Nakba silenziosa - la lenta rimozione di Israele degli agricoltori palestinesi

PNN – Palestine News Newtwork
19.98.2013
http://english.pnn.ps/index.php/nonviolence/5456-silent-nakba-israel’s-slow-displacement-of-palestinian-farmers

 

Nakba Silenziosa – La lenta rimozione israeliana degli agricoltori palestinesi.

L’occupazione israeliana della Palestina è fisica (controllo delle frontiere e posti di blocco), psicologica (creando nei palestinesi un costante stato di terrore, di umiliazione e di paura) e culturale (cancellando la connessione dei palestinesi con il proprio patrimonio storico e la terra). Un errore comune considera l’occupazione fisica come una semplice occupazione di terreni. Invece, un cambiamento di prospettiva rivela che essa è anche verticale. E’ tridimensionale. Israele non solo occupa la terra e l’accesso alla stessa, ma anche l’acqua sotto la terra e lo spazio aereo al di sopra. 

di Muki Najaer

Per migliaia di anni, generazioni di palestinesi sono vissute della terra. Soprattutto gli agricoltori fanno esperienza dell’impatto brutale del punto di confluenza dell’occupazione israeliana dell’acqua e della terra. Molti palestinesi possedevano terre che sono state sequestrate loro da Israele nel 1948. Queste vengono indicate come area del 48 ed ora sono inaccessibili ai palestinesi delle quali sono i proprietari. Altri hanno le loro terre distrutte dalle forze di occupazione israeliane (IOF). Altri ancora sono trasformati in disoccupati dalla voluta corruzione israeliana dell’economia palestinese o è vietato loro l’accesso alle risorse idriche o la trivellazione di ulteriori pozzi e non sono perciò in grado di sostenere la loro agricoltura. Tutte queste sono strategie utilizzate dalle IOF e dal governo israeliano per far morire di fame gli agricoltori palestinesi, allontanarli dalle loro terre e rompere il legame che unisce i contadini palestinesi alle loro terre.

 

Occupazione e distruzione delle terre palestinesi. 

Sabato scorso, Zeiad Salah, coordinatore per il distretto di Betlemme della Palestinian Farmers Union (PFU) ha parlato all’Alternative Information Center di Beit Sahour sulla distruzione da parte di Israele dei territori palestinesi e della conseguente rimozione dei palestinesi. 

Le Forze di Occupazione Israeliane (IOF) usano tecniche, quale quella di appiccare il fuoco agli alberi di ulivo e di scaricare prodotti chimici sui campi palestinesi, al fine di portare alla rovina in modo definitivo terreni di grande valore agricolo. Nel villaggio di Nahleen, l’IOF ha riversato acque reflue su terre palestinesi danneggiando così in modo permanente 500 kmq di terreno agricolo, scacciando gli agricoltori e costringendoli a restare senza lavoro. 

“Queste tecniche servono a un duplice scopo, “ ha spiegato Salah. “Da un lato rovinano la terra e dall’altra distruggono i mezzi di sostentamento dei contadini palestinesi, rimovendoli così a poco a poco e in modo silenzioso.” 

E’ pure diffuso che il governo israeliano rivendichi l’uso di terreni palestinesi per l’esercito o per l’aeronautica ‘per motivi di sicurezza’. Ciò è particolarmente comune quando Israele non è in grado di appropriarsi ufficialmente dei terreni, perché in tal modo impedisce ai palestinesi l’accesso alle loro terre. 

Una persona del posto di Beit Sahour ha dichiarato, “Nel passato, avevamo dei terreni proprio accanto a dove hanno fatto passare il muro. La mia famiglia aveva un sacco di ulivi lì: Due anni fa abbiamo deciso di portarvi i bambini. Abbiamo preparato un pic-nic e ci siamo seduti sotto un albero di ulivo, sulla nostra terra, nella speranza di mangiare un pasto nel luogo che ci era stato ingiustamente sottratto. Ma, pochi minuti dopo che eravamo arrivati, si sono avvicinati alcuni giovani soldati israeliani e hanno detto che avevamo invaso dei terreni militari. Gli ho detto che questa è terra nostra e che volevamo solo mangiare lì. I soldati hanno sostenuto di aver visto dei bambini tirare dei sassi nella loro direzione. Ma mentivano. Nessuno aveva tirato dei sassi. E i bambini erano solo ai primi passi. Uno di loro indossava ancora i pannolini. Come avrebbero potuto fare del male a soldati nel loro blindato militare?” 

In altri casi, coloni israeliani coltivano terreni palestinesi e mettono dei cartelli che sostengono che queste sono state riassegnate a famiglie israeliane. Nell’area del 48 i coloni israeliani coltivano le terre con semi di uva e di olive palestinesi che sono rinomate nel mondo per la loro qualità senza pari. Dato che Israele sovvenziona l’acqua per gli agricoltori israeliani, i palestinesi la pagano a un prezzo 10 volte superiore a quello dei loro concorrenti israeliani, compreso ciò che pagano coloro che vivono nelle colonie. 

