"Iron Dome" non è un sistema difensivo

L'Iron Dome non può essere considerato un sistema "salvavita" in nessun sistema di valori che riconosca l'umanità dei palestinesi.

di Dylan Saba

Jewish Currents, 25.05.2023

Giornalisti e commentatori spesso descrivono i frequenti attacchi di Israele alla Striscia di Gaza - la piccola enclave costiera che controlla via terra, mare e aria - come "scambi di ostilità". Questa terminologia (e simili altre:  "escalation di violenza", "aumento delle tensioni") svela l'immensa differenza di potere tra l'esercito israeliano e i quasi due milioni di palestinesi che tiene in ostaggio a Gaza. In effetti, anche un'occhiata superficiale alle vittime documentate da quando Israele ha imposto il blocco della Striscia nel 2007 rivela un'enorme perdita di vite umane sul lato palestinese del confine e solo occasionalmente una morte civile israeliana. Secondo i dati delle Nazioni Unite, dall'inizio del 2008 sono stati uccisi 2.774 civili palestinesi a Gaza, mentre nello stesso periodo solo 30 civili israeliani sono stati uccisi da militanti palestinesi.

Questa palese asimmetria è in parte dovuta al sistema di difesa aerea Iron Dome, un progetto militare co-prodotto dall'azienda di difesa israeliana Rafael e dal produttore di armi statunitense Raytheon. Il sistema, che ha la capacità di intercettare la stragrande maggioranza dei proiettili a corto raggio sparati dai militanti nella Striscia, gode di un sostegno politico bipartisan negli Stati Uniti; il Congresso lo ha finanziato fin dal suo sviluppo. Dopo gli attacchi su Gaza della scorsa estate, il presidente Joe Biden ha elogiato l'Iron Dome, che secondo lui ha "intercettato centinaia di razzi e salvato innumerevoli vite". L'anno precedente, quando il senatore repubblicano Rand Paul aveva inizialmente bloccato una serie di finanziamenti d'emergenza per Iron Dome, il senatore democratico Bob Menendez aveva criticato la mossa dall'aula del Senato. "Iron Dome è un sistema puramente difensivo che protegge i civili. Salva vite umane, indipendentemente dalla religione o dall'etnia", ha dichiarato Menendez. "Inoltre, salvando quelle vite, Iron Dome preserva anche lo spazio diplomatico per la de-escalation, la comunicazione e ulteriori negoziati sulla sicurezza a lungo termine di Israele e Palestina e sul futuro di una soluzione negoziata a due Stati".

Questa visione ristretta riflette il totale disprezzo della vita palestinese, endemico nella politica estera statunitense. Annullando quasi completamente la capacità dei gruppi militanti di Gaza di rispondere alle incursioni israeliane, l'Iron Dome, apparentemente difensivo, permette a Israele di colpire senza temere ripercussioni. E poiché il costo è così basso se misurato in termini di vittime israeliane, Israele può condurre una guerra perpetua senza subire conseguenze politiche interne né essere sottoposto a pressioni esterne per perseguire la diplomazia con i palestinesi. "In teoria, un'arma come Iron Dome potrebbe essere usata solo a scopo difensivo. Ma in pratica non funziona così", ha dichiarato l'analista Nathan Thrall a Jewish Currents. "Iron Dome facilita maggiori misure offensive israeliane, perché abbassa il costo percepito da Israele di un'escalation, di un'estensione o di un inizio di attacchi". In altre parole, mentre Iron Dome può prevenire la morte di non combattenti israeliani, ha reso più facile per Israele impegnarsi in operazioni mortali che tolgono vite ai palestinesi. In effetti, è proprio il contrario di quanto dice  Menendez: piuttosto che preservare lo spazio per la diplomazia, Iron Dome consente a Israele di impegnarsi nello status quo dell'occupazione permanente. La sua funzione ultima è quella di radicare un conflitto già asimmetrico in uno stato di continuo spargimento di sangue, esproprio e devastazione per i palestinesi di Gaza.

Un gazawi nato nel 2005 - l'età media nella Striscia è di 18 anni - è sopravvissuto a due invasioni di terra israeliane: a quattro anni ha vissuto l'operazione Piombo Fuso, quando un'invasione di terra combinata con assalti aerei causò la morte di 1.400 palestinesi. A nove anni ha assistito all'operazione Protective Edge, quando un'altra invasione e una serie di bombardamenti uccisero 2.200 palestinesi. Ha anche vissuto una serie di assalti solo aerei: L'operazione Pilastro di Difesa nel 2012 (quando aveva sette anni), l'operazione Guardiano dei Muri nel 2021 (quando aveva 16 anni), e assalti più modesti ma comunque mortali l'anno scorso e di nuovo questo mese. Una vita straziante, interamente trascorsa chiusi in un'area grande meno della metà di New York e con la terza densità di popolazione più alta al mondo.

