Bergoglio in Terra Santa, tra molte luci e qualche ombra

Il Manifesto, 26.05.2014

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di Michele Giorgio

Israele/Territori Occupati. Il viaggio ha raggiunto risultati importanti per il dialogo tra cattolici e ortodossi e tra le diverse fedi. Ma gli equilibrismi del Vaticano nel conflitto israelo-palestinese lasciano insoddisfatti non pochi esponenti delle chiese locali.

 

opo la visita di dome­nica a Betlemme nel segno della poli­tica e della diplo­ma­zia, testi­mo­niato dall’invito ad andare a Roma a pre­gare per la pace rivolto al pre­si­dente pale­sti­nese Abu Mazen e al capo di stato israe­liano Shi­mon Peres, è stata Israele l’ultima tappa del viag­gio di Terra Santa di papa Fran­ce­sco. Una gior­nata, quella di ieri, con impor­tanti risvolti reli­giosi — in par­ti­co­lare per lo svi­luppo dei rap­porti tra cat­to­lici ed ebrei — ma ugual­mente carat­te­riz­zata da ele­menti poli­tici e diplo­ma­tici di un certo rilievo. L’attenzione tut­ta­via si è con­cen­trata sulle visite del pon­te­fice al Muro del Pianto e al memo­riale dell’Olocausto, “Yad Vashem”, di Geru­sa­lemme. «Forse nem­meno il Padre poteva imma­gi­nare una tale caduta, un tale abisso!…Signore, sal­vaci da que­sta mostruo­sità. Dacci la gra­zia di ver­go­gnarci di ciò che, come uomini, siamo stati capaci di fare», ha affer­mato, visi­bil­mente com­mosso, il papa che ha incon­trato alcuni soprav­vis­suti allo ster­mi­nio nazi­sta. «Nunca màs!! Nunca màs!!» (Mai più), ha scritto in un biglietto lasciato al Memo­riale dell’Olocausto.

Poco prima Ber­go­glio aveva fatto un’altra visita, con un chiaro intento poli­tico. Al Monte Herzl ha prima depo­sto una corona di fiori sulla Tomba di Theo­dor Herzl, il padre del movi­mento sio­ni­sta secondo il pro­to­collo uffi­ciale che Israele ha intro­dotto per le visite dei capi di stato e di governo. Poi, fuori pro­gramma, si è recato a pre­gare alla vicina stele che ricorda le vit­time israe­liane degli atten­tati. Un gesto richie­sto, pare, dal pre­mier israe­liano Neta­nyahu, uffi­cial­mente per quanto è avve­nuto nel fine set­ti­mana in Bel­gio dove quat­tro per­sone sono morte in un attacco armato a un museo ebraico. Di fatto per com­pen­sare un pre­ce­dente “fuori pro­gramma”, ossia la pre­ghiera che dome­nica il papa aveva reci­tato, tra gli applausi dei pale­sti­nesi, davanti a uno dei lastroni di cemento armato del Muro di sepa­ra­zione che Israele ha costruito intorno a Betlemme e nel resto della Cisgior­da­nia pale­sti­nese. Una pre­ghiera accolta con forte disap­punto in casa israe­liana, come ha con­fer­mato il por­ta­voce vati­cano, padre Fede­rico Lom­bardi: «Ho sen­tito di rea­zioni nega­tive in Israele alla scelta del papa di fer­marsi a pre­gare davanti al muro di sepa­ra­zione. Non sono sor­preso. Ma biso­gna capire il senso posi­tivo di que­sto gesto, come quello di andare sta­mane al Memo­riale delle vit­time del ter­ro­ri­smo». In poche parole al papa è stato chie­sto di com­pen­sare il gesto fatto a Betlemme. Ber­go­glio ha accet­tato ma que­sto non gli ha rispar­miato le “spie­ga­zioni” di Neta­nyahu quando i due si sono incon­trati al Cen­tro Notre Dame. «Ho spie­gato al papa che la costru­zione della bar­riera di sicu­rezza (il muro, ndr) ha evi­tato molte altre vit­time che il ter­ro­ri­smo pale­sti­nese aveva in pro­gramma», ha scritto il pre­mier in un tweet. Neta­nyahu invece non ha “spie­gato” al capo della Chiesa di Roma per­chè il muro segue un per­corso chia­ra­mente poli­tico insi­nuan­dosi all’interno del ter­ri­to­rio pale­sti­nese occupato.

