giorno sono state messe da parte le differenze politiche tra i tre principali partiti del "settore arabo" (amplificate in questo periodo dalla campagna elettorale in corso in alcune province) e pertanto il "popolo palestinese dell'interno" ha sfilato compatto.
                           

 

                 Uhm el Fahem, ottobre 2000 (foto Yariv Katz) 

A differenza degli anni scorsi l'Alto Comitato di sorveglianza arabo ha preferito non indire uno sciopero generale ma ha chiesto ad insegnanti e a presidi di dedicare un'ora della giornata scolastica a quei tragici avvenimenti e a spiegarne le cause. La marcia principale ha avuto luogo aKafr Manda dove perse la vita Ramez Bushnaq.

Dopo aver deposto una ghirlanda di fiori sul monumento che lo ricorda, il corteo ha sfilato per le strade della cittadina sollevando una lunga bandiera palestinese nera su cui vi erano scritti i nomi delle giovani vittime di quei giorni. Ma la giornata di ieri non è stata semplicemente un formale ricordo di quello che è avvenuto, soltanto una triste celebrazione di chi manca ora all'appello ("con lo spirito, con il sangue, ci sacrifichiamo per te martire"), né è stato solo un generico invito alla libertà della Palestina ("il sangue dei martiri chiama, che sia libera la terra del mio paese").

Partendo infatti dalla commemorazione delle vittime di stato di quei giorni, i manifestanti hanno posto nuovamente al centro dell'attenzione la battaglia che da mesi portano avanti con coraggio: quella contro ilPiano Prawer. Il progetto, approvato alla Knesset lo scorso Luglio, prevede il trasferimento forzato della popolazione beduina palestinese da 35 villaggi "non riconosciuti" da Tel Aviv e la conseguente espulsione di 40.000 residenti. I cartelli "Prawer non passerà" e il coro "Prawer, ascolta, ascolta, la terra del Neghev non si piega" non sono casuali ma rientrano nella più ampia lotta contro la strisciante espulsione etnica e furto di terra che Tel Aviv, sin dalla sua fondazione, porta avanti.

I fatti di quel tragico Ottobre

Alla fine del mese di Settembre del 2000, Ariel Sharon, prima ancora di essere stato eletto primo ministro, decise di fare una "passeggiata" sulla Spianata delle Moschee accompagnato da un ingente numero di forze di sicurezza israeliane. Il suo gesto provocatorio accese definitivamente gli animi dei palestinesi sotto occupazione (che già da anni sperimentavano sulla loro pelle quanto fossero perniciosi e fallaci gli Accordi di Oslo firmati nel 1993). Tumulti e violenze scoppiarono immediatamente a Gerusalemme e nella Cisgiordania dando inizio a quella che è nota come Intifada al-Aqsa. Alcuni giorni dopo la camminata di Sharon, il 1 Ottobre 2000, l'Alto Comitato per i cittadini arabi d'Israele annunciò uno sciopero generale e numerose manifestazioni ebbero luogo in molti centri arabi dello stato ebraico in solidarietà ai palestinesi dei Territori Occupati. Queste proteste incontrarono la violenta repressione della polizia israeliana. Durante le manifestazioni tre giovani - Mohammed Ahmed Jabareen (23), Ahmed Ibrahim Siyyam Jabareeen (18) e Rami Khatem Ghara (21) venivano uccisi. In risposta agli omicidi, il Comitato estese lo sciopero e le manifestazioni continuarono. Ma purtroppo con esse salì anche il numero dei morti che saranno alla fine delle proteste 13 di età compresa tra i 17 e i 42 anni. Migliaia furono i feriti e centinaia i detenuti. Il mese successivo il governo israeliano incaricò una commissione, presieduta dal giudice dell'Alta Corte israeliana Theodor Or, di indagare su quanto accaduto. I risultati furono resi noti il Settembre 2003: la polizia israeliana aveva usato illegalmente sia proiettili veri che quelli ricoperti di gomma e aveva impiegato cecchini per disperdere i dimostranti. Non veniva accolta inoltre l'autodifesa dei poliziotti. La Commissione Or raccomandò quindi di aprire delle inchieste che stabilissero le cause dei decessi delle vittime. Il Settembre del 2005, il Dipartimento investigativo della Polizia del Ministero di Giustizia (Mahash) pubblicò la sua relazione affermando che non avrebbe incriminato alcun poliziotto per quelle violenze. Nel 2008 l'allora Procuratore generale Menachem Mazuz sostenne la posizione del Mahash e, credendo all'"autodifesa" dei poliziotti, non accusò nessuno. Mazuz chiuse il caso colpevolizzando i dimostranti "arabi": erano stati loro, infatti, ad aver usato le armi ed aver chiuso le strade.

