Cinque letture di autori palestinesi, ebrei e occidentali sul contesto e le conseguenze della Nakba
di Shafik Mandhai
Middle East Eye, 15 maggio 2024
Ogni anno, il 15 maggio, i palestinesi ricordano la Nakba (catastrofe), la pulizia etnica della Palestina e la distruzione quasi totale della società palestinese nel 1948.
Per il popolo palestinese la Nakba è un momento cruciale della storia nazionale. Tra il 1947 e il 1949, le forze sioniste sequestrarono oltre il 78% della Palestina storica ed espulsero almeno 750.000 palestinesi dalle loro terre e case.
Gli eventi che hanno portato alla creazione di Israele sono stati scrutinati e discussi da israeliani, palestinesi e accademici di tutto il mondo per decenni.
Mentre il ricordo della Nakba brucia forte nella mente dei palestinesi, in Israele la questione è raramente discussa nella sfera pubblica e pochi accademici o giornalisti sono disposti a farlo per paura della censura.
Per gli israeliani, la narrazione è di un ritorno alla loro terra natale dopo migliaia di anni di esilio e persecuzione.
Ma per i palestinesi, è una storia di espulsione sotto la minaccia delle armi da parte delle milizie sioniste sostenute dall’Occidente. E di massacri, come quelli di Deir Yassin e Tantura.
Oggi, coloro che sono stati espulsi e i loro discendenti non sono ancora autorizzati a tornare a casa. Per molti, l’esilio dalla Palestina significa vivere in campi profughi sparsi in tutto il Medio Oriente, spesso senza cittadinanza o comunque di pieni diritti nel paese ospitante.
In questo senso, la Nakba continua ancora oggi.
Mentre non mancano i libri sull'argomento, l'enorme scelta disponibile può facilmente sopraffare coloro che vogliono capire il problema.
Con questo in mente, Middle East Eye suggerisce cinque libri per capire la Nakba.
La lista non è affatto esaustiva, ma offre a chi si avvicina alla questione una solida base per capire come è nata la Nakba e il suo impatto sui palestinesi.
La pulizia etnica della Palestina di Ilan Pappe
Nei 75 anni trascorsi dalla Nakba, gli scrittori israeliani hanno offerto diverse spiegazioni per quello che è successo ai palestinesi che vivevano all’interno dei confini del moderno stato di Israele. Secondo alcune versioni, se ne sarebbero andati volontariamente, secondo altre non erano mai stati lì, e altri preferiscono lasciare la domanda senza risposta.
Lo storico israeliano e accademico dell’Università di Exeter Ilan Pappe cerca di rispondere definitivamente alla domanda in "La pulizia etnica della palestina", il suo monumentale studio della Nakba.
Il libro offre una descrizione quasi intima di ciò che motivò i leaders sionisti dell’epoca, tramite l'analisi di documenti ufficiali israeliani, archivi palestinesi e diari di leader israeliani, tra le altre fonti.
La conclusione che il lettore può trarre dalla ricerca di Pappe è che la Nakba è stata un processo sistematico, deliberatamente pianificato dai futuri leader di Israele e non dovuto semplicemente ad una fuga casuale dei palestinesi, che nella nebbia della guerra si trovarono chiusi fuori dalle loro case per sempre.
Dalla ricerca di Pappe, capiamo che gli obiettivi principali del movimento sionista erano affrontare la percepita minaccia demografica posta da una maggioranza araba, così come assicurarsi il controllo della maggior parte possibile della Palestina mandataria.
Il libro ha una meticolosa bibliografia e non manca di citazioni da parte dei leader israeliani che spiegano in termini espliciti il loro desiderio di ridurre la popolazione araba del mandato, come riassunto sinteticamente nel "Piano Dalet" della milizia dell’Haganah: “Le forze armate palestinesi devono essere spazzate via e la popolazione espulsa fuori dai confini dello stato”.
Ritornando a Haifa di Ghassan Kanafani
Chiamato anche Ritorno ad Haifa a seconda della traduzione utilizzata, il romanzo di Ghassan Kanafani è un’esplorazione toccante delle complessità della perdita che ha accompagnato la Nakba.
Nel libro, una coppia di rifugiati palestinesi torna a casa nella loro omonima città per trovarla abitata da una coppia ebrea, una visita resa particolarmente difficile dal ricordo del loro figlio neonato, scomparso durante gli eventi del 1948.
Il figlio, traspare, è stato trovato dalla coppia israeliana e cresciuto come proprio; chiamato Dov, cresciuto come ebreo e arruolato nell’esercito israeliano.
Nella negazione, consumato dalla rabbia dopo la rivelazione, Dov rimprovera i suoi genitori biologici, incolpando loro stessi della loro perdita: “Non avreste dovuto lasciare un bambino nella sua culla”.
e allude al senso di colpa di molti palestinesi, tormentati per non essere rimasti nelle loro comunità di fronte all’avanzata sionista.
Alla fine, Dov viene lasciato in uno stato di agitazione, senza che si sappia se ammorbidirà la sua posizione nei confronti dei genitori biologici e li riammetterà nella sua vita; una rappresentazione della posizione in cui si trovavano i palestinesi quando Kanafani scrisse la storia nel 1969 e in cui continuano a trovarsi ancora oggi.
Lo Stato ebraico di Theodor Herzl
L’importanza di questo libro da parte del fondatore del moderno movimento sionista risiede nel suo valore come documento storico, insieme al modo in cui rivela il suo ingenuo idealismo.
