Appoggio solo verbale alla pace: l'Unione Europea facilita le politiche coloniali di Netanyahu

Zcom.org
16.11.2013

http://www.zcommunications.org/lip-service-to-peace-eu-as-an-enabler-of-netanyahu-s-colonial-policies-by-ramzy-baroud.html

Appoggio solo verbale  alla pace: l’UE facilita le  politiche coloniali di Netanyahu

di Ramzy Baroud

L’Europa è diversa, come spesso ci viene ricordato. Il buon senso generale  è diverso dal tipo di appoggio incondizionato degli Stati Uniti per Israele. I paesi europei tendono a essere più equilibrati nel loro approccio al conflitto israelo/palestinese. I loro politici sono meno disposti a essere comprati e venduti dalle lobby filo-israeliane. I loro mezzi di informazione  si occupano di molti più argomenti, a differenza dei media tradizionali statunitensi fermamente parziali che, a volte, sono molto più filo-israeliani degli stessi media di Israele. Mentre si deve ammettere che la politica estere di nessun paese è una copia carbone esatta di un’altra, ci sono poche prove che distinguono l’Unione Europea (UE)  come una piattaforma di imparzialità  e di sensibilità politica. Al contrario degli Stati Uniti, tuttavia, il pregiudizio europeo è di gran lunga meno appariscente e lo è di proposito.

 

 Nessun altro argomento illumina di più l’incoerenza, l’ipocrisia e perfino le politiche controproducenti  dell‘Europa, quanto la posizione dell’UE riguardo agli insediamenti illegali  di Gerusalemme Est e della Cisgiordania occupate. Tutte le ferme dichiarazioni  circa l’impegno dell’UE verso la legge internazionale riguardante l’illegalità degli insediamenti, tutti gli avvertimenti che le strutture di tipo coloniale sempre più invadenti  impediscono ogni possibilità – se ne esiste qualcuna – di una soluzione con i due stati, non sono altro che politiche  proclamate che si pongono in contraddizione quasi completa con la realtà effettiva. 

Non soltanto l’UE fa poco per mostrare una vera determinazione nello scoraggiare la crescita degli insediamenti – essi ora occupano quasi il 42% dell’estensione totale  della Cisgiordania e di Gerusalemme Est e la maggior parte delle loro risorse naturali – ma, con modi sfacciatamente diretti, essa finanzia di fatto proprio la crescita di questi insediamenti. La stranezza è che l’UE agisce così mentre allo stesso tempo continua a essere un importante finanziatore dell’Autorità Palestinese (AP) e un difensore instancabile della soluzione dei due stati. 

Come può, però, l’UE difendere proprio la ‘soluzione’ in cui  essa stessa è impegnata  per poi mettervi fine? Pura ipocrisia – discrepanza tra retorica e azione, oppure l’atteggiamento dell’UE fa parte di un programma politico definito di politica estera che è molto più grande della volontà politica di singoli paesi? 

Fatti e numeri dimostrano indubbiamente la complicità dell’UE, della sua compiacenza e dell’investimento diretto nel progetto coloniale israeliano. In un nuovo rapporto intitolato “Trading away peace: come l’Europa aiuta a sostenere gli insediamenti illegali di Israele”,(**) 22 ONG espongono una duplicità dell’Europa estremamente significativa. Le ONG includevano organizzazioni importanti come Christian Aid e la Federazione Internazionale per i Diritti Umani. 

“La stima più recente del valore delle importazioni dell’UE dagli insediamenti, fornita dal governo israeliano alla Banca Mondiale, è di 300 milioni di dollari (230 milioni di euro) all’anno; questo equivale approssimativamente a quindici volte il valore delle importazioni dai palestinesi,” ha dimostrato il rapporto. “Dato che ci sono quattro milioni di palestinesi e oltre 500.000 coloni che vivono nel territorio occupato, significa che l’UE importa oltre 100 volte di più per ogni colono che per ogni palestinese.” 

L’Europa è il maggior partner commerciale di Israele, seguita dagli Stati Uniti. Senza queste importanti rotte commerciali, l’economia israeliana probabilmente soffrirebbe le conseguenze delle politiche governative israeliane. Inoltre l’ammontare citato prima è probabilmente molto maggiore, dato che gran parte dei prodotti israeliani che provengono dai  territori occupati sono distribuiti sul mercato  con l’etichetta “Fabbricato a Israele”, semplicemente perché molte imprese con base negli insediamenti, hanno filiali in Israele. Un esempio tipico è la SodaStream, che produce gasatori per l’acqua di rubinetto. (*) La grande maggioranza (oltre il 70%) dei suoi prodotti vengono venduti in paesi europei, malgrado il fatto che la manifattura dei prodotti avvenga a Ma’ale Adumin, un insediamento ebraico costruito illegalmente su terra palestinese a Gerusalemme Est e che è in espansione costante. Le imprese con base in insediamenti illegali, ricevono generose agevolazioni fiscali e altri incentivi: per esempio usare le ‘le strade solo per ebrei’  che ai palestinesi è vietato usare, sebbene siano costruite sulla loro terra. “Dato che l’impresa  ha anche una fabbrica in Israele,” ha scritto Eline Gordts sull’Huffington Post, “può vendere i suoi prodotti con l’etichetta ‘Fabbricato in Israele’.” Tale strategia può riuscire a evitare la formalità di mettere il marchio sui   prodotti fatti negli insediamenti israeliani  dichiarandoli come tali, formalità applicata da due paesi europei. 