L'Iron Dome è diventato una componente critica della strategia israeliana per creare queste condizioni. Preoccupati dalle risorse militari che sarebbero necessarie per rioccupare la Striscia o per affrontare le forze che potrebbero prendere il potere in un vuoto politico, Israele mira invece a mantenere la posizione di Hamas come autorità di governo di Gaza, limitando al contempo la sua capacità di arrecare danni sostanziali. In un rapporto del 2014 successivo all'operazione Protective Edge, la RAND Corporation - un'organizzazione no-profit statunitense che si occupa di politica e strategia - ha sintetizzato l'approccio: "Israele deve esercitare una forza sufficiente a dissuadere Hamas dall'attaccare, ma non così tanta da rovesciarne il regime". Come ha detto un'analista della difesa israeliana, "vogliamo rompergli le ossa senza mandarli all'ospedale"".

Negli anni trascorsi dall'inizio del blocco, come ha scritto la settimana scorsa Joshua Leifer su Jewish Currents, Israele ha adottato quella che viene eufemisticamente definita una politica di "gestione della crisi", con la quale evita sia la guerra su larga scala che la soluzione negoziale, preferendo invece mantenere la sua morsa economica e politica sulla Striscia. In questo caso, la difesa missilistica è fondamentale, sia per tenere a bada Hamas e altri gruppi militanti, sia per gestire il modo in cui le operazioni sono viste dall'opinione pubblica israeliana. Il rapporto di RAND sottolinea il ruolo di quella che definisce "la percezione del successo" nel sostenere il sostegno politico agli impegni militari, spiegando che non è solo la prevenzione di vittime israeliane da parte del sistema, ma anche la narrazione della sua impenetrabilità a rafforzare in modo così efficace la fiducia di Israele. Nel 2014, questa fiducia ha fatto guadagnare a Israele il tempo necessario per condurre una guerra più prolungata. In altre parole, riducendo la minaccia di vittime da parte dei razzi palestinesi e instillando un senso di sicurezza nel popolo israeliano, Iron Dome fornisce una copertura politica per una guerra senza fine.

I sostenitori del sistema Iron Dome affermano spesso che esso salva le vite dei palestinesi riducendo la probabilità di invasioni di terra israeliane, che provocano un gran numero di vittime civili. Non è chiaro se questo sia il caso: c'è stata un'invasione di terra a Gaza prima dell'installazione del sistema e una dopo, quest'ultima più lunga e più letale. Il rapporto di RAND sottolinea direttamente questo punto: riducendo la minaccia percepita del lancio di razzi, l'Iron Dome "ha alleggerito la pressione politica sui leader israeliani per una rapida conclusione del conflitto [del 2014] e ha permesso un'operazione più deliberata, anche se più lenta". Anche se il sistema avesse impedito altre invasioni di terra, non è chiaro se questo rappresenti un beneficio materiale per i palestinesi. L'Iron Dome, scrive Khaled Elgindy, direttore del programma del Middle East Institute sulla Palestina e gli affari israelo-palestinesi, "è più probabile che sia costato vite palestinesi, approfondendo un conflitto già ampiamente asimmetrico ed estendendo la capacità di Israele di rinviare indefinitamente una soluzione politica". Poiché neutralizza efficacemente la capacità di deterrenza dei militanti palestinesi, il sistema ha fatto che nessuna delle fazioni politiche di Gaza abbia un reale potere di prevenire gli assalti alla popolazione intrappolata; quindi, ha contribuito a sostenere una vita di violenza per il popolo gazawi.

Questa tragedia prolungata è continuata questo mese, quando gli attacchi aerei israeliani hanno ucciso 33 palestinesi in soli cinque giorni e ne hanno feriti altri 90. Come al solito, il costo umano dei bombardamenti militari è stato molto alto. Come al solito, il costo umano dell'impegno militare è stato nettamente diseguale: la Jihad islamica, la seconda fazione armata di Gaza, ha lanciato centinaia di razzi e altri proiettili verso Israele nello stesso periodo, uccidendo un israeliano e ferendone altri nove dopo che un presunto malfunzionamento di Iron Dome ha permesso a un missile di colpire un edificio di Tel Aviv nel sobborgo di Rehovot. Anche un operaio palestinese che lavorava all'interno di Israele è stato ucciso dal fuoco dei razzi. Come nota Leifer, un numero limitato di vittime israeliane è una parte accettata del paradigma di gestione del conflitto (anche se è possibile che anche quella singola morte israeliana abbia contribuito ad accelerare il cessate il fuoco mediato dall'Egitto; i negoziati, che secondo quanto riferito erano in fase di stallo, hanno iniziato a progredire il giorno successivo).

