Il cauto appoggio dell'Unione Europea alla Palestina

Znetitaly.org
05.11.2013

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Il cauto appoggio dell’Unione Europea alla Palestina

di Laurence Bernard – Le Monde Diplomatique

Venti anni dopo gli accordi di Oslo, l’Unione Europea ha appena fatto il primo passo per rendere credibile il suo apporto ufficiale per uno stato palestinese “indipendente, democratico, contiguo e fattibile”. Una direttiva pubblicata in luglio fa in modo che tutti gli organismi israeliani (affari, università, laboratori  di ricerca o associazioni) che operano al di fuori dei confini di Israele e si dedicano ad attività in Cisgiordania o a Gerusalemme Est, non abbiano diritto a premi e strumenti finanziari sovvenzionati dall’UE, dal 1°gennaio 2014.

Questo dovrebbe porre fine all’appoggio dell’UE alle imprese come l’Ahava che sfrutta il fango ricco di minerali del Mar Morto, a cui l’industria palestinese ha il veto di accedere, e  all’Autorità delle Antichità palestinesi per mezzo di cui Israele ha praticamente un monopolio sulla regolamentazione, la conservazione,  e  la presentazione dei siti archeologici in Palestina. 

L’Unione Europea non è stata mai capace o disponibile ad applicare le molte dichiarazioni e risoluzioni che si sono accumulate dal 2009, che e  invitano le autorità israeliane a “porre fine a tutte le attività di insediamenti, compresa la crescita naturale, a Gerusalemme Est e nel resto della Cisgiordania, e a smantellare tutti gli avamposti eretti fino dal marzo 2001″ (1). Finora, malgrado le violazioni registrate delle risoluzioni dell’ONU e delle convenzioni di Ginevra, e l’opinione consultiva della Corte Internazionale di Giustizia sulla Barriera di separazione (2), l’UE non ha applicato alcuna sanzione contro Israele. 

Ridursi giorno per giorno 

E’ tuttavia è necessaria un’azione urgente, perché la politica del fatto compiuto continua a erodere il territorio palestinese, mettendo a rischio la soluzione dei due stati. La Cisgiordania è stata già ridotta a un arcipelago di piccole isole urbane  dalla Barriera di separazione, la cui linea di fatto si annette quasi il 10% del territorio palestinese, e dal fatto che il 60% di tutto il territorio palestinese – “Area C” -rimane sotto il controllo completo di Israele. Questa ha già 350.000 coloni israeliani che vivono in 35 insediamenti, in confronto ai 180.000 palestinesi residenti. L’Ufficio dell’ONU per il Coordinamento degli Affari Umanitari si preoccupa per la crescita di violenza da parte dei coloni, per il rifiuto espresso ai Palestinesi delle domande di permessi di costruzione da parte dell’amministrazione civile israeliana responsabile dei territori, e per la demolizione sistematica di edifici eretti “senza un permesso.” 

Queste demolizioni comprendono progetti finanziati dall’UE, che talvolta paga per la ricostruzione di infrastrutture distrutte dall’esercito israeliano, come il porto e l’aeroporto di Gaza, e per le strutture amministrative e di sicurezza dell’Autorità Palestinese, specialmente a Nablus e a Jenin, dove la UE ha speso 30 milioni di euro (41 milioni di dollari) per ricostruire due strutture appartenenti all’Autorità Palestinese, che dovrebbero essere completate il prossimo anno, e le infrastrutture rurali. Perfino l’ attrezzatura di soccorso umanitario (tende, ricoveri, latrine) viene regolarmente distrutta dall’esercito israeliano o dai coloni che senza che l’UE rivendichi i danni. Soltanto l’Ufficio umanitario della Comunità Europea ha richiesto un risarcimento finanziario – e la richiesta è stata negata con la motivazione che le strutture non erano state costruite in collaborazione con le autorità israeliane, 

Ci sono stati molti incidenti, alcuni dei quali hanno coinvolto diplomatici europei, e che per lo più non sono stati sono pubblicizzati dai governi che non volevano causare problemi. L’UE ha continuato a fornire finanziamenti per rafforzare le istituzioni dell’Autorità Palestinese ( i donatori sperano in una crescita economica in assenza di una soluzione politica). Nel corso degli anni, l’Autorità Palestinese è stata tenuta in vita da questo “gocciolio” finanziario – l’UE paga i salari della maggior parte dei suoi funzionari che costano 150 milioni di euro (293 milioni di dollari) all’anno. 

