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Violenze scandalo, Stato israeliano assolto
di Nicola Perugini *, Neve Gordon **, 2.6.2014
La polemica. Amos Oz: i vandali antipalestinesi sono «neonazisti»
Il 10 maggio, il famoso scrittore israeliano Amos Oz ha duramente criticato I cosiddetti «attacchi price tag» messi in atto da israeliani contro palestinesi. Price tag, letteralmente l’etichetta che indica un prezzo da pagare, è la stravagante metafora utilizzata dagli stessi «etichettatori» per definire le loro azioni retributive – tra cui l’aggressione fisica, l’incendio e il danneggiamento di case palestinesi, oltre che l’imbrattamento dei muri di chiese e moschee palestinesi con scritte offensive e graffiti razzisti. Oz ha condannato queste price tag come opera di «gruppi ebraici neo-nazisti». Il giorno dopo lo scrittore ha spiegato meglio le sue dure parole: «Il mio paragone si riferiva ai neo-nazisti e non ai nazisti. I nazisti costruiscono forni crematori e camere a gas. I neo-nazisti profanano i luoghi sacri e i cimiteri, picchiano persone innocenti e scrivono slogan razzisti. Lo fanno in Europa, e lo fanno anche qui (in Israele ndr)».
Oz ha dato voce a un sentimento condiviso sia dai liberali sia dai conservatori israeliani, i quali insieme hanno condannato questi attacchi definendoli ripugnanti. Ad esempio un commentatore israeliano ha affermato, in un articolo sul quotidiano Jerusalem Post, che «gli attacchi price tag vanno definiti come atti terroristici tanto quanto gli attacchi suicidi sugli autobus».
Tuttavia l’equazione tra price tag e attacchi suicidi, così come il provocatorio paragone di Oz con il neo-nazismo europeo, in un certo senso oscurano la violenza invece di rivelarne la natura. Entrambi i paragoni offuscano ciò che sta realmente accadendo in Palestina/Israele, invece di spiegarlo. Infatti, per comprendere le price tag occorre inscriverle dentro un contesto storico differente ed esaminarle in relazione all’archivio della violenza di Israele stesso.
Si pensi per un attimo a Meir Har Zion, la cui morte due mesi fa è stata accompagnata da necrologi in tutti i principali media nazionali israeliani, che lo hanno ricordato come un eroe leggendario. Har Zion è abbastanza rinomato per le sue pratiche di price tag. Nel 1953, insieme ad Ariel Sharon, fondò l’Unità Militare 101. Alcuni mesi dopo l’Unità 101 avrebbe messo in atto un «massacro retributivo» nel villaggio di Qibya. Gli osservatori Onu che arrivarono sul posto affermarono che «i corpi crivellati dai proiettili sulle porte d’ingresso delle case demolite indicano che gli abitanti sono stati costretti a rimanere dentro le loro abitazioni fino a che queste non sono poi state fatte saltare in aria». Secondo il biografo di David Ben Gurion, «settanta corpi sono stati rinvenuti tra le macerie, incluse decine di donne e bambini». Un anno dopo la sorella di Har Zion è stata uccisa nel deserto della Valle del Giordano, allora parte della Giordania. Quattro settimane dopo Har Zion si recò nello stesso deserto con alcuni amici per cercare vendetta. Catturarono sei palestinesi, ne uccisero cinque e lasciarono che il sesto tornasse al suo villaggio per raccontare l’accaduto. Va notato che molti israeliani hanno preso il nome di Har Zion in onore alle sue price tag e che per decenni molti soldati hanno giurato che avrebbero seguito le orme di Har Zion. Tuttavia Har Zion non è un caso limite, bensì un esempio paradigmatico delle violente scelte politiche punitive di Israele: dalle demolizioni di case e i coprifuoco della prima Intifada agli attacchi della seconda Intifada, sino ai più recenti bombardamenti e assedio su Gaza, questa violenza è stata sempre legittimata come una retribuzione per un qualche precedente atto palestinese, sin dalla fondazione dello stato di Israele. Allora la domanda nasce spontanea: perché le recenti price tag scandalizzano così tanto Amos Oz e alcuni politici israeliani?
Solitamente uno scandalo é considerato come un’eccezione che viene resa pubblica. Ma spiegando la violenza delle price tag come uno scandalo, Oz e i media israeliani la trasformano in un’eccezione e cercano di oscurare la violenza quotidiana che struttura il regime coloniale di Israele sin dalla sua fondazione. La sola differenza è che la prima forma di violenza è messa in atto da ronde di cittadini ebrei israeliani mentre la seconda è una violenza di stato. Tuttavia dipingere le price tag come violenza eccezionale aiuta proprio a legittimare le price tag di stato e la violenza ordinaria che ha dato forma all’esperienza quotidiana palestinese per decenni.
Questo trucco retorico risulta molto conveniente poiché permette a liberali e conservatori di fugare la questione della responsabilità. La violenza viene misurata in relazione a un «altro», l’estremista israeliano comparato con il neo-nazista europeo o l’attentatore suicida palestinese. E così la storia di Israele, una storia di price tag, viene cancellata.
*docente dell’Università Al Quds
**docente isrealiano dell’Università
Ben Gurion di Beersheva