Il pro­gramma del terzo e ultimo giorno in Terra Santa è stato molto intenso. Alla chiesa dei Getse­mani, il papa ha rivolto un pen­siero anche ai cri­stiani che vivono a Geru­sa­lemme. «Li ricordo con affetto e prego per loro, cono­scendo bene le dif­fi­coltà che vivono nella loro città», ha detto Ber­go­glio senza però andare nella pro­fon­dità di pro­blemi che si tra­sci­nano di tempo. Die­tro le quinte di que­sto viag­gio in Terra Santa, salu­tato con entu­sia­smo e grandi parole dai ver­tici della Chiesa a Roma e a Geru­sa­lemme, non sono rare le voci cri­stiane che non con­di­vi­dono la linea del “poli­ti­ca­mente cor­retto” scelta dal papa e dai suoi con­si­glieri. In un docu­mento dif­fuso prima della visita, decine di reli­giosi ave­vano chie­sto al pon­te­fice di far sen­tire la sua voce sulle dif­fi­coltà di movi­mento che i pale­sti­nesi cri­stiani e non pochi sacer­doti incon­trano a causa delle restri­zioni israe­liane. Il papa ha rivolto appelli alla tutela dei bam­bini vit­time di con­flitti ma non ha fatto rife­ri­mento ai minori pale­sti­nesi dete­nuti nelle car­ceri israe­liane. Eppure su que­sto punto era inter­ve­nuto con forza la scorsa set­ti­mana il cen­tro Sabeel di Geru­sa­lemme, espres­sione della Teo­lo­gia della Libe­ra­zione tra i pale­sti­nesi cristiani.

«Quando si parla di que­sta regione, della Pale­stina e del con­flitto occorre met­tere le cose in chiaro – ci diceva ieri l’archimandrita Abdal­lah Juliu, auto­re­vole espo­nente della Chiesa mel­kita — Il pro­blema è che il popolo pale­sti­nese, pur avendo accet­tato per amore della pace di pro­cla­mare un suo Stato indi­pen­dente solo in Cisgior­da­nia, Gaza e Geru­sa­lemme, lo Stato di Israele con­ti­nua ad occu­pare da decenni que­sti ter­ri­tori. E’ l’occupazione israe­liana il pro­blema vero e chi parla di con­flitto tra reli­gioni non fa altro che sviare l’attenzione. Que­sto non è un con­flitto tra Cri­stia­ne­simo, Ebrai­smo e Islam». L’archimandrita non smi­nui­sce l’importanza della visita del papa al campo pro­fu­ghi di Dhei­sheh (Betlemme), dove ha invi­tato i bam­bini a «guar­dare avanti» e non solo al pas­sato (la Nakba?). Allo stesso tempo sot­to­li­nea che la que­stione dei pro­fu­ghi con­ti­nua, anche da parte del Vati­cano, a non essere affron­tata nei ter­mini ade­guati alla gra­vità del pro­blema. «Abbiamo milioni di rifu­giati pale­sti­nesi in Siria, Libano e Gior­da­nia – spiega il reli­gioso — che non pos­sono rien­trare nello loro terra e che sono pri­vati dei loro diritti, la que­stione va affron­tata in que­sta ampia dimen­sione e non nell’ambito ristretto del campo di Dheisheh”.

Padre Abdal­lah Juliu si augura che la visita del papa con­tri­bui­sca a con­so­li­dare l’identità araba e pale­sti­nese dei cri­stiani locali, inde­bo­lita, dice, dalle poli­ti­che che svol­gono Israele e i paesi occi­den­tali. «Que­sta iden­tità deve essere recu­pe­rata in modo che i cri­stiani locali e le chiese pos­sano dare il loro con­tri­buto alla giu­sti­zia, alla pace e alla fine dell’occupazione israe­liana. Siamo un unico popolo, cri­stiani e musul­mani, ancora sotto occupazione