Le risorse idriche sono sempre state un problema importante: la loro distribuzione è ancora sfavorevole ai palestinesi. Il Comitato Idrico congiunto si suppone che promuova attività decisionali congiunte da entrambe le parti, ma è usato dagli israeliani per bloccare la maggior parte dei progetti palestinesi. I palestinesi hanno soltanto il 20% delle risorse idriche della Cisgiordania, gli israeliani l’80%; in media i palestinesi usano soltanto il 25%  di acqua per persona al giorno. Alla comunità internazionale, compresa l’UE, non sembra dispiacere di finanziare i progetti di trattamento  delle acque  dove gli investimenti e i costi operativi sono più costosi a causa delle restrizioni imposte dagli israeliani. 

Le autorità israeliane hanno espropriato più di un terzo di Gerusalemme Est che hanno dichiarato appartenere al “territorio nazionale” di Israele. Ci sono 250.000 coloni che vivono nelle aree palestinesi della Città vecchia e del bacino storico, e nelle enormi moderne aree di sviluppo urbano che  cingono  la città. La cultura, la storia e l’eredità sono strettamente controllate dalle autorità israeliane che negano i permessi alle guide turistiche, confiscano i reperti e controllano gli scavi archeologici. Secondo il più recente rapporto congiunto redatto dai capi della missione diplomatica dell’UE a Gerusalemme e a Ramallah, sembra esserci “uno sforzo concertato per utilizzare l’archeologia per migliorare una rivendicata continuità storica ebraica a Gerusalemme, creando quindi una giustificazione storica per stabilire Gerusalemme come capitale di Israele eterna e indivisa” (4). 

Malgrado le conclusioni inequivocabili di questo rapporto, inviato ai governi di tutti gli stati dell’UE, questa ha trovato difficile imporre qualsiasi cosa alle autorità palestinesi, come per esempio riaprire le istituzioni ufficiali a Gerusalemme est, specialmente la Orient House – quartier generale della Organizzazione per la Liberazione della Palestina a Gerusalemme fino al 2000 – e la Camera di commercio della Palestina. 

Il blocco di Gaza 

Nel 2010 Israele ha chiuso tutti i passaggi di frontiera per entrare nella Striscia di Gaza, eccetto quelli a Erez (accesso ristretto) e a Kerem Shalom, l’unico valico attraverso il quale certe merci possono essere importate. Con alcune eccezioni, nessuna esportazione è permessa. Gaza è già uno dei territori più densamente popolati del mondo, con circa due milioni di persone ammassate in 400 kmq (4.500 persone per kmq), ma le autorità israeliane hanno anche imposto una zona cuscinetto lungo la barriera, tra 100 e 500 m. di profondità, che nega l’accesso ai residenti al 17% del territorio (e il 33% della terra coltivabile). Simili restrizioni si applicano lungo la costa: il limite esterno della zona di pesca, fissato a 20 miglia nautiche in base all’accordo di Oslo, è ora ridotto a 3/6 miglia. Non essendo stati in grado di ottenere che il blocco venisse rimosso, la risposta dell’UE è stata di fornire 15 milioni di euro (20,3 milioni di dollari) per migliorare  le strutture del passaggio di frontiera a Kerem Shalom. 

Anche la situazione difficile dei profughi palestinesi è peggiorata. L’ONU ha registrato quasi cinque milioni di persone espulse dai loro villaggi nel 1948 e il 1967. Un terzo vive ancora in campi “provvisori” a Gaza, in Cisgiordania, in Giordania, in Libano e in Siria; 3,5 milioni fanno affidamento sull’UNRWA, cioè l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione [dei profughi palestinesi] per la salute e istruzione essenziali. Questo costa all’UE quasi 300 milioni di euro (406 milioni di dollari) all’anno di finanziamenti all’UNRWA, e la situazione è stata resa peggiore dal recente afflusso di profughi siriani e dalla instabilità della regione. 

