Un altro «no» degli intellettuali al genocidio a Gaza

Appello Stop alle relazioni con le istituzioni letterarie israeliane: l'appello di The Palestine Festival of Literature firmato da Judith Butler, Annie Ernaux e Silvia Federici

Foto: Appello per il boicottaggio degli investimenti in Israele – Ansa

Enrica Muraglie

«Si tratta di un genocidio, come affermano da mesi i principali studiosi e le istituzioni. I funzionari israeliani parlano chiaramente delle loro motivazioni per eliminare la popolazione di Gaza, per rendere impossibile la creazione di uno Stato palestinese e per appropriarsi della terra. Questo segue 75 anni di sfollamento, pulizia etnica e apartheid».

Con queste premesse più di mille tra scrittori, ricercatori e lavoratori del mondo della cultura rifiutano la collaborazione con le istituzioni letterarie israeliane, in un appello diffuso ieri sul sito di The Palestine Festival of Literature, il primo che unisce le voci del mondo intellettuale occidentale e non solo.

«La cultura ha svolto un ruolo integrale nella normalizzazione di queste ingiustizie. Le istituzioni culturali israeliane, che spesso lavorano direttamente con lo Stato, sono state cruciali nel mascherare o nascondere artisticamente l’oppressione di milioni di palestinesi per decenni», si legge nel testo della chiamata, che interroga editori, redattori e agenti sulla propria responsabilità morale e li invita a prendere una posizione sul conflitto israelo-palestinese.

TRA I FIRMATARI, la filosofa americana Judith Butler, la scrittrice premio Nobel Annie Ernaux, l’indiana Arundhati Roy e l’italiana Silvia Federici, il cui posizionamento di femminista anticapitalista, antirazzista e anticoloniale è noto.

«Non è possibile sapere esattamente quanti palestinesi Israele abbia ucciso da ottobre, perché ha distrutto tutte le infrastrutture, compresa la possibilità di contare e seppellire i morti. Sappiamo che Israele ha ucciso, come minimo, 43.362 palestinesi a Gaza da ottobre e che questa è la più grande guerra contro i bambini di questo secolo», continua il testo dell’opposizione intellettuale.

Molto prima dell’inizio del genocidio, a marzo 2021, la scrittrice irlandese Sally Rooney ha interrotto la diffusione in lingua ebraica dei suoi libri, rifiutandosi di vendere i diritti di traduzione del romanzo Dove sei, mondo bello a una casa editrice con sede in Israele. Gli appelli di Rooney sono proseguiti con insistenza da ottobre 2023, a partire da una lettera aperta sul London review of books firmata insieme a centinaia di altri scrittori. Si chiedeva ai governi occidentali di evitare ulteriori escalation della violenza, prima che fosse tardi per i palestinesi.

E quando quel “tardi” arriva, a marzo 2024, Rooney torna con un editoriale su The Irish Times che denuncia l’impossibilità di contare i morti a Gaza. Con un’espressione ironica e amara, la scrittrice sottolinea che ogni morte è «finanziata e sostenuta dal nostro “ottimo amico” alla Casa Bianca».

Si riferisce agli elogi dell’ex primo ministro irlandese Leo Varadkar nei confronti del presidente americano Joe Biden. Poco dopo l’inizio dell’invasione israeliana a Gaza, infatti, Varadkar ha pubblicamente espresso, con un lessico struggente, la propria solidarietà con i palestinesi. Ma durante l’incontro con Biden, che aveva fatto sperare in una qualche pressione per interrompere il sostegno economico e militare a Israele, Varadkar ha corretto il tiro: «Non sono qui per dirgliene quattro, non dimentichiamo che Biden è stato un ottimo amico dell’Irlanda». Rooney è sempre stata chiara sul fatto che quella a Gaza e in Medio Oriente sia una «guerra degli Stati Uniti», i quali forniscono circa l’80 percento degli armamenti a Israele, oltre a milioni di dollari di aiuti.

LE PREOCCUPAZIONI per la catastrofe umanitaria a Gaza arrivano anche dall’Unione per il Mediterraneo (Upm), un’istituzione intergovernativa che raggruppa 43 paesi. «Nei miei quattro decenni di servizio, ho assistito a innumerevoli crisi e conflitti, ma non ho mai visto una tragedia così profonda come quella che sta attualmente minacciando la regione del Mediterraneo. Il costo umanitario è impressionante, con così tante vite perse e famiglie distrutte. Un’azione urgente non è mai stata così importante», ha dichiarato ieri Nasser Kamel, segretario generale dell’Upm, al termine del 9° Forum regionale a Barcellona, dedicato al Medio Oriente. «Questo è un processo che richiede dialogo, volontà politica e soluzioni eque», ha concluso.

Soluzioni che alcune istituzioni del mondo e una larga fetta della società civile tornano a domandare a più riprese, da un anno, e che ormai provocano quel «senso di vertigine» di cui Rooney parla nel suo Dove sei, mondo bello: «Era come se a un tratto mi fossi ricordata che la mia vita era parte di un programma televisivo – e ogni giorno delle persone morivano realizzando il programma, venivano fatte a pezzi nei modi più raccapriccianti, bambini, donne, e tutto ciò perché io potessi scegliere tra vari menù pranzo, ciascuno imballato in vari strati di plastica monouso. Morivano per questo – era questo il grande esperimento. Ho creduto di essere sul punto di vomitare. Naturalmente, una sensazione del genere non può durare. Magari per il resto della giornata mi sento in colpa, perfino per il resto della settimana – e allora? Devo pur sempre comprarmi il pranzo. E caso mai ti preoccupassi per me, rassicurati, l’ho comprato».

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