Quando fu pubblicato per la prima volta nel 1896, l’idea di uno stato ebraico in Palestina era percepita come un sogno irrealizzabile. Se c'erano coloni proto-sionisti all'interno di quello che allora era un territorio ottomano, questi rappresentavano una piccola minoranza della popolazione complessiva della regione composta da residenti indigeni musulmani, cristiani, drusi ed ebrei.
Herzl sentiva l'urgente bisogno che gli ebrei avessero una loro patria, in cui essere al sicuro dall’antisemitismo europeo.
I lettori potranno essere sorpresi di scoprire che, se la Palestina è menzionata come una potenziale casa per il popolo ebraico, vengono proposti anche altri candidati.
La Palestina, secondo Herzl, era la “dimora storica di perenne memoria degli ebrei”, ma l’Argentina era “uno dei paesi più fertili del mondo, si estendeva su una vasta area, con una popolazione scarsa e un clima mite”.
Il testo menziona anche il territorio britannico dell'Uganda nell'Africa centrale come un'altra opzione per lo stato.
Ma gli sforzi più significativi di Herzl si concentrarono sull’acquisizione della Palestina, e con questo obiettivo in mente fece pressioni sui diplomatici tedeschi e cercò di organizzare l’acquisto del territorio dal sultano ottomano, un accordo che sarebbe stato finanziato da un consorzio di uomini d’affari ebrei.
Naturalmente, i turchi non apprezzarono l'idea. Ma in caso contrario, che cosa avrebbe fatto della popolazione palestinese?
Lo Stato ebraico non entra nel dettaglio, ma sembra ipotizzare una sorta di accordo locale con i residenti esistenti, che avrebbero beneficiato della presenza ebraica sulla loro terra.
Herzl entra più in dettaglio nel suo romanzo "Vecchia terra nuova", in cui un arabo serve come ministro nello Stato ebraico e ebrei e arabi vivono fianco a fianco in Palestina.
Si discute ancora se questo sia stato un cinico tentativo di placare le preoccupazioni sul futuro della popolazione nativa o una visione idealistica in cui credeva sinceramente. Herzl morì nel 1904 all'età di soli 44 anni prima che qualcuno potesse confermare entrambe le teorie.
Eredità dell'impero di Gardner Thompson
Una accurata e intrigante ricerca sul ruolo britannico in vista della creazione di Israele. Il lavoro di Gardner Thompson è probabilmente uno dei libri meno conosciuti in questa lista, ma è una lettura essenziale per chiunque voglia capire come è nata la Nakba.
Partendo dalle prime correnti del sionismo, Thompson identifica il movimento creato da Herzl come un movimento marginale con alcuni seguaci influenti.
Fortunatamente per i sionisti, quei pochi includevano figure come Chaim Weizmann, un chimico e emigrato ebreo russo che si guadagnò l’ammirazione di molti nell’élite britannica per il suo ruolo nello sviluppo di esplosivi a base di cordite durante la prima guerra mondiale.
Gli obiettivi di questi leader sionisti si intrecciavano con quelli di antisemiti e filosemiti all’interno dell’establishment britannico.
I primi era guidati dal principio che Thompson descrive come "nimby-ism" ("non nel mio giardino"), secondo cui gli ebrei, molti dei quali erano arrivati in Gran Bretagna dall'Europa orientale, si dovevano semplicemente trasferire da qualche altra parte.
Il secondo gruppo, che di base era ugualmente antisemita, era spinto da una miscela di fondamentalismo e razzismo cristiani nei confronti dei musulmani.
Per molti ebrei in Gran Bretagna e in Europa, l’idea di una patria ebraica separata, lontana da dove vivevano, rafforzò l’idea che gli ebrei non fossero nativi dei loro paesi e che la loro lealtà dovesse rivolgersi altrove.
Un leader fra gli oppositori del sionismo fu l’unico membro ebreo del gabinetto britannico, Edwin Montagu, le cui eloquenti richieste di non cedere alle pretese sioniste caddero nel vuoto.
Il risultato fu la Dichiarazione Balfour e una tragica commedia durata tre decenni, in cui la Gran Bretagna cercò di bilanciare il suo impegno nei confronti dei sionisti e la necessità di placare la popolazione araba della Palestina mandataria.
La guerra dei cent'anni contro la Palestina di Rashid Khalidi
Il lavoro dello storico palestinese-americano Rashid Khalidi fornisce un’ampia panoramica degli eventi che portano alla Nakba e oltre.
Khalidi racconta la prima corrispondenza di Herzl con i leader palestinesi alla fine del XIX secolo – fra cui un suo parent – e conclude che il progetto sionista aveva in mente il colonialismo e lo spostamento della popolazione sin dalla sua concezione.
Il libro descrive in dettaglio il lento distacco della Palestina storica dalla sua popolazione nativa a partire dalla prima guerra mondiale, istigato inizialmente dagli inglesi e successivamente dalla Società delle Nazioni e in seguito dalle Nazioni Unite.
Una lezione essenziale del libro è che non dovremmo guardare all’espropriazione dei palestinesi solo all’interno del binario dei sionisti contro gli arabi, ma piuttosto come un processo a molti livelli che coinvolgeva anche attori internazionali.
Lucido e completo, il libro è un resoconto essenziale della storia palestinese.
Traduzione a cura dell'Associazione di Amicizia Italo-Palestinese Onlus, Firenze