Che cosa potrebbe fare l’Unione Europea 

La situazione in Medio Oriente dimostra l’incapacità dell’Unione Europea di imporre condizioni come base per una pace durevole nella regione. E tuttavia potrebbe farlo facilmente (5). Potrebbe accettare l’importante passo che rappresenta la sua recente direttiva, invece di tentare di limitarne l’efficacia, e rifiutare di inchinarsi alla pressione da parte di Israele – che ha proibito ai rappresentanti dell’UE di visitare Gaza – e degli Stati Uniti. L’Europa è il più grosso partner commerciale di Israele – il commercio con l’UE equivale a circa 30 miliardi di euro (41 miliardi di dollari) all’anno – e rappresenta un quarto delle sue esportazioni. L’UE potrebbe minacciare rappresaglie in base all’Accordo di Associazione  UE-Israele, firmato nel 2000, congelare accordi specifici che sono già in vigore o che si stanno negoziando (Israele è ancora il principale beneficiario dei programmi mediterranei dell’UE), e sospendere i negoziati sul rafforzamento  dell’Accordo di Associazione. 

L’UE potrebbe anche smettere di importare merci prodotte o assemblate negli insediamenti israeliani in Cisgiordania. Nel 2012 un gruppo di 22 ONG hanno stimato che il valore delle importazioni dell’UE di tali prodotti  in 230 milioni di euro (311 milioni di dollari), cioè circa 15 volte di più del valore delle sue importazioni di prodotti palestinesi (6). Dato che non dipendono  dal finanziamento diretto dell’UE, le esportazioni di prodotti fatti negli insediamenti non sono coperti dall’attuale direttiva. Anche i prodotti con l’etichetta “Made in Israel” – ma in realtà fatti negli insediamenti – sono esenti da tasse; 13 stati membri lavorano a un’iniziativa per le etichette, per rendere più chiara la verità ai consumatori dell’UE. Alcuni, compresa l’Irlanda, preferirebbero vedere che l’UE bandisce questi prodotti. 

Infine, l’UE potrebbe agire riguardo al commercio delle armi con Israele che continua a crescere malgrado il codice di condotta dell’UE che proibisce le vendite di attrezzature militari che “potrebbero essere usate per la repressione interna o per aggressioni internazionali, o per contribuire all’instabilità nella regione”. Le attrezzare di Israele, le importazioni, gli investimenti nella ricerca (parzialmente sovvenzionati dall’UE) e le recenti operazioni militari a Gaza – che è diventata un terreno di prova per la tecnologia delle armi – gli hanno permesso di promuovere le sue esportazioni di armi all’estero in tutto il mondo. Nel 2012 hanno raggiunto un record di 5,3 miliardi di euro (7,2 miliardi di dollari), e Israele ha sorpassato la Francia  diventando il quarto più grosso esportatore di armi. 

(1) EU Foreign Affairs Council, “Council Conclusions on the Middle East Peace Process”, Brussels, 8 December 2009. [Consiglio degli Affari esteri dell'UE: "Conclusioni del Consiglio sul processo di pace in Medio oriente"]. 

(2) In 2004 the International Court of Justice declared the line of the wall illegal under international law.[Nel 20012 la Corte Internazionale di Giustizia ha dichiarato illegale la linea del muro in base alla legge internazionale]. 

(3) See Bimkom, “The Prohibited Zone”, Bimkom, Jerusalem, 2009. [La zona proibita]- 

(4) “EU Heads of Mission Report on East Jerusalem”, February 2013. [Rapporto della missione dei capi dell'UE a Gerusalemme]. 

(5) See Association of International Development Agencies (AIDA), “Failing to make the grade:How the EU can pass its own test and work to improve the lives of Palestinians in Area C” (PDF), 2013.  [Vedere: Associazione delle Agenzie internazionali per lo Sviluppo (AIDA): Non  riuscire a raggiungere la meta: come l'UE può superare la sua prova e lavorare per migliorare la vita dei palestinesi nell'Area C]. 

(6) International Federation for Human Rights, et al, “Trading Away Peace: How Europe Helps to Sustain Illegal Israeli Settlements”, Paris, October 2012. 

(Traduzione di Maria Chiara Storace)