Foto: Festa del sacrificio in Area C

FOTO: La festa del sacrificio in Area C

di Alternative Information Center

Samiha e Suleiman Shalalda vivono con i loro cinque figli in una tenda ai margini del deserto della Valle del Giordano da cui si scorge il Mar Morto in lontananza. Nel primo giorno di Eid Al-Adha, la festa del sacrificio, la tenda si riempie di risate, cibo e doni portati dalle persone in visita. Secondo la tradizione musulmana, si festeggia il sacrificio sostitutivo effettuato con un agnello da Abramo, disposto a sacrificare il suo figlio Ismaele a Dio prima di venire fermato.
                

 

In occasione dell’ Eid Al Adha, Andalib Shalalda si è vestita elegantemente e sta chiudendo il recinto del bestiame per la notte. La sua famiglia di 7 membri da più di dieci anni vive in una tenda, poiché la loro casa è stata demolita dalle autorità israeliane.

 

Al tramonto le montagne giordane che si ergono all’orizzonte si colorano di pastello, il pane azzimo cotto sulla fiamma viene farcito con carne di pecora alla griglia che è stata macellata in ringraziamento a dio. La bellezza del luogo e dell’occasione non può però nascondere l’orribile motivo per cui questa famiglia si trova a vivere ai margini del deserto senza accesso all’acqua potabile e elettricità. Come per molti altri palestinesi che vivono in Area C, il 61% della Cisgiordania che è completamente sotto il controllo israeliano, anche per la famiglia  Shalalda è stato impossibile ottenere un permesso edilizio una volta sposati. La casa che decisero comunque di costruire vicino al villaggio di Sa’ir, fu presto distrutta dalle autorità israeliane.

Da allora vivono in una tenda vicino a Al Maniya, molto vicino al sito di una discarica istituita di recente con i fondi dell’USAID. Da più di dieci anni, l’unica acqua di cui dispongono proviene da un serbatoio che viene riempito a pagamento da un’autocisterna. L’elettricità è invece prodotta da un piccolo generatore a gas che viene usato di rado.

           
Yusuf Shalalda apre il rubinetto della cisterna dell’acqua della famiglia, la loro unica fonte d’acqua che viene riempita da un’autobotte proveniente da un villaggio limitrofo. Al contrario, il vicino avamposto israeliano di Ibei Hanahal è collegato al sistema idrico israeliano, nonostante sia considerato illegale sia per il diritto internazionale sia per la legge israeliana.

A tutti coloro che biasimano Samiha and Suleiman per la situazione in cui si ritrovano, in quanto la loro casa e la loro attuale tenda sono “illegali”, sostenendo che qualunque governo prenderebbe simili misure, va ricordato che l’occupazione militare israeliane differisce in larga misura dalle autorità civili presenti in molti altri paesi.

Secondo un report della Commissione Israeliana contro la Demolizione delle Case (ICAHD) (enfasi aggiunta) “Stando ai regolamenti urbanistici israeliani, i palestinesi hanno il permesso di costruire nuovi edifici solo nel 13% di Gerusalemme Est e solo nell’1% dell’area C… Più del 94% di tutte le richieste di permessi sono stati rifiutati negli ultimi anni ” 

           

Ibrahim Shalalda tiene d’occhio il gregge della famiglia al tramonto del primo giorno della festa musulmana di Eid Al-Adha, in cui si festeggia la decisione del profeta Abramo  di sacrificare il proprio figlio Ismaele, ma al cui posto sacrificò  un agnello messogli a disposizione da dio.

L’associazione israeliana per i diritti umani B’Tselem ci da un più ampio contesto politico (enfasi aggiunta):

Israele ha creato una situazione in cui migliaia di palestinesi non possono ottenere un permesso per edificare sulle loro terre e sono costretti a costruire senza permessi perché non hanno un altro modo per garantire un riparo alla propria famiglia. […] Contemporaneamente, almeno 155 colonie israeliane con più di 170.000 cittadini ebrei israeliani sono stati costruite. Le colonie dispongono di un’efficiente pianificazione urbana e supervisione delle costruzioni e di una pianificazione generale per tutte le colonie. Nonostante ciò, migliaia di case sono state costruire illegalmente dai coloni senza averne il permesso. Lo stato di Israele si è sempre astenuto dal demolire questi edifici e ha invece rilasciato degli speciali permessi edili con valore retroattivo. La politica dei rilasci dei permessi per le edificazioni è chiaramente discriminante. 

Un esempio emblematico è rappresentato da Ibei Hanahal, l’avamposto israeliano che sorge a soli pochi chilometri lungo la strada che porta alla tenda della famiglia Shalalda, in cui i cittadini godono del pieno accesso alla fornitura elettrica e idrica israeliana. Mentre tutte le colonie israeliane nella Cisgiordania sono considerate illegali secondo il diritto internazionale, gli avamposti, come Ibei Hanahal, sono costruiti senza il permesso del governo israeliano, ma raramente vengono smantellati. 

  

Samiha Shalalda prepara il shraq, un pane azzimo molto sottile, per la festa dell’ Eid.

Samiha e Suleiman hanno iniziato a costruire una nuova casa in muratura vicino alla tenda, ma, siccome si trovano in area C, hanno già ricevuto l’ordine di interrompere i lavori da parte delle autorità israeliane. Nonostante ciò, quando le risorse a disposizione lo permettono, la famiglia continua la costruzione, adducendo come motivazione il fatto che anche i vicino sono stati raggiunti da tali ordini, ma nessuna azione nei loro confronti è stata ancora intrapresa. La famiglia spera che una volta trasferiti nella casa, saranno capaci di bloccare ogni tentativo di demolizione appellandosi alla corte di giustizia. È un piano ovviamente rischioso, ma quando ci si trova a vivere ai margini dell’occupazione, con poche risorse a disposizione, che scelta si ha, se non quella di celebrare con ciò che si ha, malgrado la situazione?

           

I bambini della famiglia Shalalda e alcuni cugini in visita condividono l’agnello e le verdure avvolte nel pane azzimo appena cotto.

  

 Foto di Ryan Rodrick Beiler
 (tradotto da AIC Italia/Palestina Rossa)