L'importante è che sia 'ebraico'

Nena News
07.10.2013
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L'importante è che sia 'ebraico'

Gli israeliani vogliono un Paese in cui la fede giochi un ruolo rilevante, anche nel riconoscimento dei diritti ai suoi cittadini. Per Netanyahu è la premessa della pace

dalla redazione

Roma, 7 ottobre 2013, Nena News - Gli israeliani vogliono uno Stato ebraico, in cui la componente religiosa sia chiara nella stessa definizione della forma statuale. È quanto emerge da un sondaggio del Centro di ricerca Guttman dell'Israel Democracy Institute, pubblicato ieri. Una posizione in sintonia con quella del governo di Tel Aviv. In un discorso all'università di Bar Ilan, infatti, il premier Benjamin Netanyahu ha ribadito che per arrivare a un accordo di pace "i palestinesi devono riconoscere Israele come Stato ebraico e il diritto del popolo ebraico ad avere uno Stato nazionale".

           

 

 Quasi il 75 per cento degli israeliani ebrei intervistati pensa che lo Stato possa essere sia "ebraico sia democratico" (posizione condivisa da un terzo dei palestinesi in Israele), ma per il 32 per centro la natura ebraica è più importante. Una convinzione confermata dalla preponderanza della religione nella vita pubblica auspicata da molti israeliani: il 48 per cento delle persone interpellate, infatti, ritiene che i cittadini ebrei dovrebbero avere più diritti dei non ebrei, in netto contrasto con la democraticità di uno Stato. La maggioranza (il 68 per cento degli intervistati), però, attribuisce al divario tra ebrei e palestinesi la causa delle maggiori frizioni all'interno della società israeliana.

Lo studio sonda anche il gradimento della politica governativa israeliana, sulle cui decisioni il 61 per cento di ebrei e palestinesi pensa di non avere alcuna capacità di influenza. Tuttavia, il 43 per cento degli israeliani apprezza l'impegno dell'esecutivo a incoraggiare l'emigrazione della popolazione palestinese: un chiaro sostegno alla politica dei trasferimenti forzati. Sebbene questa percentuale sia diminuita negli ultimi anni, l'intolleranza nei confronti dei non ebrei resta diffusa: quasi la metà degli ebrei israeliani, infatti, ha dichiarato di non gradire la presenza nel suo vicinato di famiglie palestinesi e addirittura il 57 per cento non vorrebbe abitare vicino a immigrati. In prevalenza africani e asiatici contro cui ci sono state diverse proteste negli ultimi anni.

L'astio e la discriminazione spiegano come mai il 28 per cento dei palestinesi non provi alcun senso di appartenenza verso lo Stato israeliano, dove vivono un milione e 360.000 palestinesi discendenti dei circa 160.000 che rimasero all'interno del territorio che nel 1948 divenne Israele: circa il 20 per cento della popolazione.

La ricerca non include i due milioni e mezzo di palestinesi della Cisgiordania né gli abitanti di Gaza (1.7 milioni).

Ci sono, però, cittadini israeliani che vorrebbero una più netta separazione tra Stato e religione. Tra questi un gruppo guidato dal linguista Uzzi Ornan, che ha sottoposto la questione alla giustizia chiedendo all'Alta Corte di modificare la dicitura nelle proprie carte di identità: non più "ebreo", ma "israeliano". Nelle carte di identità rilasciate ai cittadini dello Stato, infatti, la persona è categorizzata come "ebrea" o "araba". La richiesta è stata respinta: secondo la Corte non ci sono prove dell'esistenza del popolo "israeliano", cioè non esiste un gruppo etnico definibile come "israeliano". Nena News