Un villaggio palestinese si stende alla fine della strada.

Haaretz.com
12.07.2013
http://www.haaretz.com/weekend/twilight-zone/a-palestinian-village-reaches-the-end-of-the-road.premium-1.535425

 

Un villaggio palestinese si stende alla fine della strada.

 

Gli abitanti di Kfar Qaddum ricordano che sono due anni da quando hanno promosso per la prima volta la protesta settimanale contro la chiusura della strada principale che conduce oltre il loro villaggio alle località confinanti. 

di Gideon Levy e Alex Levac

Nella mia vita non ho mai visto una strada così - se non in zona di guerra. Guidi tra le case di Kfar Qaddum verso est e improvvisamente il paesaggio cambia drammaticamente

 Una strada di campagna si trasforma in una terra di nessuno; un villaggio pieno di vita diventa all’istante una landa selvaggia dimenticata da Dio. Alcune case abbandonate, alberi di olivo bruciati, cumuli di sassi, barriere di pietre e resti di pneumatici bruciati sulla strada. 

Nell’aria c’è puzza di fuoco e un terribile silenzio ravvolge il tutto. Uno spesso strato di nera cenere ricopre la strada deserta alla quale nessuno ha il coraggio di avvicinarsi. Una scia di polvere e di cenere si solleva dietro alla nostra macchina che avanza lentamente e tutto lo spettacolo assomiglia a qualcosa tratto dal romanzo post-apocalittico di Cormac McCarthy , “La strada”. Ciò che manca sono il padre e il figlio sopravissuti e il loro carrello per la spesa. 

La strada termina a un cancello giallo, di ferro, chiuso – sul tipo di quelli che sono divenuti familiari nei territori. Di questi tempi, nessuno ha più il coraggio di avvicinarsi alla strada, per paura dell’esercito che ha posto delle videocamere e una torre di guardia lungo il suo tratto. Questa settimana, avevamo dovuto percorrerla da soli, dato che i nostri ospiti avevano paura di unirsi a noi. 

Kafr Qaddum è sovrastato dal mega insediamento di Kedumim alla fine di questa strada-fantasma, che inizia nel villaggio e termina alla porta di ferro e alla colonia. La strada che risale al tempo dei turchi, era una volta  la via principale per andare a Jit, il villaggio adiacente, e da lì alla più grande città di Nablus. Un chilometro e mezzo fino a Jit, 13 chilometri per Nablus. Ora, ci sono 15 chilometri per Jit e 26 per Nablus lungo strade tortuose. Rispettivamente dieci volte e il doppio più distanti dal villaggio. 

Perché? Perché Israele ha chiuso la strada. Perché? Perché la vicina colonia di Kedumim si è espansa nelle sua direzione l’ha bloccata con le sue case. Questo è successo nel 2003. La strada diventò fin da allora impraticabile. Al colmo del blocco giunse il furto della terra – 24.000 dunam (6.000 acri) di terreni del villaggio. Di essi, 4.000 dunam furono sottratti per costruire le colonie vicine, e ad altri 11.000 venne interdetto l’accesso agli abitanti di Kfar Qaddum senza il permesso delle Forze di Difesa Israeliane. Sul villaggio, la cui popolazione in gran parte si guadagnava da vivere lavorando in Israele, si abbatterono così tempi duri. 

Proprio due anni fa, ai primi di luglio del 2011, il cosiddetto Comitato Popolare del villaggio ha deciso di promuovere una campagna finalizzata alla riapertura della strada. La protesta settimanale sulla strada principale le ha conferito il suo nuovo aspetto da devastata dalla guerra. Come negli altri villaggi palestinesi che portano avanti le lotte, anche qui ogni venerdì gli abitanti escono per manifestare insieme agli attivisti israeliani e stranieri; pure qui i manifestanti devono ancora riuscire a ottenere delle vittorie effettive a prescindere dal trasformare Kfar Qaddum in un altro simbolo nazionale palestinese. 

Questa settimana, dopo due anni di lotta, la strada non è stata ancora aperta, ma nelle sedi dei loro club i membri dei Comitati popolari con una kaffiyeh montata su di un bastone hanno mandato in frantumi un modello in polistirolo espanso della barriera gialla che blocca la strada. Dopo la rottura della barriera di polistirolo da parte del ministro palestinese della sanità che ha onorato l’avvenimento con la sua presenza, è stata inaugurata una mostra fotografica, con la quale celebrare l’anniversario della campagna di proteste – 100 fotografie di cani dell’IDF che mordono esseri umani, nubi di gas lacrimogeno, donne che gridano, abitanti feriti, giornalisti in arresto e sbarramenti di pietre. Una breve storia della locale rivolta. 

La leggenda narra che in questo luogo il patriarca Abramo abbia subito la circoncisione con un’ascia. 

