AIC – Alternative Information Center
13.10.2013
http://www.alternativenews.org/english/index.php/politics/palestinian-society-/7165-plo-crisis-of-representation
L’OLP in crisi di rappresentanza
Il problema della rappresentanza del popolo palestinese continua ad essere una questione molto urgente che richiama l’attenzione dell’opinione pubblica palestinese[1]. Nell’era post Oslo, nei dibattiti ritornano sempre la divisione tra Hamas e Fatah, le elezioni generali e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). Lo scorso anno su siti web in lingua inglese come Jadaliyya Magazine e al-Shabaka ci sono stati dibattiti sul ruolo dell’OLP e sul suo apparato legislativo, il Consiglio Nazionale Palestinese (PNC).
di Thayer Hastings - Badil
Questo articolo è una disamina dei contributi più recenti al dibattito cercando di mettere in luce le principali opinioni di alcuni intellettuali palestinesi a favore e contro le elezioni del Consiglio Nazionale Palestinese. Analizzerò le opinioni espresse il 1 maggio 2013 durante una tavola rotonda organizzata da al-Shabaka dal titolo “Dibattito aperto sulla rappresentanza palestinese”[2] e, in misura inferiore, quella organizzata da Jadaliyya chiamata “Tavola rotonda sulla diaspora palestinese e sulla rappresentanza” del 11 settembre 2012.[3] Inoltre ho utilizzato alcuni articoli pubblicati lo scorso anno sulle due piattaforme sullo stesso tema. [4] Per lasciarsi la “crisi” alle spalle, prendere delle decisioni e elaborare una strategia politica è il compito principale che attende i palestinesi.
Il primo Consiglio Nazionale Palestinese, il “parlamento in esilio”, si riunì a Gerusalemme nel 1964. Nell’incontro venne elaborata la Carta Nazionale Palestinese e la Legge Fondamentale dell’OLP, la base della struttura politica del popolo palestinese. La ricostituzione dell’OLP nel 1968 e l’apertura alle varie fazioni, unioni e gruppi di guerriglia palestinesi gli fece guadagnare legittimità popolare. Ma se l’OLP mantiene il titolo della “sola ed unica rappresentanza legittima del popolo palestinese”, riconosciuta in quanto tale a livello internazionale nel 1974, oltre ad essere presente nelle Nazioni Unite come stato osservatore [5]; viene sempre più soppiantata dall’Autorità Palestinese in questioni pratiche e significative.[6] Nonostante l’OLP abbia perso potere, continua a mantenere la sua legittimità: “la credibilità dell’OLP, anche nel suo momento di maggiore debolezza, continua ad essere superiore a quella dell’AP”.[7] Nonostante la sua eredità, il solo ente rappresentativo del popolo palestinese si trova in una situazione disperata.[8] Le critiche mosse all’OLP vertono sulla sua non-rappresentanza dell’attuale realtà politica.
Nei due decenni dopo l’erosione della supremazia dell’OLP, che risale all’inizio del processo di pace di Oslo, è divenuto chiaro che l’Autorità Palestinese non ha una chiara visione per una strategia di liberazione (vedi Navigating the Void a pagina 15).[9] Inoltre l’AP rappresenta amministrativamente solo una parte della popolazione palestinese che si è ridotta ulteriormente dopo la rottura con Hamas del 2006. Il riconoscimento all’ONU nel settembre del 2012 archiviato a nome dell’Autorità Palestinese, (spacciata per l’OLP) ha segnato un ulteriore passo nel confondere le competenze di rappresentanza tra l’Autorità Palestinese e l’OLP, sia per quanto riguarda la popolazione che la supremazia.[10] Le conseguenze sono drammatiche, poiché la maggior parte dei palestinesi nel mondo si trovano senza una rappresentanza.[11] Se si persiste con una non-politica strategica, i palestinesi in Israele continueranno a essere cittadini di serie B e ad essere emarginati, in Giordania rimarrà il rischio di vedersi revocare la cittadinanza, in Libano i diritti fondamentali saranno sempre negati e oggi in Siria ci si trova sotto la minaccia di una seconda evacuazione.[12]
Alla luce di questo e con l’obbiettivo di rivendicare una rappresentanza, rispondere all’appello nazionale per una registrazione degli elettori portata avanti dai palestinesi in shatat (esilio) viene visto come il primo passo verso delle elezioni dirette del Consiglio Nazionale Palestinese.[13] La campagna per la registrazione dei palestinesi è un’iniziativa della società civile ben conosciuta che cerca di porre le basi per una corretta rappresentanza del corpo politico palestinese. I promotori dell’iniziativa sostengono che le elezioni dirette del Consiglio Nazionale Palestinese e la richiesta delle riforme sia un’iniziativa comune ispirata all’esperienza di auto-organizzazione dei palestinesi negli anni 70 e 80.
