Betlemme: l'occupazione penalizza il turismo.

AIC - Alternative Information Center
04.12.2013

http://www.alternativenews.org/english/index.php/politics/palestinian-society/7530-bethlehem-occupation-impedes-tourism

Betlemme: l’occupazione penalizza il turismo

Migliaia di pellegrini giungeranno a Betlemme per visitare la città e la Chiesa della Natività nel prossimo mese e per celebrare il Natale nel luogo in cui Gesù è nato. Il turismo gioca un ruolo importante nell’economia della città di Betlemme, ma a causa dell’occupazione, il potenziale della città non può essere sfruttato al meglio. 

di Carolin Smith 

La folla scandisce ad alta voce il conto alla rovescia: cinque, quattro, tre, due, uno... Buon Natale! L’enorme albero addobbato in Manger Square viene illuminato con delle luci verdi, gialle e rosse. Con alcune settimane di anticipo, gli abitanti di Betlemme festeggiano l’inizio delle festività natalizie con l’accensione del grande albero di Natale. Solo pochi giorni prima, le strade della città erano state adornate con renne, stelle e centinaia di luci natalizie.

 

 

L’inizio del Natale è una questione molto importante, e non senza un buon motivo. A Betlemme il turismo legato alle festività natalizie gioca infatti un ruolo centrale nell’economia della città, che soffre la mancanza di uno sviluppo industriale e il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 23%. Circa 200 mila stranieri e migliaia di turisti palestinesi sono attesi a Betlemme a dicembre e la città ha lanciato una vasta campagna commerciale per attirare un maggiore numero di visitatori; “Betlemme vuole essere la casa di tutti durante il Natale” ha dichiarato il sindaco Baboun.  

L’atmosfera pacifica e festosa della serata nasconde però una realtà molto meno piacevole. Sia il primo ministro Hamdallah (presente alla cerimonia) che il sindaco Baboun hanno parlato di “difficoltà”, “ostacoli”, “colonie israeliane” e “ingiustizie”, mettendo in primo piano la lotta palestinese. I loro discorsi sono ricchi di messaggi politici, perché nonostante Betlemme accolga chiunque per il Natale, sanno che non ne hanno il totale controllo. Per esempio, sanno benissimo che a un elevato numero di cristiani verrà negato l’accesso alla Cisgiordania poiché arabi. 

Il turismo rappresenta il 13% del PIL palestinese ed è altamente colpito dalle restrizioni imposte dall’occupazione. Israele controlla tutte le frontiere, sia quelle marittime che quelle terrestri, il muro della segregazione circonda Betlemme e i visitatori devono per forza superare uno dei numerosi check point. 

L’impatto dell’occupazione è enorme. Non è possibile uno sviluppo del turismo così come vogliamo noi” afferma il ministro del turismo palestinese Rula Ma’aya. Nella prima metà dell’anno, la Palestina ha accolto 2,6 milioni di visitatori, registrando un incremento del 14% rispetto al 2012, che a sua volta aveva segnato un aumento del 18% rispetto all’anno precedente. “Nonostante possiamo aumentare i numeri di un poco, il settore non potrà cambiare in maniera significativa fintantoché saremo sotto occupazione” ha dichiarato il ministro del turismo Ma’aya. 

Betlemme è la destinazione turistica più popolare in Palestina con un numero di visitatori in aumento da quando, nel 2012, l’UNESCO ha deciso di inserire la Chiesa della Natività e una parte della città vecchia nell’elenco dei beni considerati patrimonio dell’umanità. Purtroppo troppi pochi palestinesi beneficiano di questo incremento, poiché la maggior parte dei turisti scelgono di non pernottare a Betlemme, lasciando i 48 hotel della città con una capacità di 3800 camere a lottare per la sopravvivenza. 

E’ per questo motivo che le tabelle statistiche definiscono questi turisti come “visitatori di passaggio”: scendono dal pullman, entrano della Chiesa della Natività, comprano un piccolo souvenir nella piazza principale e poi via di ritorno a Gerusalemme. La maggior parte dei turisti trascorre solo tre ore a Betlemme, “l’unica cosa che ci lasciano solo le bottiglie d’acqua vuote” afferma Fayrouz Khoury, il direttore generale della Camera di Commercio di Betlemme, oltre a porre l’accento sul fatto che Betlemme ha molto di più da offrire oltre alla Chiesa del Latte e della Natività, e che i turisti dovrebbero passeggiare per le vie del centro storico, intrattenersi a chiacchierare con i locali e imparare cosa significa una vita sotto occupazione.  

Non solo Betlemme è penalizzata dall’impossibilità di sfruttare appieno le opportunità turistiche, “il potenziale maggiore è in area C, presso il Mar Morto, ma non abbiamo né il permesso di edificare nuovi edifici, né di restaurare i siti storici senza l’approvazione israeliana” denuncia Rula Ma’aya. Inoltre, la maggioranza delle guide operative in Palestina sono israeliane; a Betlemme sono 150 le guide israeliane accreditate e a Gerusalemme solo 43 quelle palestinesi.  “Ciò va contro al Protocollo di Parigi, in base al quale tutte le guide palestinesi dovrebbero avere il permesso di entrare a Gerusalemme” prosegue il ministro. 

A Betlemme, che si trova in area A e sotto il controllo palestinese, le scarse entrate economiche significano che la Chiesa della Natività necessita di molte ristrutturazioni, l’acqua piovana si infiltra da anni nel tetto rovinato, colando lungo i muri e minacciando i mosaici secolari. Sarebbero necessari circa 15 milioni di euro per i lavori, ma al momento ne sono stati raccolti solo 2.  

Nonostante le molte campagne pubblicitarie intraprese dal comune di Betlemme, ottenere tali fondi è possibile solo tramite gli aiuti internazionali. L’agenzia statunitense per gli Aiuti Internazionali allo Sviluppo (USAID) ha donato quest’anno 400.000 dollari per le decorazioni natalizie e in cambio il loro logo rosso-blu campeggia ben visibile su tutte le insegne presenti a Manger Square. Alcuni attivisti politici di Betlemme si oppongono a queste donazioni, sottolineando l’ipocrisia di tale ente, che da una parte pare promuovere il turismo a Betlemme e dall’altra continua a finanziare l’occupazione e l’esercito israeliano. Lunedì scorso in segno di protesta hanno decorato un albero di natale con i resti di alcuni lacrimogeni sparati dall’esercito israeliano. 

(tradotto da AIC Italia/Palestina Rossa)