Le quattro lezioni dell’Ucraina: i doppi standard occidentali

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Il Manifesto – Ilan Pappé, 06.03.2022

Un resistente palestinese=terrorista- un resistente ucraino=combattente per la libertà

 

Crisi ucraina: La visione di media e classi dirigenti in Occidente è segnata da

etnocentrismo e razzismo: dai rifugiati «simili a noi» alle «legittime» invasioni Usa in Medio

Oriente fino alla tollerabilità dei gruppi neonazisti. E infine alle politiche di oppressione di

Israele nei confronti dei palestinesi.

Secondo Usa Today, la foto diventata virale di un grattacielo ucraino colpito dai

bombardamenti russi ritraeva, in realtà, un grattacielo nella Striscia di Gaza, demolito

dall’aviazione israeliana nel maggio del 2021.

Qualche giorno prima, il ministro degli Esteri ucraino si era lamentato con l’ambasciatore

israeliano a Kiev: «Ci state trattando come Gaza», aveva detto, furioso, sostenendo che

Israele non aveva condannato l’invasione russa ed era interessato solo a far uscire dal

Paese i cittadini israeliani (Haaretz, 17 febbraio 2022).

Faceva riferimento all’evacuazione forzata dalla Striscia di Gaza delle donne ucraine

sposate con uomini palestinesi, nel maggio 2021, ma intendeva anche ricordare a Israele il

pieno sostegno dimostrato dal presidente ucraino in occasione dell’aggressione israeliana

ai danni della Striscia, sostegno su cui tornerò in seguito.

In effetti, le aggressioni contro Gaza dovrebbero essere tenute in debita considerazione nel

valutare l’attuale crisi in Ucraina. Il fatto che le immagini vengano confuse non è una pura

casualità: in Ucraina non sono stati colpiti molti grattacieli, mentre a Gaza è accaduto di

frequente.

Tuttavia, quando si analizza la crisi ucraina in un contesto più ampio, a emergere non è solo

l’ipocrisia occidentale sulla Palestina; l’intero sistema di double standards in uso in

Occidente andrebbe messo sotto accusa, senza restare indifferenti, neanche per un istante,

alle notizie e alle immagini che ci arrivano dalle zone del conflitto in Ucraina: bambini

traumatizzati, lunghe file di profughi, edifici danneggiati dai bombardamenti, e la minaccia

concreta che questo sia solo l’inizio di una catastrofe umanitaria nel cuore dell’Europa.

Al contempo, però, chi come noi vive, analizza e denuncia le tragedie che si verificano in

Palestina non può fare a meno di notare l’ipocrisia dell’Occidente, né smettere di

denunciarla, pur mantenendo salde la solidarietà umana e l’empatia con le vittime di ogni

guerra.

C’è bisogno di farlo, o la disonestà morale insita nelle scelte della classe dirigente e dei

media occidentali consentirà loro, ancora una volta, di mascherare il proprio razzismo e di

godere di totale impunità, mentre continua ad assicurare immunità a Israele e alle sue

politiche di oppressione nei confronti dei palestinesi.

Ho individuato quattro falsi postulati che sono alla base del coinvolgimento

dell’establishment occidentale nella crisi ucraina e ho pensato di dedurne quattro lezioni.

Lezione numero uno: i profughi bianchi sono i benvenuti, gli altri meno. La

decisione collettiva e senza precedenti da parte dell’Unione europea di aprire le porte ai

profughi ucraini, seguita da una più cauta politica da parte della Gran Bretagna, non passa

inosservata, se si considera la chiusura dei confini attuata dalla maggior parte dei Paesi

europei nei confronti dei rifugiati provenienti dal mondo arabo o dall’Africa, a partire dal

2015.

La chiara selezione su base razziale, che distingue i profughi in base al colore della pelle,

alla religione e all’etnia è abominevole, ma destinata a durare nel tempo. Alcuni leader

europei non si vergognano neanche di esternare pubblicamente il loro razzismo, come nel

caso del primo ministro bulgaro, Kiril Petkov: «Questi (i profughi ucraini) non sono i profughi

a cui siamo abituati, sono europei. Queste persone sono intelligenti e istruite. Non sono i

profughi a cui siamo abituati, persone di cui non conosciamo l’identità, con un passato poco

chiaro, che potrebbero anche essere terroristi».