I più critici nei confronti di questa iniziativa temono che un punto debole nella concezione dell’iniziativa possa portare a una replica delle attuali strutture non democratiche, affermando lo status quo (altamente controproducente) e rischiando di fallire nel conseguimento di reali riforme all’interno dell’OLP. A difesa del progetto, Karma Nablusi, un ex dirigente dell’OLP e direttore del Civitas Project Volume intitolato “Il registro palestinese: gettare le fondamenta e decidere la direzione”, ha scritto nella tavola rotonda organizzata da Jadaliyya:
L’obiettivo [dell’organizzare democraticamente e reclamare le nostre istituzioni per la libertà nazionale] è semplice e più profondo [rispetto alla creazione di un governo o uno stato]: determinare insieme e per noi stessi, collettivamente, la nostra strategia di liberazione e ritorno. E fino a quando sarà l’unico principio a porre al centro la sovranità popolare, sarà pertanto l’unico veramente rivoluzionario.[14]
A causa della crisi di rappresentanza, la richiesta di unità ormai di lunga data del popolo palestinese sta divenendo sempre più rilevante e sta ricevendo maggiore attenzione da parte della classe politica. Mentre l’OLP continua ad essere disfunzionale e non rappresentativa, c’è un consenso di fondo tra i commentatori su al-Shabaka e Jadaliyya circa la possibilità di ricostituire l’OLP. Ma la domanda su cui gli analisti si sono soffermati maggiormente è se i palestinesi debbano ricostituire l’OLP.
La tavola rotonda di al-Shabaka include otto personalità palestinesi, tra autori, accademici e attivisti che hanno discusso a lungo la problematica. I toni accesi del dibattito del 1 maggio 2013 sono in risposta a un articolo di Osama Khalil, professore all’università di Syracuse a New York, in cui mette in discussione l’appello per delle elezioni dirette del Consiglio Nazionale Palestinese. Secondo Khalil “la limitata efficacia del Consiglio Nazionale Palestinese prima e dopo Oslo fa sorgere dei dubbi sul reale possibilità di riformare tale ente”.[15]Inoltre ritiene che la questione riguardante l’autorità della Commissione Esecutiva del PNC su argomenti quali il budget, la politica interna e estera, costituisce una limitazione istituzionale insanabile.
Mentre l’OLP e il Consiglio Nazionale Palestinese sono stati criticati lungo la loro storia per non essere rappresentativi o abbastanza rappresentativi, Khalil descrive invece l’istituzione come uno strumento per l’auto-preservazione della casta politica, piuttosto che “l’unica rappresentativa del popolo palestinese”. Ha dichiarato: “lo stato della politica palestinese rimane sconfortante e nessuna delle attuali fazioni politiche offre una convincente visione per il futuro. In gran parte ciò è dovuto al fatto che essi non sono i rappresentati del futuro dei palestinesi, ma del loro passato.” Khalil sostiene che i palestinesi debbano abbandonare il progetto dell’OLP insieme alla sua leadership illegittima e creare invece un ente alternativo che sia in grado di garantire una reale rappresentanza.
