[I beduini Jahalin: antefatti]
Palestine Monitor.org
13.09.2009
http://www.palestinemonitor.org/spip/apip.php?article1169
Rifiuti umani
Al di là delle demolizioni nei quartieri di periferia e dei ripetuti, violenti scontri intorno ad Al-Aqsa, Gerusalemme nasconde un’onta più silenziosa. A sud-est della città santa vivono i beduini Jahalin, una comunità che è stata spostata e rimossa più volte, e che ora soffre di una povertà subumana accanto alla maggiore discarica di rifiuti di Gerusalemme. Di imbarazzo tanto per gli israeliani quanto per i palestinesi, i beduini e il loro modo di vivere, unico al mondo, sono gravemente minacciati.
Eid Raeb funge da coordinatore tra il campo Jabal e le ONG europee che ne sono la linfa vitale. “La vita dei beduini è finita”, dichiara senz’alcuna esitazione, “a volte quando guardo fuori, immagino com'era prima, ma so che ora è finita.” Eid è uno dei fondatori di Jabal e ha percorso la loro strada dal luogo che è diventato Ma’ale Adumin, una delle colonie a più rapida crescita, fino a qui. “Dopo aver costruito Ma’ale Adumim nel 1979, hanno cominciato a trasferirci. All’inizio molto lentamente, una famiglia alla volta. Dopo il 1993 e gli Accordi di Oslo, hanno costruito molte case dicendo di aver bisogno di tutta la terra.” Oslo li ha fatti rientrare nell’Area C, sotto il controllo degli israeliani e alla loro mercè. “All’inizio, quando ci dicono di spostarci di qui, ci rifiutiamo,ma gli israeliani comunicano che useranno la forza. Ci hanno promesso la concessione edilizia, l’elettricità, l’acqua e le strade. Quando siamo venuti qui non c’era nulla, il terreno e nient'altro.”
Il campo di Jabal è stato fondato nel 1997, da famiglie beduine ciascuna delle quali ha ricevuto circa 10.000 dollari per il subbuglio. Ma le promesse di un sostegno per le infrastrutture non sono state rispettate, e fatto ancor più importante i beduini si sono visti negare i permessi edilizi, ciò che li ha costretti a vivere per sei anni in container per spedizioni. Nel 1998, la Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Economici, Culturali e Sociali ha espresso una “profonda preoccupazione per lo stato delle famiglie beduine Jahalin, scacciate a forza dalle loro terre ancestrali per far posto all’espansione della colonia di Ma’aleh Adumin”. La relazione ha condannato pure “la maniera in cui il governo di Israele ha ospitato queste famiglie – in container di acciaio in una discarica di rifiuti ad Abu Dis, in condizioni di vita subumane.” A seguito della pressione combinata da parte di organizzazioni umanitarie e di ONG straniere, ai residenti di Jabal è stato finalmente concesso il permesso di costruire sulla loro terra.
Eid sostiene che, quando i beduini vi erano stati trasferiti, il sito era disabitato, che si distribuivano terreni israeliani e che “i palestinesi non hanno problemi che noi si stia qui”. Non è questo il caso, secondo Abdullah, uno che abita da lungo tempo ad Abu Dis, un vicino villaggio palestinese. “Il loro villaggio è costruito sulle terre confiscate ai palestinesi di Abu Dis. Pensiamo molto male di loro, che lavorano con gli israeliani e talvolta si comportano come i loro soldati. Abbiamo manifestato contro il furto delle nostre terre e loro sono venuti a spararci. Che abbiano dei problemi e dei disagi specifici non significa che debbano accettare di vivere su terra palestinese.” Abdullah fa riferimento a un campo beduino vicino dove sostiene che gli abitanti si sono rifiutati di soppiantare i palestinesi e ora vivono in tende provvisorie lontano da Abu Dis; “loro scambiano con noi latte e formaggio, noi forniamo loro insegnanti. Nella lotta contro gli israeliani sono con noi.”
Eid ammette spontaneamente a chi è fedele. “Qui i beduini sono palestinesi. Ma prima, quando questa terra era Giordania, eravamo giordani; la maggior parte dei beduini si sente più vicina alla Giordania. Lavoriamo con gli israeliani e se c’è un problema la polizia israeliana viene qui.” E’ facile osservare come i loro rapporti con le forze di occupazionebasterebbero ad avvelenare l’opinione dei palestinesi circa i beduini di Jabal, anche se Eid nutre solo disprezzo per l’Autorità Palestinese. “Non sono un governo, sono come ladri. Qui stiamo cominciando da zero, abbiamo bisogno di scuole, di acqua, di strade, ma l’Autorità Palestinese ci aiuta solo per gli insegnanti. Sappiamo che è arrivato più di 1 milione di dollari da aiuti umanitari, ma noi non lo vediamo. Se lo prendono Abu Maze e l'Autorità.”