Petkov non è il solo a pensarla così. I media occidentali parlano continuamente di «rifugiati

simili a noi» e questo razzismo è del tutto evidente ai confini tra l’Ucraina e i Paesi europei

limitrofi.

Questo atteggiamento razzista, con forti connotazioni islamofobe, non è un fenomeno

momentaneo, visto il rifiuto da parte dell’establishment europeo di accettare il tessuto

multiculturale e multietnico presente nelle loro società.

Una realtà variegata, prodotta da anni di colonialismo e imperialismo europeo, che gli

attuali governi d’Europa si ostinano a negare e ignorare mentre perseguono politiche

migratorie fondate sugli stessi principi razziali che hanno permeato il loro colonialismo e

imperialismo in passato.

Lezione numero due: si può invadere l’Iraq, ma non l’Ucraina. È alquanto

sconcertante la assoluta indisponibilità, da parte dei media occidentali, a contestualizzare

la decisione russa di invadere l’Ucraina all’interno di un’analisi più ampia – e ovvia – su

come siano cambiate le regole del gioco politico internazionale a partire dal 2003.

È difficile trovare un’analisi che sottolinei il fatto che Stati uniti e Gran Bretagna hanno

violato il diritto internazionale e la sovranità di uno Stato quando, con una coalizione di

Paesi occidentali, hanno invaso l’Afghanistan e l’Iraq.

L’occupazione di un Paese al fine di raggiungere le proprie finalità politiche, non è un

concetto inventato da Vladimir Putin in questo secolo: è stato introdotto e giustificato come

strumento politico dall’Occidente.

Lezione numero tre: in alcuni casi i neonazisti possono essere tollerati. Le analisi

tralasciano anche alcune considerazioni valide di Putin sull’Ucraina, che di certo non

giustificano l’invasione ma che devono essere tenute in conto anche durante l’invasione.

Prima che scoppiasse questa crisi, i media occidentali progressisti, come The Nation,

Guardian, Washington Post, ci mettevano in guardia contro il crescente potere dei gruppi

neonazisti in Ucraina e su come avrebbero potuto influenzare il futuro dell’Europa e del

mondo. Gli stessi giornali, oggi, sminuiscono la portata del Neo-nazismo in Ucraina.

Il 22 febbraio 2019 The Nation scriveva: «Notizie sempre più frequenti di episodi di violenza

da parte dell’estrema destra e di erosione delle libertà fondamentali smentiscono l’iniziale

euforia dell’Occidente. Si verificano pogrom contro i Rom, aggressioni sempre più frequenti

contro femministe e gruppi Lgbt, censure di libri e glorificazione di collaborazionisti nazisti

promossa dallo Stato».

Due anni prima, il 15 giugno 2017, il Washington Post sosteneva, con grande perspicacia,

che un eventuale scontro tra Ucraina e Russia non avrebbe dovuto farci dimenticare il

potere dei gruppi neonazisti in Ucraina: «Mentre continua lo scontro in Ucraina con i gruppi

separatisti sostenuti dai russi, Kiev deve fronteggiare un’altra minaccia alla sua sovranità: i

potenti gruppi ultranazionalisti di estrema destra. Questi gruppi non si fanno scrupoli a

usare la violenza per raggiungere i propri obiettivi, e questo si scontra con quell’immagine

di democrazia tollerante e vicina all’Occidente che Kiev cerca di diventare».

Ma oggi il Wp adotta un atteggiamento del tutto diverso e definisce l’etichetta di

neonazismo una «falsa accusa»: «In Ucraina operano diversi gruppi paramilitari nazionalisti,

come il battaglione Azov e il Pravyi Sector (Settore destro), che sposano l’ideologia

neonazista. Nonostante la continua esposizione, non sembrano avere un forte appoggio

popolare. Solo un partito di estrema destra, Svoboda, è rappresentato nel parlamento

ucraino, con un solo seggio».

