L’Agonia del Sionismo Liberale in USA

Per gli Ebrei americani l’idea di Israele come democrazia liberale si sta rapidamente dissolvendo

Di Allan C. Brownfeld (1) , 4 aprile 2023    https://www.wrmea.org/israel-palestine/for-jewish-americans-the-idea-of-israel-as-a-liberal-democracy-is-rapidly-fading.html?mc_cid=37b574b263&mc_eid=5fd1912b43&ml_recipient=84734491973649598&ml_link=84734489303975003&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_term=2023-04-11&utm_campaign=4+6+23+The+Shift

Con la vittoria di Netanyahu alle elezioni israeliane di novembre e con l'ascesa al potere del suo governo di estrema destra, che comprende ministri apertamente razzisti il cui disprezzo per la democrazia è costantemente evidente, anche i più forti sostenitori ebrei di Israele negli Stati Uniti stanno facendo del loro meglio per distinguersi da quello che definiscono il "ritiro dalla democrazia" di quel Paese.

Tra coloro che hanno rilasciato dichiarazioni fortemente critiche nei confronti di Netanyahu e dei suoi colleghi di estrema destra ci sono il leader da lunga data della Anti-Defamation League Abraham Foxman, il professore di legge di Harvard Alan Dershowitz, gli editorialisti del New York Times Thomas Friedman e Bret Stephens, i deputati. Jerry Nadler (Democratico di New York) e Adam Schiff (Dem Californiano) e molti altri. A febbraio il Washington Post ha pubblicato un articolo con il titolo "Alcuni rabbini statunitensi rinunciano a pregare per Israele per protestare contro il governo di estrema destra". Il Post riferiva che "molti ebrei americani sono indignati dal nuovo governo israeliano e dalle sue tendenze antidemocratiche, che vanno contro i loro valori ebraici liberali". Nel mese di febbraio sono state presentate almeno tre petizioni con centinaia di firme, ognuna delle quali critica il nuovo governo e ciò che molti vedono come una tendenza potenzialmente autoritaria".

La Rabbina Jill Jacobs, direttrice della pro-palestinese T'ruah: The Rabbinic Call for Human Rights, ha osservato: "Anche i rabbini che di solito non si arrischiano a parlare di Israele, occupazione e democrazia, stanno ora affrontando qualche rischio in più". Il rabbino Sharon Brous, in un sermone del 4 febbraio alla comunità liberale IKAR di Los Angeles, ha detto: "Questa fase attuale di estremismo è stato a lungo in preparazione e il nostro silenzio ci ha resi complici". Ha criticato i leader e le comunità ebraiche che sono stati riluttanti a criticare Israele.

In realtà, Israele non è mai stata la democrazia di tipo occidentale che sosteneva di essere e che i suoi sostenitori ebrei americani credevano fosse. Questo fatto era ben compreso dagli israeliani. In un importante articolo pubblicato su Haaretz il 6 febbraio 2023 con il titolo "Over Decades, Democracy for Israelis Has Been a Military Junta for Palestinians" (Per decenni, la democrazia per gli israeliani è ha costituito una giunta militare per i palestinesi), la corrispondente Amira Hass, che vive nella Cisgiordania occupata, valuta le dure realtà che hanno sempre affrontato i palestinesi, sia all'interno di Israele che nei territori occupati. Hass osserva: "L'attuale governo è pericoloso per molti ebrei... ma prima di tutto è pericoloso per tutti i palestinesi, su entrambi i lati della Linea Verde. Potrebbe attuare vari piani di espulsione, che suoi ministri di peso, Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, hanno apertamente avanzato".

L'idea che Israele fosse una vera democrazia in passato è un'idea che Hass dimostra essere falsa: "Dopo tutto, molto prima che i ministri della Giustizia agissero per indebolire il sistema giudiziario - cosa che non ha mai fermato l'espropriazione e la discriminazione - l'espulsione dei palestinesi dalla loro patria è stata inserita nell'ideologia e nella prassi israeliana come un'opzione ben determinata. Prima ancora che lo Stato fosse fondato, tale ideologia considerava gli indigeni come un surplus non necessario che, nel migliore dei casi, doveva essere ignorato e, nel peggiore, eliminato".