L'ultimo attacco dimostra anche il tipo di calcoli politici che i leader israeliani fanno in assenza di una reale minaccia di rappresaglia. Gli analisti hanno ipotizzato che la decisione del Primo Ministro Benjamin Netanyahu di lanciare un'operazione sia stata guidata, almeno in parte, dal desiderio di pacificare l'ala destra della sua coalizione e di distogliere l'attenzione dalle turbolenze politiche interne. In effetti, l'assalto ha galvanizzato il sostegno dell'opinione pubblica israeliana, fornendo una spinta politica molto necessaria a Netanyahu e alla sua fragile coalizione. La protesta settimanale antigovernativa dell'opposizione - che fa parte di una serie di azioni civili che contestano la revisione giudiziaria proposta dal governo Netanyahu - è stata annullata per la prima volta dal suo inizio all'inizio di gennaio. Sebbene la motivazione addotta sia stata quella della sicurezza, i partiti di opposizione e gli organizzatori della protesta hanno ampiamente sostenuto l'assalto. Questi eventi illustrano il modo in cui l'Iron Dome ha permesso ad altre esigenze politiche di dominare il processo decisionale di Israele su quando e come fare la guerra. "Come ogni Stato, Israele fa un calcolo costi-benefici quando decide se iniziare o meno un attacco", ha detto Thrall. Iron Dome riduce il prezzo che Israele paga per i suoi attacchi - soprattutto in termini di vite umane, ma anche di danni alle proprietà - e quindi rende più probabile che gli attacchi israeliani si verifichino". . . Questo è un caso in cui i forti fanno quello che possono fare e i deboli subiscono quello che devono subire".

Nonostante il suo ruolo nel cementare uno status quo mortale per i palestinesi, il sostegno all'Iron Dome è quasi indiscusso negli Stati Uniti. Qualche piccolo segno di cedimento è comparso nel 2021, quando l'ultimo grande assalto di Israele a Gaza è stato accolto da critiche senza precedenti da parte del mainstream politico. Quando, nell'autunno di quell'anno, il Congresso ha approvato un miliardo di dollari di assistenza militare supplementare a Israele per l'Iron Dome, otto democratici - guidati dalla rappresentante Rashida Tlaib, l'unico membro palestinese americano del Congresso - hanno espresso il primo voto in assoluto contro il finanziamento del sistema, sostenendo che tutti gli aiuti militari a Israele dovrebbero essere condizionati al rispetto dei diritti umani dei palestinesi. In modo controverso, la deputata Alexandria Ocasio-Cortez il deputato Jamaal Bowman, entrambi appoggiati all'epoca dai Democratic Socialists of America (DSA), hanno votato contro il finanziamento (AOC si è astenuta, mentre Bowman, che in seguito ha perso l'appoggio dei DSA, ha votato a favore). Allo stesso modo, la rappresentante Betty McCollum, considerata come una delle più strenue sostenitrici della Palestina al Congresso, ha votato a favore del finanziamento sostenendo che Iron Dome protegge gli innocenti: "Ho votato a favore della legge odierna perché è destinata a salvare vite umane", ha dichiarato in un comunicato. Alla fine, quest'ultima argomentazione si è rivelata insormontabile e il finanziamento è passato con un voto di 420 a 9.

Sebbene la disputa del 2021 non sia riuscita a galvanizzare una significativa opposizione progressista all'Iron Dome, ha aperto un dibattito all'interno della sinistra statunitense sul ruolo del sistema nel più ampio apparato di repressione di Israele. Anche all'interno di ambienti in cui le dichiarazioni di solidarietà con i palestinesi sono onnipresenti, l'opposizione a questa tecnologia apparentemente difensiva e salvavita è spesso derisa come una questione di "politica dura e pura" - un'espressione che la scrittrice e attivista Hadas Thier ha usato in un articolo di Jacobin sostenendo che sanzionare Bowman per il suo "" sarebbe "confinare [la sinistra] a ... una continua marginalità". L'opposizione ad Iron Dome, tuttavia, non è una questione simbolica, ma piuttosto una questione terribilmente concreta. In poche parole, il sistema di difesa missilistica di Israele costa vite palestinesi e perpetua la morsa economica e militare di Gaza.

Alla luce del suo ruolo nel consolidare uno status quo mortale, l'Iron Dome non può essere considerato "salvavita" in nessun sistema di valori che riconosca la vita palestinese accanto a quella israeliana. I sostenitori della Palestina dovrebbero opporsi al suo finanziamento non solo perché si oppongono agli aiuti militari per Israele in generale, ma per il motivo specifico che, privando i palestinesi anche dei più limitati mezzi di deterrenza militare, gli Stati Uniti hanno dato a Israele un assegno in bianco per massacrare i gazawi ogni volta che sia politicamente conveniente. Soprattutto in assenza di una volontà politica da parte degli israeliani di porre fine al devastante assedio e al blocco, i palestinesi, in lotta disperata per la vita, hanno dimostrato che continueranno a combattere. Finanziando un sistema che garantisce che i loro atti di resistenza non abbiano quasi alcuna conseguenza per i loro oppressori, li stiamo consegnando alla morte.

 

Traduzione a cura dell'Associazione di Amicizia Italo-Palestinese Onlus, Firenze