Il mese scorso, i soldati dell’IDF hanno affisso nelle strade di Kfar Qaddum le foto di diversi bambini sospettati di aver lanciato pietre e li hanno avvertiti che erano ricercati e che saranno arrestati. L’agosto scorso, i soldati dell’IDF hanno attaccato giornalisti palestinesi che erano arrivati per seguire le manifestazioni e li hanno colpiti con mazze. Negli ultimi due anni, è stato ferito un numero considerevole di abitanti, compreso Wasim Barham, che ora ha 18 anni, che è stato ferito nell’aprile del 2012 allorché frammenti del candelotto di gas lacrimogeno penetrati nel cervello gli hanno tolto la capacità di parlare. Questa settimana, suo padre ha partecipato all’inaugurazione della mostra. 

“La strada lastricata venne fatta dai turchi ed essa è appartenuta a Kfar Qaddum da molti anni prima che venisse costruito Kedumim. Gli abitanti di Qaddum hanno il diritto di usarla”, ci racconta il leader della campagna, Murad Shtewi, standocene seduti a casa sua. 

Fu lui a organizzare la prima manifestazione in cui i soldati dell’IDF fecero uso di granate assordanti e di gas lacrimogeno. Dopo di che, diversi abitanti dovettero essere ricoverati in ospedale a Qalqilya; allora quelli del posto giurarono, narra Shtewi, di continuare la lotta. Aggiunge che da quando venne annunciata per la prima volta la campagna, gli abitanti furono puniti non solo con arresti e incursioni, ma anche venendo trattenuti ad arbitrari checkpoint eretti all’ingresso del villaggio di frequente, quando essi vanno a lavorare o quando ritornano. 

Shtewi, di 40 anni, lavora al Ministero Palestinese dell’Istruzione a Qalqilya ed è l’eloquente portavoce della campagna del villaggio. Questa settimana sono arrivati a casa sua due volontari di un’organizzazione clericale europea, una ragazza dalla Finlandia e un ragazzo dalla Polonia. 

A nome del villaggio ha consegnato loro, nel soggiorno di casa sua, degli attestati di riconoscenza. Cosa sorprendente, Shtewi stesso è stato finora arrestato una volta sola, per sette giorni. 

Cosa avete conseguito, chiediamo. “Sul terreno non siamo giunti a nulla”, ammette Shtewi. “Abbiamo avuto diversi incontri con i rappresentanti dell’Amministrazione Civile, che ci hanno offerto una strada alternativa, ma noi non accetteremo una strada alternativa. Questa è la strada storica del villaggio e noi non ne accetteremo un’altra, né un centimetro a destra,né uno a sinistra. Non abbiamo combattuto per ottenere una strada alternativa. Sul terreno non siamo giunti a nulla, ma abbiamo avuto diverse vittorie “emozionanti”. Il cane dell’IDF che ha morso mio nipote e non ha lasciato andare la sua mano per 15 minuti, mentre i soldati non sollevavano un dito, è stata una nostra vittoria morale: loro hanno mostrato quella foto in tutto il mondo e per noi è stato un gran trionfo. Non una vera vittoria, ma una vittoria morale. Quando i soldati picchiano i giornalisti – è una vittoria morale [per noi]. Quando il gas si diffonde nelle case e fa star male i bambini – è una vittoria morale.” 

Ci pieghiamo e passiamo sotto la barriera di polistirolo espanso prima che venga mandata in frantumi ed entriamo nello spazio della mostra. Dal soffitto pendono dei cartelli di cartone con la lista dei nomi delle comunità palestinesi, e sul pavimento c’è una cassa di legno avvolta di nero, come uno scrigno sul quale sono in mostra le foto degli abitanti del villaggio detenuti nelle prigioni israeliane e annotazioni che attestano la durata delle loro condanne: nel corso degli ultimi due anni qui sono stati arrestasti 120 manifestanti, nove sono ancora chiusi in prigione e oltre a loro ci sono altre 15 persone del posto detenute per altri reati che stanno ancora scontando le loro condanne. 

La maggior parte delle foto esposte sulle pareti della casa del club sono state scattate da fotografi delle testate giornalistiche palestinesi e un piccolo numero da attivisti e fotografi israeliani. Una fotografia che raffigura una donna palestinese anziana, sasso in mano, circondata da sei soldati armati, ha vinto un premio a un concorso fotografico nel Qatar. 

“LO FAREMO”, recita all’ingresso della mostra, ma lo stesso Shtewi dice di sapere che la decisione di riaprire la strada non è più nelle mani dell’esercito, ma piuttosto in quelle dei coloni le cui abitazioni sono state erette là negli ultimi anni. 

Usciamo per strada da noi stessi, camminando fino ad arrivare alla barriera di pietra. Silenzio e puzza di bruciato ristagna nell’aria. Poi ci dirigiamo a Kedumim salendo verso l’alto fino a che raggiungiamo l’altra estremità della strada, ma dal lato della colonia. 

(tradotto da mariano mingarelli)