Egitto: Morsy scatena l'aviazione

il manifesto – INTERNAZIONALE
09.08.2012
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Morsy scatena l'aviazione

EGITTO - Operazione pulizia (con l'ok di Israele) contro le cellule jihadiste nel Sinai. 20 miliziani uccisi 

di Michele Giorgio

Gerusalemme - Chiuso il valico di Rafah. A pagare la crisi, come al solito, i civili palestinesi di Gaza. Era dal 1973, dalla guerra del Kippur con Israele, che l'aviazione egiziana non colpiva nel Sinai. Stavolta però gli obiettivi dei raid aerei non sono stati, come 39 anni fa, i reparti corazzati israeliani che stazionavano nella penisola egiziana occupata sette anni prima, bensì i miliziani jihadisti che martedì notte hanno attaccato un posto di blocco della polizia nei pressi di El Arish, ferendo tre agenti. 
                      foto aerea sinai


L'operazione è iniziata con un elicottero che ha colpito Sheikh Zuweid, tra El Arish e il valico di Rafah con la Striscia di Gaza. Nel villaggio sono entrati oltre 100 soldati e la battaglia è terminata solo all'alba, con un bilancio di 20 miliziani jihadisti uccisi. Centinaia di uomini della polizia e dell'esercito sono stati poi dispiegati nelle zone montagnose a sud di El Arish per tentare di tenere sotto controllo un territorio che da lungo tempo è nelle mani di gruppi armati che, spesso, agiscono anche insieme a cellule qaediste palestinesi. 
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È difficile valutare se le forze armate egiziane, costrette a non oltrepassare i rigidi limiti fissati dagli Accordi di Camp David con Israele, saranno in grado di portare a termine «la pulizia del Sinai», invocata martedì notte dagli abitanti di El Arish e sostenuta da gran parte delle popolazione egiziana. Per far decollare i suoi aerei ed elicotteri e mandarli in missione nel Sinai, le autorità del Cairo hanno dovuto attendere il via libera del governo israeliano. Una revisione degli Accordi di Camp David è una possibilità remota, visto che i Fratelli Musulmani, che pure l'invocano, sanno che non potranno ottenerla senza stabilire rapporti più stretti ed assidui con Israele rispetto alla «pace fredda» che regna da oltre trent'anni tra i due paesi. Senza contare che anche lo sviluppo delle relazioni degli islamisti oggi dominatori della scena politica e diplomatica egiziana con gli Stati Uniti passa pure per il rispetto di Camp David.

I dubbi sulle possibilità delle autorità statali egiziane di tenere sotto controllo il Sinai sono forti. Finora hanno pagato solo il capo dell'intelligence Mourad Mouafi, il comandante della Guardia Repubblicana Hamdi Baden, e il governatore del Sinai del nord, Abdel Wahad Mabrouk: il presidente Mohamed Morsy ieri li ha costretti a dimettersi.

Del resto, il governo del giovane premier Hisham Qandil e le forze armate, che chiedono agli egiziani nel Sinai di collaborare a «estirpare il terrorismo», continuano a mostrare disinteresse verso le rivendicazioni delle tribù beduine, dimenticate per troppi anni. Anche per questo i beduini vivono di traffici illegali (a cominciare da quelli con Gaza sotto assedio) e si sono avvicinati a quelle formazioni jihadiste e qaediste che hanno fatto del Sinai la loro base. Il rischio più immediato perciò è che le responsabilità siano scaricate totalmente sui palestinesi, sotto accusa per i legami esistenti tra i gruppi salafiti presenti a Gaza e quelli jihadisti nel Sinai. I sentimenti anti-palestinesi oggi sono fortissimi tra gli egiziani e ora il governo, la presidenza e soprattutto l'esercito li alimentano esagerando le responsabilità palestinesi.

Certo queste responsabilità in parte esistono: ma la maggioranza dei miliziani armati autori di attacchi contro obiettivi egiziani e israeliani nell'ultimo anno, sono stati identificati come cittadini egiziani. La partecipazione palestinese tra i circa (si dice) 2mila jihadisti e qaedisti che agiscono nel Sinai rimane molto limitata. Eppure, dopo l'attacco armato di domenica scorsa in cui sono state uccise 16 guardie di frontiera, il presidente Morsy ha ordinato la chiusura a tempo indeterminato del valico di Rafah, l'unica porta sul mondo della Striscia di Gaza, con conseguenze pesanti per i civili e non per i salafiti armati. E saranno sempre i civili a soffrire per il mancato afflusso delle merci (tornerà il mercato nero) attraverso i tunnel sotterranei che in queste ore vengono distrutti dalle autorità egiziane e quelle di Hamas. 
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Il movimento islamico palestinese avrebbe dovuto protestare con forza per questa punizione collettiva (lo ha fatto solo il «numero due» Musa Abu Marzouq). Invece, attento a non rovinare le relazioni sempre più strette con i Fratelli musulmani egiziani, il premier di Hamas, Ismail Haniyeh, si limita a eseguire gli ordini che arrivano dal Cairo. Il governo di Gaza ha lanciato una campagna di arresti e schierato ingenti forze di sicurezza lungo il confine con l'Egitto. Haniyeh ha assicurato che «la lotta contro Israele non avverrà a spese del popolo amico egiziano».