Il risultato è che è dieci volte più costoso per i palestinesi produrre le loro uve e olive di quanto non lo sia per gli israeliani. Ciò sta a significare che, perché i palestinesi riescano a vendere i loro raccolti a prezzi di mercato competitivi, devono abbassare i prezzi in modo da guadagnare sui loro prodotti una percentuale di gran lunga inferiore a quella alla quale gli israeliani vendono gli stessi generi dei palestinesi. In breve, gli israeliani coltivano le uve e le olive palestinesi a un costo di molto inferiore a causa delle sovvenzioni per l’acqua da parte del governo israeliano e allontanano perciò forzosamente i contadini palestinesi dal lavoro, distruggendo di fatto l’economia palestinese. 

Salah, della Palestinian Farmers Union, sostiene che per gli agricoltori palestinesi una speranza c’è nonostante le azioni illegali e disumane di Israele nei loro confronti. La PFU lavora con i contadini per avviare soluzioni creative e sostenibili all’occupazione israeliana dei terreni agricoli. Ad esempio, il PFU opera con le organizzazioni e cooperative internazionali nella vendita di generi della produzione locale palestinese, al fine di contribuire a sostentare i contadini. 

Una delle esportazioni più famose dalla Palestina è l’olio di oliva. Salah ha affermato: “Quantunque gli agricoltori palestinesi siano costretti a pagare le tasse di esportazione a Israele, la maggior parte del denaro derivato dall’olio di oliva ritorna direttamente ai contadini. Una delle cose più importanti che possono fare gli internazionali è boicottare le derrate israeliane, soprattutto quelle prodotte nelle colonie illegali, e di acquistare generi coltivati o realizzati in Palestina.” 

Anche se il reddito aggiuntivo che queste cooperative provvedono non è neppure sufficiente a sostenere le famiglie che vi lavorano, trasmettono il retaggio dell’agricoltura tra le generazioni più giovani. La maggior parte dei giovani della Palestina non ha mai avuto la fortuna di vivere sulle terre delle proprie famiglie che furono confiscate nel 1948 o nel 1967. I giovani sono quindi disconnessi a forza dalla propria storia di agricoltori. E’ vitale per i palestinesi mantenere il retaggio con l’agricoltura, ha spiegato Salah, soprattutto perché una delle tattiche culturali israeliane di occupazione consiste nel recidere la connessione delle future generazioni con la terra palestinese. 

I residenti di Battir fermano con successo la costruzione del muro di separazione israeliano

I villaggio di Battir, situato a ovest di Betlemme, è un sito che contiene una parte ragguardevole della storia più vecchia e preziosa del mondo. Centinaia di chilometri di terrazzamenti fatti dall’uomo 5.000 anni fa si estendono da un capo all’altro del paesaggio. Un antico sistema idrico romano di 2.500 anni utilizza stretti canali per dirottare l’acqua proveniente da sette sorgenti naturali e la suddivide tra le otto famiglie allargate di Battir, che disinseriscono, ricevendo ciascuna un giorno di acqua. Questo sistema di irrigazione viene usato dai contadini di Battir per irrigare le loro colture su base giornaliera. 

Un terzo delle terre di Battir si trova all’interno della Linea Verde. La Linea Verde è una frontiera non ufficiale che è stata tracciata per marcare i confini del 1949 tra Israele e i suoi vicini (Egitto, Giordania, Libano e Siria) a seguito della guerra arabo-israeliana del 1948. Essa contrassegna anche i territori catturati da Israele durante la Guerra dei Sei Giorni che comprendono la Striscia di Gaza, le Alture del Golan, la West Bank e la penisola del Sinai. 

Benchè l’accordo dell’Armistizio di Rodi del 1949 firmato tra i governi di Giordania, Siria, Egitto e di Israele dia ai residenti di Battir il diritto di mantenere la proprietà delle loro terre all’interno della Linea verde in cambio della protezione del treno (costruito negli anni 1890 dall’Impero Ottomano), Israele potrebbe, e minaccia di farlo, continuare la costruzione del muro di separazione.

                            
Gli abitanti, i contadini e gli attivisti di Battir temono che Israele erigerà il muro di separazione lungo la Linea Verde, che avrebbe asportato un terzo delle loro terre e distrutto l’efficace sistema storico di irrigazione. Sebbene molte comunità palestinesi tentino di fermare la costruzione del muro tramite manifestazioni pacifiche, quale quello famigerato di Bil’in, i residenti di Battir hanno utilizzato un diverso approccio. Hanno sviluppato studi sull’importanza del paesaggio naturale e li hanno portati all’attenzione dei media nazionali e degli operatori di pace perché li aiutino a perorare una causa all’UNESCO per bloccare il muro. Per ora, il caso ha avuto successo e ha effettivamente bloccato il governo israeliano dal continuare la costruzione del muro di separazione.
 