Il pericolo dell'espulsione dei palestinesi è reale, secondo Hass, "perché la maggior parte dei manifestanti contro il governo è convinta che, finora, Israele fosse una democrazia. Sono stati e sono ancora volontariamente ciechi di fronte al fatto che la loro democrazia per gli ebrei è stata una giunta militare per i palestinesi. La dittatura di cui parlano è già in funzione da... decenni... Il regime militare israeliano sui palestinesi è costituito da un regime che assomma parlamento, governo, tribunale, carcerieri e boia... Controlliamo una popolazione conquistata, la priviamo dei diritti civili e... sosteniamo che tutto è legale e corretto... L’inasprimento del male Il peggioramento del danno pianificato e fatto contro i palestinesi ha una maggioranza alla Knesset che è assai più grande delle dimensioni della coalizione (Netanyahu)... La discriminazione contro i palestinesi fa parte del consenso".

L'abbraccio degli ebrei americani a Israele     E' istruttivo ripercorrere la storia dell'abbraccio totale della comunità ebraica americana organizzata a Israele e la sua ossessione nel difendere qualsiasi cosa Israele abbia fatto. Dopo la guerra del 1967, la comunità ebraica americana ha rivolto la sua attenzione alla memoria dell'Olocausto e alla promozione degli interessi israeliani. Il teologo Marc Ellis ha ipotizzato la nascita di una "teologia dell'Olocausto in cui emerge un ebraismo che fonde il suo patrimonio religioso e culturale con la fedeltà allo Stato di Israele". Il rabbino e filosofo Emil Fackenheim, nel suo libro To Mend the World (Riparare il Mondo), ha definito la difesa di Israele come la "realtà orientativa di tutto il pensiero ebraico e di tutto il post-Olocausto".

Naturalmente non mancarono i dissidenti. Il rabbino Arnold Jacob Wolf, ex assistente del rabbino Abraham Joshua Heschel e in seguito amico e mentore di un giovane Barack Obama, scrisse un saggio nel 1979, "Overemphasizing the Holocaust". In esso, Wolf lamentava il fatto che "nella scuola ebraica o nella sinagoga... non si impara a conoscere Dio o il Midrash... con la stessa attenzione con cui si impara a conoscere l'Olocausto". Peggio ancora, i leader ebraici americani stavano usando "la Shoah come modello per il destino degli ebrei, e così "Mai più" era diventato un modo per dire "prima gli ebrei e poi il diavolo"". Lo storico Peter Novick ha sostenuto che "man mano che la controversia mediorientale veniva vista all'interno del paradigma dell'Olocausto", essa diventava contemporaneamente "dotata di tutta la semplicità in bianco e nero dell'Olocausto" - un quadro che promuoveva "una posizione bellicosa nei confronti di qualsiasi critica a Israele".

Nel 1972, un gruppo di importanti rabbini e intellettuali liberali si riunì in un gruppo chiamato Breira (Scelta). Il gruppo chiedeva a Israele di "fare concessioni territoriali" e di "riconoscere la legittimità delle aspirazioni nazionali dei palestinesi", in modo da raggiungere un accordo di pace che riflettesse "l'idealismo e il pensiero di molti primi sionisti con cui ci identifichiamo".

Il presidente fondatore di Breira era il rabbino Arnold Wolf. Nel marzo 1973 egli scrisse sulla rivista ebraica Sh'ma: "Israele colonizza i territori 'amministrati' senza tenere conto del diritto internazionale o dei diritti dei palestinesi autoctoni... Israele può essere lo Stato ebraico, ma non è ora e forse non potrà mai essere Sion".

Breira subì duro attacco da parte dell'establishment ebraico. Il leader della Riforma Arthur Lelyveld accusò Breira di dare "aiuto e conforto... a coloro che vorrebbero tagliare gli aiuti a Israele e lasciarlo indifeso di fronte ad assassini e terroristi". L'ambasciatore di Israele negli Stati Uniti, Simcha Dinitz, mise in chiaro che tutte le differenze tra Israele e gli ebrei americani avrebbero dovuto essere discusse in terni riservati. Commentary lanciò un attacco definendo Breira "una vivida dimostrazione della penetrazione nella coscienza ebraica americana della campagna di delegittimazione di Israele".