Khalil è solo uno dei tanti pensatori politici palestinesi che mettono in discussione la premessa per cui l’OLP possa rappresentare per davvero il popolo palestinese. Essi ritengono che la realtà pseudo-statale dell’AP sia il risultato della fallimento irrimediabile dell’OLP. Uno degli argomenti contro l’OLP è che a partire dal 1968 ha sempre giustificato le predominanza a tratti illegittima di Fatah e allo stesso tempo ha marginalizzato altre ideologie e quindi “di contenere in se stesso il seme del fallimento fin dall’inizio”, come ha scritto Seif Da’na.[16] Portando fino in fondo il pensiero si arriva alla conclusione per cui l’abituale uso improprio del potere nel corso della storia dell’OLP fa sì che non possa più essere preso in considerazione come un potenziale strumento per nuove riforme e rappresentanza.
D’altro canto, altri ritengono che un accantonamento totale dell’OLP senza la presenza di alcune valide alternative potrebbe contribuire al mantenimento dell’AP e della situazione di semi-stato. Hani Al-Masri, direttore del think tank Masarat di Ramallah sostiene che “dobbiamo portare avanti [il progetto dell’OLP] e scandagliare ogni possibile modo per riportarlo in vita, promuovendo allo stesso tempo nuovi movimenti e nuove forze.” Facendo un paragone tra il momento attuale e il 1968, anno in cui i partiti politici riuscirono ad acquisire il controllo delle istituzioni togliendolo alle elite tradizionali, Al-Masri si chiede se i leader attuali faranno parte dell’OLP o se saranno un impedimento alla sua riforma: “in quell’anno, le fazioni rivoluzionarie palestinesi riformarono l’OLP che fino a quel momento era stato asservito ai regimi ufficiali arabi piuttosto che ai bisogni dei palestinesi.”[17]
Un esempio di una riforma democratica dell’OLP [18]
Fajr Harb, un attivista politico, è chiaramente favorevole ad una riforma dell’OLP quando scrive: “Le riforme arrivano se si rivoluziona l’OLP stesso e non creando un altro ente”[19] Harb descrive l’AP come tecnicamente separata dall’OLP, ma che si comporta come un parassita, sottraendo all’OLP il suo ruolo con il risultato di una effettiva separazione della rappresentanza. Inoltre sostiene che un nuovo ente, alternativo all’OLP, non farebbe altro che aumentare la divisioni interne alla rappresentanza dei palestinesi. Spiegando il background della sua posizione e in risposta a Osama Khalil, scrive:
Uno dei principali argomenti di Khalil a favore dell’abbandono dell’OLP è che i membri del Consiglio Nazionale Palestinese sono scelti in base a delle quote e che i partiti che costituiscono l’OLP sono essi stessi non democratici e non rispondono delle loro responsabilità. L’autore tende però a dimenticare l’alto numero di palestinesi che appartengono ai partiti politici. Come si fa a immaginare che nonostante i legami dei membri ai loro partiti, essi possano sfidare l’autorità dei loro leader in un modo così critico? Cambiare l’aspetto e il nome dell’organizzazione rappresentativa è sufficiente per rendere gli individui che la compongono maggiormente democratici? Il problema non è solamente la struttura della rappresentanza, ma anche che cosa si intende per autorità. Dobbiamo lavorare per una riforma di noi stessi come individui che appartengono a una società basata sulla resistenza oltre a puntare a una riforma dell’ente che ci unisce tutti.