Battir ha ricevuto il premio internazionale dell’UNESCO Melina Mercouri per la conservazione e la protezione del paesaggio naturale e di quello dei terrazzamenti. Secondo il sito web dell’UNESCO, “L’obiettivo del progetto è quello di rafforzare la capacità del governo e degli abitanti di gestire questo paesaggio culturale unico. Elementi importanti del progetto comprendono l’uso sostenibile, lo sviluppo delle infrastrutture del villaggio, così come la creazione di un museo ecologico a Battir.” 

L’approccio innovativo di Battir per fermare il muro è di ispirazione per tutti i palestinesi sotto occupazione e in particolare per coloro le cui terre sono state rubate da Israele o sono loro inaccessibili per via del muro. Domenica, Mahmood Obed-Allah, della Society of Land Friends Middle East, ha detto: “Ce ne stiamo seduti e a Battir piantiamo, secondo la nostra visione, sulla Linea Verde.”

L’acqua non si arresta ai confini politici: restrizioni israeliane all’accesso all’acqua ad Al Auja. 

Auja, una cittadina a nord-est di Jericho, si trova in prossimità della Valle del Giordano, una delle aree col la maggiore abbondanza di risorse idriche della West Bank: Secondo il diritto internazionale, l’acqua appartiene alla Palestina. Ora, tuttavia, Israele controlla la maggior parte delle infrastrutture idriche della regione, come i pozzi e le pompe. Al comparire di colonie vicino ad Auja ha fatto seguito il controllo israeliano sull’acqua, e subito dopo, la tragica carenza d’acqua per i palestinesi. 

L’economia di Auja era usa essere supportata dalle colture delle banane, dei cocomeri e dei datteri. La sorgente di Auja era utilizzata per rifornire di acqua oltre il 90% degli abitanti della cittadina che facevano riferimento alla fonte per l’agricoltura. Essi contavano, a loro volta, sull’agricoltura come loro principale fonte di reddito. Nonostante l’abbondanza di acque nella regione, tale quantità è di recente scesa. Al momento, meno del 5% degli abitanti di Auja e dei contadini sono in grado di sostenere se stessi e la loro agricoltura con la poca acqua residua che Israele ha assegnato loro. 

“La sorgente di Auja era solita evere circa 2.000 metri cubi di acqua. Gli israeliani hanno ottenuto otto pozzi, i palestinesi due. Quei due pozzi erano i più superficiali e i meno redditizi,” spiega Fadi Dweijat, direttore dell’Auja Environmental Education Center. “Nella regione ci sono molte falde acquifere. Se ai palestinesi ne fosse stata data una, allora tutti potrebbero essere alimentati,” ha continuato. 

Ai palestinesi non è pure permesso scavare pozzi per ricuperare da sé l’acqua sotterranea, a meno di ottenere un permesso speciale dal governo israeliano. Dweijat ha dichiarato: “Naturalmente non hanno il [permesso] perché il governo israeliano vuole che i palestinesi acquistino l’acqua da loro. I palestinesi di Auja non possono fare a meno di comprare l’acqua che legalmente appartiene loro, ad alto prezzo, dalla Mekorot, un’azienda israeliana. 

Il controllo israeliano dell’acqua ad Auja ha comportato un collasso dell’economia della cittadina che è basata sull’agricoltura. Questo costringe la maggior parte dei giovani palestinesi dell’area di Auja a lavorare nelle colonie che sono costruite illegalmente su terreni palestinesi. Invece di coltivare le proprie tenute, sono obbligati a lavorare in quelle dei coloni israeliani che ricevono tant’acqua quanta necessitano o desiderano. Inoltre, il lavoro dei palestinesi nelle colonie non è coperto da assicurazione, indennità, diritti del lavoro, o protezione. 

L’Auja Environmental Education Center opera in collaborazione con la Friends of Earth Middle East con l’obiettivo di promuovere la collaborazione per proteggere il patrimonio ambientale del popolo e della regione. Il centro ambientale utilizza in modo innovativo moderne tecnologie nei settori dell’energia solare, dei rifiuti solidi e delle acque grigie. 

“L’energia solare fornisce elettricità, mentre l’acqua grigia proveniente dalle docce, dai bagni e lavanderia viene riutilizzata per annaffiare le piante, “ spiega Dweijat. Il sistema dell’acqua grigia ha riscosso un notevole successo nella lotta contro la disumana e criminale distribuzione israeliana dell’acqua. Secondo l’USAID i 5.000 abitanti di Auja cominciano a vedere dei miglioramenti nelle loro condizioni di vita. 

Eppure, gran parte della distruzione di Israele è irreversibile. “Mio padre era un contadino,” ha detto Dweijat, “Ora non ha un solo albero. Non uno solo. E lui è proprio un agricoltore.” 

(tradotto da mariano mingarelli)