Breira non riuscì a sopravvivere. Nell'inverno 1977-78 il Breira si sfasciò. Il rabbino Max Ticktin avrebbe osservato a posteriori: "Eravamo ingenui riguardo al potere dell'establishment ebraico e questo è emerso dolorosamente quando hanno iniziato ad attaccarci e a limitare la nostra attività".

I sionisti dichiarati si esprimono    Netanyahu ha detto chiaro che Israele non è la democrazia liberale che gli ebrei americani pensavano fosse. Ma i sionisti dichiarati si stanno esprimendo. Un articolo del Washington Post ha titolato: "Siamo sionisti americani liberali. Siamo al fianco dei manifestanti di Israele". Gli autori sono tre sionisti di spicco: Paul Berman, critico di Tablet e membro del comitato editoriale di Dissent; Martin Peretz, ex editore di The New Republic; e Leon Wieseltier, ex redattore letterario di The New Republic.

Scrivono: "Non si tratta solo della proposta di legge che limita il potere della Corte Suprema, l'unico controllo e bilanciamento del sistema israeliano, una legge che Netanyahu ha proposto apparentemente con lo scopo di salvarsi dal suo proprio pantano legale. Un certo numero di razzisti, misogini, omofobi e teocrati hanno occupato potenti posti ministeriali nel suo governo, e l'intero spirito della loro avventura politica è visibilmente ostile alla cultura della tolleranza democratica e della razionalità".

Per quanto riguarda i palestinesi, gli autori hanno osservato che: "Il nuovo governo minaccia i palestinesi della Cisgiordania occupata, che dovranno affrontare una campagna sempre più aggressiva per la creazione di ulteriori insediamenti ebraici. Minaccia i cittadini palestinesi di Israele propriamente detti, che dovranno affrontare sfide crescenti al loro status legittimo nella società israeliana... Israele... ha bisogno e merita il massimo sostegno politico nei confronti dei manifestanti israeliani nelle strade...".

"Perché la destra pro-coloni odia così tanto il sistema giudiziario di Israele", pubblicato su The Washington Jewish Week, è stato scritto da Susie Gelman, presidente del consiglio di amministrazione dell'Israel Policy Forum, un gruppo fondato nel 1993 che sostiene la soluzione dei due Stati. Scrive: "La decadenza democratica di Israele non può essere discussa senza menzionare il conflitto palestinese. La Corte Suprema è un pilastro fondamentale della democrazia israeliana, ma non è l'unico. Perché, allora, gli aspiranti autoritari e teocrati della coalizione l'hanno presa di mira per prima?... La risposta ovvia è che la Corte... è ampiamente considerata dalla destra israeliana come un ostacolo all'insediamento ebraico in Cisgiordania e a una visione espansiva della Grande Israele....Nel 1979, la Corte ha emesso un importante verdetto che vietava la creazione di insediamenti su terreni privati nei territori occupati".

Poi, sottolinea Gelman, "c'è stata la 'rivoluzione giudiziaria' degli anni '90, in cui la Corte... ha sviluppato un approccio più simile al controllo giudiziario negli Stati Uniti e in altri Paesi, ovvero la capacità di annullare le leggi incostituzionali (o, nel caso di Israele, la legislazione che violava le leggi fondamentali quasi costituzionali). Con l'aumento del raggio d'azione della corte, sono cresciuti anche i timori dei sionisti religiosi e dei coloni che essa possa ostacolare i loro obiettivi... Il nuovo governo non lascia molto spazio all'interpretazione. Oltre alle intenzioni sul tribunale, la coalizione è entrata in carica dopo aver annunciato piani audaci per legalizzare insediamenti in Cisgiordania finora non autorizzati".