È difficile immaginare di fare tabula rasa come chiede Khalil. Khalil ha infatti scritto “[I palestinesi] devono ricostruire il movimento ripartendo da zero.” Piuttosto che rifiutare delle opzioni in base alla loro debolezza è responsabile (e ammirevole) attingere alle forze della comunità palestinese. Dal punto di vista di Harb, modificare la struttura dell’OLP prima che si tengano delle nuove elezioni del Consiglio Nazionale Palestinese è un approccio costruttivo. Inoltre ritiene che un secondo passo ideale sarebbe la riforma della Carta dell’OLP.
Il risultato di questa discussione è una valutazione esaustiva degli argomenti che sono a sfavore dell’OLP. Comune a tutti i partecipanti è l’obiettivo di continuare a portare avanti la causa palestinese e il ritenere che il conflitto con Israele sia una lotta per la libertà, non una guerra per i confini. Lo spettro delle opinioni è ampio ma si possono identificare alcuni modelli. Per esempio, tre partecipanti su otto alla tavola rotonda di al-Shabaka sono esplicitamente a favore di nuove elezioni, mentre uno è contrario. Non una sola persona non è invece d’accordo sull’affermare che i palestinesi sono in crisi di rappresentanza. Inoltre nessuno ha messo in discussione il diritto dei palestinesi in esilio a partecipare alle registrazioni per le elezioni.
In generale, le tavole rotonde con le loro analisi dell’OLP e del Consiglio Nazionale Palestinese rappresentano una base di partenza per proseguire. Si spera che tali discussioni aiutino i palestinesi interessati alla politica a migliorare la loro opinione a proposito della rappresentanza elettorale e ad evitare di ridiscuterne in futuro. Riflettere sul ruolo e utilità dell’OLP è necessario, ma non deve indebolire il progresso, soprattutto in un contesto in cui il movimento di liberazione nazionale è congelato mentre i palestinesi devono subire quotidianamente dei soprusi. Senza immaginare un’uscita da questo periodo di limitata rappresentanza, la fine dell’OLP rischia di sostenere una Autorità Palestinese non democratica.
Inoltre il dibattito di stampo accademico sull’argomento deve avere l’intento di seguire la volontà della comunità, soprattutto dei più emarginati che hanno affermato bisogno di elezioni dirette del Consiglio Nazionale Palestinese.[20] Altrimenti la classe intellettuale indipendente rischia di divenire esclusivista e irrilevante, una posizione che può essere facilmente manipolata dall’elite al potere alla quale i dibattiti sulla rappresentanza vogliono chiedere conto. Piuttosto il ruolo degli accademici e intellettuali dev’essere quello di aiutare il corpo politico palestinese attraverso l’impegno a destreggiarsi tra le insidie teoriche che caratterizzano questo periodo di continuo colonialismo, con il deterioramento delle condizioni in stati ospitanti come in Siria e di istituzionalizzazione di una Autorità Palestinese neo-liberale e non rappresentativa. Una strategia politica palestinese richiede delle critiche costruttive, creatività nella risoluzione dei problemi e la messa in comune delle risorse umane in modo da superare la pressione costante a causa della continua nakba. Tentativi futuri avranno l’opportunità di orientare i loro dibattiti alla maggioranza dei palestinesi, resi parte integrante delle politiche d’alto livello. Il principio dell’inclusione è fondamentale per lasciarsi alle spalle la “crisi di rappresentanza”.
[1] Jamil Hilal, “PLO Institutions: The Challenge Ahead,” Journal of Palestine Studies, Vol. 23, No. 1 (Autumn, 1993), p.54 .
[2] Il dibattito della tavola rotonda è stato pubblicato da al-Shabaka il 1 maggio 2013 su I participanti: Rana Barakat, Mouin Rabbani, Dina Omar, Fajr Harb, Hani al-Masri, As'ad Ghanem, Yassmine Hamayel e Aziza Khalidi.
[3] Il dibattito della tavola rotonda è stato pubblicato da Jadaliyya l’11 settembre 2012 su I partecipanti: Naseer Aruri, Seif Da’na, Karma Nabulsi e Sherene Seikaly.