La più grande preoccupazione per Eid e Jabal è l’enorme discarica situata a soli 300 metri. La maggior parte dei rifiuti di Gerusalemme viene smaltita qui, ogni giorno, comprese tonnellate di prodotti chimici e di gas pericolosi. Il sito risale a prima di Jabal ma, come dice Eid, i beduini non avevano scelta. “Negli ultimi dieci anni hanno promesso di togliere la spazzatura. Dicono che la trasporteranno in un luogo vicino a Jericho, ma anche se lo faranno il problema non scomparirà, ora è penetrato nel terreno. Attualmente abbiamo molti casi di malattie della pelle tra la nostra gente e negli animali e non sappiamo come trattarle. Un animale la prende e poi diffonde la malattia a molti altri. A volte la si può non vedere per settimane.”
Nonostante sia stato recentemente costruito un nuovo ambulatorio (una joint venture tra l’Autorità Palestinese l’ONG tedesca DED), per i 3.500 abitanti di Jabal non c’è un solo medico. Eid spiega il problema: “Se abbiamo bisogno di un medico, dobbiamo andare in auto a Betania. Se ne abbiamo bisogno con urgenza è un problema. Talvolta chiediamo un’ambulanza da Ma’ale Adumin, ma nella maggior parte dei casi ce la rifiutano.” Come la maggior parte degli abitanti della West Bank, i beduini lottano per aver accesso alle cure negli ospedali israeliani; condizioni di questi tipo non possono rimanere invisibili. Nel gennaio 2007, un bambino di 11 mesi è morto per problemi respiratori curabili, mentre molte madri hanno scelto di partorire a casa senz’alcuna assistenza post-parto. Questi episodi derivano in parte da sospetto nei confronti delle pratiche mediche moderne, che Eid ritiene rappresenti una battaglia più grande per modernizzare. “Un beduino sceglierà sempre una vita tradizionale, una vita all’aperto. Non se ne può stare in un villaggio vedendo solo quattro mura e porte chiuse. La gente non sa come utilizzare la casa o le medicine in modo corretto. E’ un grosso problema per noi.”
Due mesi fa Eid ha ricevuto la visita di una rappresentante dell’Amministrazione della Terra di Israele (ILA), che gli ha garantito che i rifiuti sarebbero stati rimossi nei due anni a venire. “Vorrei fidarmi di lei, ma posso credere solo ai fatti”, le ha detto. Dall’ICAHD (Campagna Israeliana Contro la Demolizioni di Case) sono arrivate notizie meno ottimistiche. “L’ultima riunione tra il ministro dell’Interno e il sindaco di Ma’ale Adumin ha portato alla decisione di rinviare per almeno sei mesi ogni tipo di progetto,” ci ha riferito il loro portavoce.
Ci sono molti precedenti in cui i beduini sono stati costretti a sopportare condizioni di questo tipo. Nel periodo 2002 – 2004 il governo israeliano ha distrutto 7.500 ettari di colture beduine nel Negev spruzzando sui campi prodotti chimici tossici illegali. Gli effetti sono stati estremamente dannosi per le persone e gli animali della zona: questa politica è stata ampiamente condannata in quanto disumana. A Beit Iksa, diversi pozzi sono stati avvelenati nell’ambito della campagna di espellere i beduini con ogni mezzo reputato necessario. All'epoca, Ehud Olmert aveva difeso la prassi, “sposteremo le comunità beduine non riconosciute per fare spazio a migliaia di ebrei”. Il riconoscimento è stato un problema enorme per i beduini e il 20% della popolazione non è neppure registrata come profuga, cjò che la priva di ogni protezione dal trasferimento e dai trattamenti brutali. Attualmente è in corso una causa giudiziaria per conto del campo di Eizariya, Bethany, per stabilire se gli abitanti hanno il diritto di far revocare i 257 ordini di sfratto emanati nei loro confronti.
Mal sopportati e da israeliani e da palestinesi e lottando per adattarsi a un modo di vita moderno, gli abitanti di Jabal affrontano un futuro incerto. Anche se ora hanno il diritto alla terra, la costante espansione di Ma’ale Adumin rappresenta una minaccia costante. Senza risorse per mantenersi, dipendono da un piccolo gruppo di ONG straniere che non sono state in grado di trovare una soluzione per il problema dei rifiuti o per le malattie che ne derivano. Se non vi si presta un’attenzione immediata, Jabal potrebbe divenire una crisi umanitaria, ma non c’è alcuna autorità disposta a rappresentarli.
(traduzione di mariano mingarelli)