In un importante articolo, "L'agonia del sionismo liberale", pubblicato dall'agenzia di stampa internazionale Pressenza, Yakov Rabkin, professore emerito di storia all'Università di Montreal, valuta la crescente crisi del sionismo. L'autore del libro What Is Modern Israel? scrive: "Il nuovo governo potrebbe distruggere l'ultima delle due illusioni care ai sionisti liberali, illusioni strumentali al mantenimento del sostegno occidentale a Israele. Oltre mezzo milione di coloni nei territori conquistati da Israele nel 1967 ha ucciso la prospettiva di una soluzione a due Stati. È stata confermata come morta e sepolta, anche se i governi occidentali continuano a renderle un omaggio a parole. L'attuale governo israeliano sta sferrando un colpo mortale alla seconda, quella di uno "Stato ebraico e democratico". Queste due illusioni hanno a lungo nascosto la realtà della supremazia sionista sui palestinesi. A differenza dei manifestanti di Tel Aviv che decantano i pericoli della democrazia, i palestinesi sanno da tempo che la democrazia di Israele è, in realtà, un'etnocrazia che li opprime".

Secondo Rabkin, "la supremazia etnica è alla base del progetto sionista. È stata sancita legislativamente nel 2018, quando la Knesset ha adottato una legge fondamentale che proclama che Israele è lo Stato-nazione del popolo ebraico, piuttosto che uno Stato appartenente al popolo che lo abita. Questa legge offre protezione legale alla pratica consolidata della discriminazione contro i cittadini palestinesi di Israele... Rispettabili organizzazioni per i diritti umani in Israele e altrove hanno concluso che Israele pratica una forma di apartheid".

Il sionismo, sostiene Rabkin, è "una varietà di nazionalismo etnico europeo". L'estrema destra ora al potere, dichiara Rabkin, "riflette i valori costitutivi del sionismo e non è timida nell'affermarli... L'attuale governo mina l'illusione del sionismo liberale, un ossimoro politico".

Scrivendo sul New York Times, Peter Beinart, professore alla City University di New York e redattore di Jewish Currents - nonché ex sionista - titola il suo articolo "Non si può salvare la democrazia in uno Stato ebraico". Egli osserva che alle manifestazioni in Israele contro le riforme giudiziarie e di altro tipo proposte da Netanyahu partecipano pochissimi palestinesi. Il motivo, suggerisce, è che "non è un movimento per la parità di diritti. È un movimento per preservare il sistema politico che esisteva prima che la coalizione di destra di Netanyahu prendesse il potere e che non era, per i palestinesi, una vera democrazia liberale. È un movimento per salvare la democrazia liberale per gli ebrei".

I termini utilizzati quando si parla di Israele come "democrazia" sono confusi. Beinart fornisce questa valutazione: "Democrazia significa governo del popolo. Stato ebraico significa governo da parte degli ebrei... Gli ebrei comprendono solo la metà del popolo tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo... Per la maggior parte dei palestinesi sotto controllo israeliano - quelli della Cisgiordania e della Striscia di Gaza - Israele non è una democrazia. Non è una democrazia perché i palestinesi nei territori occupati non possono votare per il governo che domina le loro vite... Nel 2018, la Knesset ha approvato una legge che riafferma l'identità di Israele come "Stato-nazione del popolo ebraico", il che significa che il Paese appartiene agli ebrei come me che non vivono lì, ma non ai palestinesi che vivono sotto il suo controllo, nemmeno ai pochi fortunati che hanno la cittadinanza israeliana. Tutto questo è accaduto prima che il nuovo governo di Netanyahu prendesse il potere. Questa è la vibrante democrazia liberale che i sionisti liberali vogliono salvare... In definitiva, un movimento basato sull'etnocrazia non può difendere con successo lo Stato di diritto. Solo un movimento per l'uguaglianza può farlo".

(1)Allan C. Brownfeld è editorialista e redattore associato della Lincoln Review, una rivista pubblicata dal Lincoln Institute for Research and Education, e redattore di Issues, la rivista trimestrale dell'American Council for Judaism.

Traduzione a cura di Claudio Lombardi, Associazione di Amicizia Italo-Palestinese