Il lascito morale e politico

Ma i "martiri" di quell'Ottobre di sangue non sono morti nel silenzio della loro comunità. Una nuova generazione di attivisti, militanti, semplici cittadini, lavoratori e studenti ne ha raccolto il messaggio di lotta, di amore e difesa della propria terra. Sono i giovani che nelle università israeliane lottano con coraggio affinché venga ricordata la loro "catastrofe", quella "Nakba" di pulizia etnica che Israele applica ogni giorno nel silenzio (o al massimo nei rimbrotti) della comunità internazionale. Sono gli stessi giovani che questa estate hanno organizzato campi estivi nel villaggio di Ghabisiya, mentre Baladna (Associazione per giovani arabi) e altri gruppi hanno dato inizio al progetto 'Udna ("Siamo tornati") che prevede il ritorno a cinque villaggi palestinesi (Saffuriyya, Miar, Maalul, Lajjun e Iqrith) ripuliti etnicamente da Israele nelle fasi che hanno preceduto e seguito la sua fondazione nel 1948. Questi programmi mirano a far conoscere alla nuova generazione la loro storia quella che Tel Aviv cancella nei libri di testo perché non conforme all'ideologia sionista. Riscoprire le proprie origini laddove lo stato ebraico, nel tentativo di legittimare la propria esistenza, prova a distruggere la memoria e l'identità dell'"altro" (e non solo astrattamente: 530, infatti, furono i villaggi arabi distrutti dalle brigate militari sioniste).

Quei "martiri" li ritroviamo durante le proteste di solidarietà con i "prigionieri della libertà" nei campus universitari, nelle strade delle cittadine "completamente arabe" e in quelle che ora sono "miste" e che da anni (come a Jaffa) le autorità israeliane provano a svuotarle della loro componente palestinese. Quei tredici giovani assassinati erano presenti anche lo scorso Gennaio a Bab al-Shams (e nel successivo Ahfad Younis) quando 250 attivisti palestinesi e internazionali occuparono una collina nella zona di Al-Tur, meglio conosciuta come area E1, dietro le colline di Gerusalemme. Un'area che la diplomazia internazionale (e anche della collaborazionista Anp) definisce come Cisgiordania e quindi come parte del "futuro stato di Palestina". Una politica ufficiale che non può accettare l'attivismo dal basso dei vari comitati locali uniti nella difesa del territorio perché la mette in serio imbarazzo mostrandone tutti i suoi crimini ,complicità e inettitudini. E che, pertanto, è meglio reprimere quanto prima possibile.

Queste migliaia di giovani ci raccontano un'altra storia mostrandoci come Nazareth, Gerusalemme, Gaza e Ramallah parlino la stessa lingua perché la terra è araba ancor prima che qualunque nebuloso accordo venga stipulato tra due parti nemiche/amiche, prima che farraginosi processi di pace abbiano inizio, prima che vengano poste delle "pre-condizioni". Il significato del sacrificio umano dei tredici palestinesi è stato questo: quella "camminata" di Sharon non è solo un insulto per i gerosolimitani ma un affronto anche per i palestinesi di Akka e Umm el-Fahem. Va al di là del muro di separazione e dei check point.

Bistrattati a volte dalla narrazione ufficiale araba, chiamati non di rado "traditori", denominati "arabi israeliani" persino da chi solidarizza con la causa palestinese, i cittadini "arabi" d'Israele gridano la loro appartenenza all'intera Palestina storica, urlano con tristezza ma con orgoglio il loro "sentirsi stranieri nella propria terra". Sono i "presenti-assenti" legati indissolubilmente ai rifugiati palestinesi dei campi disseminati in Medio Oriente, a quelli dei Territori Occupati della Cisgiordania e di Gaza e ai milioni nella Diaspora. Non deve perciò sorprendere ieri il richiamo continuo dei manifestanti alla lotta contro il Piano Prawer e l'invito a partecipare alla manifestazione del 12 Ottobre nel Neghev contro la sua applicazione. Era anche per questo che i tredici manifestanti morti avevano protestato. "Tutte le teorie di psicologia che ho studiato all'università relative al lutto sono una bugia. Non c'è conforto alla tua morte" ha scritto Siwar Asleh, sorella di Asil morto in quei giorni. "Hai lasciato la casa di fretta senza che ti vedessi..ed eccomi ancora ad aspettare il tuo ritorno". Un'attesa vana, un ritorno impossibile perché Asil non se n'è mai andato. Nena News