[4] Gli articoli a cui mi riferisco sono: al-Shabaka’s “Debating Palestine: Representation, Resistance and Liberation”, Jadaliyya’s “Beyond Sterile Negotiations: Looking for a Leadership with a Strategy” e al-Shabaka’s “‘Who are You?’: The PLO and the Limits of Representation”.
[5] L’OLP è stata riconosciuta come “l’unica rappresentanza legittima del popolo palestinese” dalla Lega Araba e dalle Nazioni Unite nel 1974, e da Israele e Stati Uniti nel 1993.
[6] Noura Erekat, “Beyond Sterile Negotiations: Looking for a Leadership with a Strategy”, al-Shabaka, 2 febbraio 2012 su .
[7] Rabab Abulhadi, “Debating Palestine: Representation, Resistance and Liberation,” al-Shabaka, 5 aprile 2012 su .
[8] “Editorial”, Jadal Issue 15, settembre 2012 su .
[9]La Corte Internazionale di Giustizia nel 2004 si è espressa a proposito della “costruzione del muro… e il regime ad esso associato” definendoli “contrari alla legge internazionale”, supportando i palestinesi son una sentenza moralmente chiara e potente da parte dell’ente legale maggiormente rispettato nel mondo. È uno dei migliori esempi di come l’Autorità Palestinese abbia fallito nel non portare avanti legalmente o politicamente le conseguenze della sentenza. Alcuni sostengono si stato fatto intenzionalmente.
[10] Noura Erekat, “Beyond Sterile Negotiations: Looking for a Leadership with a Strategy”, al-Shabaka, 2 febbraio 2012 su .
[11] Il mandato dell’Autorità Palestinese è limitato alla Cisgiordania; più di 8 milioni di palestinesi (70%) vivono al di fuori del mandato dell’AP. Per maggiori dati statistici consultare sul sito di Badil il Survey of Palestinian Refugees and Internally Displaced Persons 2010-2012 at
[12] Per maggiori dettagli sull’evacuazione secondaria dei palestinesi in Siria consultare il documento di Badil del Nakba Day:“65th Commemoration: Ongoing Nakba and Secondary Forcible Displacement,” 15 Mggio 2013 su
[13] Appelli all’unità e a un rinnovo democratico dell’OLP sono stati fatti in vari accordi nazionali palestinesi, come nel Documento a proposito dei prigionieri del 2006 (scritto dai leader palestinesi appartenenti ai vari gruppi politici imprigionati) e nelle dichiarazioni di riconciliazione della leadership dell’OLP nel 2011, 2012 e 2013. Vedi TayseerNasrallah, “Reclaiming the PLO: an urgent call to unite all Palestinians,” Electronic Intifada, 14 luglio 2012 su .
[14] Jadaliyya, “Roundtable on Palestinian Diaspora and Representation,” 11 settembre 2012 su .
[15] Osama Khalil, “Who are You?”: The PLO and the Limits of Representation, 18 marzo 2013 su www.al-shabaka.org/policy-brief/politics/who-are-you-plo-and-limits-representation.
[16] Jadaliyya, “Roundtable on Palestinian Diaspora and Representation,” 11 settembre 2012 su .
[17] Al-Shabaka, “An Open Debate on Palestinian Representation,” 1 maggio 2013 su
[18] I numeri della popolazione nel diagramma sono una stima. Per statistiche alternative consultare il documento di BADIL: Survey of Palestinian Refugees and Internally Displaced Persons 2010-2012. Immagine presa da Dag Tuastad in “Democratizing the PLO: Prospects and Obstacles,” Peace Research Institute Oslo, marzo 2012, figura 3.
[19] Al-Shabaka, “An Open Debate on Palestinian Representation,” 1 maggio 2013 su
[20] Ma’an News Agency, “Palestinians in Syria register to vote for PNC,” 24 marzo 2013 su .
(tradotto a cura di AIC Italia/Palestina Rossa)