L’UE ha poco da ridire sul fatto di  essere un importante mercato che fa prosperare gli insediamenti e che li mantiene competitivi dal punto di vista economico. Sta infatti facendo tutto il possibile per integrare l’economia israeliana nel più vasto mercato europeo. Il più recente di questi tentativi è avvenuto il 23 ottobre, quando il Parlamento europeo ha ratificato l’ACAA (Agreement on Conformità Assessment and Acceptance), cioè l’Accordo della Valutazione di Conformità e Accettazione tra UE e Israele . La ratifica non è certo un gesto isolato, dato che fa parte di tentativi incessanti che risalgono all’Accordo di Associazione del 1995 che presumibilmente intendeva ricompensare Israele per i suoi tentativi pacificatori  e per aiutarla  a interrompere il suo isolamento nella regione. malgrado gli sforzi incessanti di Israele di colonizzare gran parte della Cisgordania, malgrado il continuo isolamento ‘legale’ e fisico di Gerusalemme est occupata, e il protrarsi dell’assedio di Gaza, l’UE ha fatto poco per sottolineare qualsiasi obiezione riguardo alla violazione della legge internazionale fatta da Israele.  “Vale la pena ricordare,” ha scritto Emanuele Scimia sul giornale Asia Times, “che il 24 luglio il Consiglio Europeo che è l’organismo decisionale  dell’UE,  ha già concordato di aggiornare le relazioni commerciali e diplomatiche con Israele in più di 60 settori.” 

Pieni di contraddizioni, i paesi europei continuano a procedere con la medesima strana logica di sostenere gli insediamenti e allo stesso tempo di criticarli. Queste tre potenze europee – Germania, Gran Bretagna e Francia – hanno riunito le forze e da  Berlino il 6 novembre hanno criticato Israele per la sua recente decisione di permettere al costruzione di oltre 1.200 nuove unità abitative in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. 

“La nostra aspettativa riguardo a tutte le parti del Medio Oriente è che si astengano da qualsiasi azione che renderebbe più difficile la ripresa dei negoziati,” ha detto il ministro degli esteri tedesco, Guido Westerwelle. Ha definito la politica di Israele  degli insediamenti “un impedimento al processo di pace.” Infatti questo è la punta dell’iceberg perché, secondo il rapporto delle ONG, “negli ultimi due anni l’espansione degli insediamenti è stata accelerata e sono state annunciate o approvate più di altre 16.000 unità abitative.” Questa politica è probabile che continui con ferocia senza precedenti dato che il governo di destra di Benjamin Netanyahu ha detto chiaramente che la costruzione degli insediamenti è la pietra angolare delle sue politiche, specialmente una volta che abbia ricevuto un nuovo mandato in seguito alle imminenti elezioni. 

La crescita degli insediamenti è accompagnata da una distruzione parallela delle “strutture palestinesi, comprese quelle finanziate con l’aiuto di donatori europei.” L’UE non sta neanche difendendo attivamente le sue politiche dichiarate riguardo agli insediamenti  e non sta intraprendendo alcuna azione legale importante contro la distruzione sistematica dei progetti finanziati dall’UE nei territori occupati. Cosa ancora peggiore, secondo il rapporto,”alcune compagnie di proprietà europea hanno investito in insediamenti e nelle relative infrastrutture o stanno fornendo servizi a questi. I casi che sono stati riferiti comprendono il G4S (Regno Unito/Danimarca), Alstom (Francia) Veolia (Francia), e Hidelberg Cement (Germania).” 

In effetti, le politiche estere dell’UE riguardo alla Palestina e a Israele,  sono diverse da quelle degli Stati Uniti; mentre i secondi sono apertamente parziali e anche in maniera incondizionata, la prima  è ambiguamente  complice,  dato che garantisce  proprio l’occupazione  a cui si suppone stia tentando di porre fine 

*http://www.bdsitalia.org/index.php/ultime-notizie-stop-sodastream1/451-corpwatch-sodastream 

**http://www.bdsitalia.org/index.php/la-campagna-bds/ultime-notizie-bds 

Ramzy Baroud (www.ramzybaroud.net) è un opinionista che scrive sui giornali internazionali e dirige il sito Palestine Chronicle. Il suo libro più recente è: My father was a Freedom Fighter; Gaza’s Untold Story (Pluto Press, London). [Mio padre era un combattente per la libertà: lastoria diGaza non raccontata] 

(Traduzione di Maria Chiara Storace)