Le ambigue relazioni europee con Israele

Le ambigue relazioni europee con Israele

Le relazioni tra Unione Europea e Israele e le sue politiche di occupazione non sono affatto chiare. La UE non riconosce le colonie come parte legittima di Israele, ma le compagnie europee continuano a fare affari con l’economia dell’occupazione e dell’assedio.
 

di Carolin Smith

Catherine Ashton, l’Alto Rappresentante agli Affari Esteri, ripete continuamente, in ogni evento pubblico, il rifiuto della UE nel riconoscere le colonie israeliane: “La posizione europea sulle colonie, compresa Gerusalemme Est, è chiara: sono illegali secondo il diritto internazionale e un ostacolo alla pace”. Tuttavia, quando arriva il momento di assumere misure concrete contro l’occupazione, il ruolo della UE è debole.

               

 

Un esempio recente sono le linee guida pubblicate dalla Commissione Europea lo scorso luglio. Quando la UE ha annunciato che non avrebbe più sostenuto le colonie israeliane, l’Washington Post ha titolato “L’Europa agisce”, mentre la maggior parte dei quotidiani europei ha deciso di focalizzare l’attenzione sulla reazione irosa del premier israeliano Netanyahu, che minacciava una crisi diplomatica nel caso le linee guide fossero state implementate.

Secondo la UE, le istituzioni e le organizzazioni israeliane situate nei Territori o attive oltre i confini del 1967 non potranno più ottenere finanziamenti, prestiti, premi per progetti di ricerca dalla UE, a partire dal 2014. Inoltre, Bruxelles stabilisce che in ogni futuro accordo con la UE, Israele dovrà formalmente dichiarare che Cisgiordania, Gerusalemme Est e Alture del Golan non sono parte dello Stato di Israele. 

“Le linee guida sono un buon messaggio e un primo passo”, ha detto Aneta Jerska dell’Europea Coordination of Committees adn Associations for Palestine (ECCP), che ha Bruxelles rappresenta le organizzazioni palestinesi. Tuttavia ha anche aggiunto: “Sono linee guida deboli e con molti gap. Non sono applicabili individualmente agli Stati membri e a compagnie”.

Così, a soli tre mesi dalla pubblicazioni delle linee guida, è alto il rischio che, come conseguenza della reazione israeliana, le condizioni vengano diluite. La Jerska avverte del pericolo: “Israele vuole giungere ad un accordo in base al quale non ci sia l’obbligo di dichiarare le colonie non parte dello Stato di Israele”. L’ECCP sta facendo pressioni sulla UE perché non ceda ai ricatti israeliani.

Anche se le linee guida fossero totalmente implementate, rimarrebbe un problema chiave: l’indiretto coinvolgimento delle compagnie europee. La UE è il principale partner commerciale israeliano; il 34,4% delle importazioni e il 25,1% delle esportazioni vengono dall’Europa. Dopo gli Stati Uniti, l’Europa è il principale acquirente di prodotti israeliani, alcuni dei quali provenienti dalle colonie illegali.

I prodotti delle colonie, tuttavia, rappresentano solo una parte dell’economia dell’occupazione. “Sono solo una piccola percentuale dell’industria dell’occupazione – spiega Rona Morat di Who Profits, organizzazione che indaga su chi fa affari con l’occupazione – Molto più importanti sono le decine di compagnie che costruiscono infrastrutture e forniscono servizi nelle colonie industriali”.

Moran conferma che la maggior parte delle 507 compagnie che fanno affari nelle colonie son europee. Il nuovo progetto di treno veloce in costruzione in Israele, ad esempio, ha ricevuto un investimento da 1,9 miliardi di dollari da compagnie europee. Un progetto che rappresenta bene la complicità europea nell’occupazione: il percorso del treno – che collega Tel Aviv a Gerusalemme – attraversa la Linea Verde e entra nei Territori Palestinesi per circa 6 chilometri. Anche la compagnia statale tedesca Deutsche Bahn ha contribuito al progetto. Solo dopo l’interposizione del Ministero dei Trasporti tedesco, la compagnia ha sospeso la sua assistenza nel 2011.

Sebbene la questione sia stata dibattuta pubblicamente in Germania, alcune compagnie tedesche sono ancora coinvolte nel progetto illegale. “Herrenknecht dovrebbe stare più attento”, dice Moran. Herrenknecht è una compagnia tedesca di Schwanau che produce i macchinari per costruire tunnel, utilizzati nella costruzione della linea ferroviaria. “Abbiamo scritto loro una mail per informarli, ma non è cambiato nulla. Sanno esattamente che il progetto è illegale. Coinvolta anche la H+E Logistik di Bochum, sussidiaria della Herrenknecht.

Alcune delle compagnie sono multinazionali, come la Siemens, corporazione tedesca di tecnologia, che fornisce i sistemi di controllo per le bypass road israeliane in Cisgiordania (strade ad esclusivo uso dei coloni). Inoltre, la Siemens ha venduto 118 vagoni a Israele, che probabilmente saranno utilizzati per il treno ad alta velocità. L’ufficio stampa della multinazionale, una delle più grandi al mondo, non ha risposto alle domande dell’AIC riguardo a tali accuse.

Ma non sono solo le compagnie tedesche a fare affari con l’occupazione: la banca belga Dexia Group detiene la quota di maggioranza della filiale Dexia Israel, che fornisce prestiti ai comuni israeliani nelle colonie. Gli annunci della banca di vendere la sua compagnia-sorella non sono mai stati concretizzati: “Annunciano sempre la chiusura, ma non accade mai nulla”, conclude Rona Moran.

Altro esempio è la Veolia Environment, compagnia francese duramente criticata negli ultimi anni per il suo ruolo nella gestione dei rifiuti delle colonie nella Valle del Giordano. Veolia possiede anche la compagnia che ha costruito il tram a Gerusalemme e che gestisce il City Pass consortium e Connex Jerusalem. Il tram è stato costruito per collegare le colonie illegali nella città di Gerusalemme. Nel 2010, Veolia ha detto che avrebbe venduto le sue quote, ma ad oggi nulla è cambiato. Veolia, come molte altre compagnie europee, sta ancora facendo profitti grazie all’occupazione e rappresenta quindi un ostacolo alla pace.

(tradotto a cura di AIC Italia/Palestina Rossa)