I precedenti avvertimenti da parte di The Hill (9 novembre 2017), il maggiore sito di notizie

indipendente degli Stati uniti, sembrano ormai dimenticati: «Ci sono, innegabilmente, dei

gruppi neonazisti in Ucraina e questo è stato confermato da quasi tutti i principali media

occidentali. Il fatto che gli analisti possano sminuirlo come propaganda diffusa da Mosca è

molto inquietante. Soprattutto vista la crescita esponenziale di gruppi neonazisti e

suprematisti a livello mondiale».

Lezione numero quattro: abbattere un grattacielo è un crimine di guerra solo se

accade in Europa. Oltre ad avere connivenze con queste formazioni neonaziste e i con i

loro gruppi paramilitari, il governo ucraino è anche incredibilmente filo-israeliano.

Uno dei primi atti del presidente Volodymyr Zelensky è stato il ritiro dell’Ucraina dal

Comitato sull’Esercizio dei diritti inalienabili del popolo palestinese delle Nazioni unite –

l’unico tribunale internazionale che fa in modo che la Nakba non venga negata o

dimenticata.

Questa decisione è stata adottata dal presidente ucraino, che non ha mostrato alcuna

empatia nei confronti della tragedia dei profughi palestinesi, che lui non considera vittime

di alcun crimine. Nelle interviste rilasciate durante i selvaggi bombardamenti israeliani sulla

Striscia di Gaza nel maggio 2021, ha affermato che l’unica tragedia a Gaza era quella

vissuta dagli israeliani. Sarebbe come dire che i russi sono gli unici a soffrire in Ucraina.

Ma Zelensky non è il solo a pensarla così. Nel caso della Palestina, l’ipocrisia raggiunge

livelli inimmaginabili. Un grattacielo vuoto colpito in Ucraina è finito in prima pagina

ovunque, scatenando dibattiti e profonde analisi sulla brutalità umana, Putin e la

disumanità.

I bombardamenti vanno condannati, chiaramente, ma i leader che oggi si dicono sdegnati

sono rimasti in silenzio mentre Israele radeva al suolo la città di Jenin nel 2000, il quartiere

di Al-Dahaya a Beirut nel 2006 e Gaza City in una operazione dopo l’altra, nel corso degli

ultimi quindici anni.

Nessuna sanzione nei confronti di Israele è stata mai nemmeno discussa, figuriamoci

applicata, per tutti i crimini di guerra commessi dal 1948 a oggi. Anzi, in molti Paesi

occidentali che oggi sono tra i promotori delle sanzioni contro la Russia anche solo

nominare la possibilità di sanzionare Israele viene ritenuto illegale e tacciato di

antisemitismo.

Anche quando si assiste a espressioni di solidarietà con l’Ucraina in Occidente, non si può

fare a meno di notare il contesto razzista ed etnocentrico. L’imponente solidarietà collettiva

è riservata a chi sceglie di unirsi a quel blocco e sottostare a quella sfera di influenza.

Non scatta la stessa empatia quando una violenza simile, o persino peggiore, è attuata

verso popolazioni non europee in generale, e quella palestinese in particolare.

In quanto soggetti con una propria coscienza, noi abbiamo il diritto di interrogarci sulle

risposte alle calamità e abbiamo la responsabilità di evidenziare l’ipocrisia che, per certi

versi, ha spianato la strada a simili catastrofi.

Legittimare a livello internazionale l’invasione di Paesi sovrani e tacere sui processi di

colonizzazione e oppressione ai danni di altri, come la Palestina e il suo popolo, porterà a

ulteriori tragedie in futuro, in Ucraina come in ogni altra parte del mondo.

 

*Ilan Pappé è docente presso l’Università di Exeter ed è stato senior lecturer di scienze

politiche presso l’Università di Haifa. È l’autore de “La Pulizia etnica della Palestina” e “Dieci

Miti su Israele”. Pappé è definito come uno dei “nuovi storici” che, dopo la pubblicazione di

documenti britannici e israeliani a partire dai primi anni ‘80, hanno riscritto la storia della

fondazione di Israele nel 1948.

(Tradotto da Romana Rubeo)

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