La non-partecipazione come strategia palestinese?

Al-Shabaka
10.12.2013

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La non-partecipazione come strategia palestinese?

Sono state proposte molte soluzioni alla pluridecennale crisi di leadership che affligge il popolo palestinese, come la riforma dall'interno dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) attraverso le elezioni al Consiglio nazionale palestinese, o far entrare Hamas e altri gruppi islamisti nel Comitato Esecutivo dell’OLP. 

di Haidar Eid

Tuttavia, la crisi della leadership esistente e di tutti i partiti politici, di destra e di sinistra, è ormai così profondamente radicata che l'unica strada percorribile potrebbe essere quella di "non-partecipare" all'attuale sistema politico palestinese.

 

Che cosa è "non-partecipazione"? Come definita da Mesud Zavarsadeh e Donald Morton in un contesto diverso, nella loro Teoria come Resistenza, "le opzioni derivano sia dall’ essere 'convinti' della legittimità di lavorare all'interno del sistema, accettando così le strutture esistenti, o dal credere che non ci sia spazio per un cambiamento radicale". Il problema di lavorare all'interno di un sistema esistente che ha perso legittimità è che impedisce di emergere a ciò che è "possibile e che è oppresso da ciò che sta accadendo" come sottolineano Zavarsadeh e Morton. 

Al fine di mettere in luce la forza di ciò che è possibile per il popolo palestinese dobbiamo prima smettere di partecipare a strutture politiche illegittime e inefficaci. Altrimenti continuiamo ad avere di fronte una serie molto limitata di opzioni, una peggio dell’altra, e nessuna che porti alla realizzazione dell’autodeterminazione e dei diritti palestinesi. Lasciatemi subito dire che questo non è un appello per porre fine all’attivismo palestinese per l'autodeterminazione, la libertà, giustizia e uguaglianza; lontano da tutto questo, come sarà discusso dopo una breve rassegna della crisi della destra, così come della sinistra. 

La crisi della destra 

Applicare il termine "illegittimo" all'intero sistema politico palestinese, compresi i partiti politici sia di sinistra che di destra, può sembrare troppo duro o eccessivo – finché uno non esamina i fatti. Di recente ho scritto molto sulla crisi della destra in entrambe le sue manifestazioni, laica e religiosa, su Rai Alyoum e sulla crisi della sinistra su Alternative News. I punti principali sono illustrati di seguito. 

La crisi dei partiti di destra, sia "laici" (Fatah ei suoi alleati) che "religiosi" (Hamas ei suoi alleati) è ora più palese che mai. È sbagliato far risalire questa crisi al confronto del 2007 tra Fatah e Hamas, progettato in gran parte dagli Stati Uniti, che ha portato alla divisione tra Gaza e la Cisgiordania. 

Piuttosto, la crisi della destra risale alla Guerra dell’ottobre del 1973 e all'adozione da parte dell’OLP dei 10 punti del programma del 1974 e del principio di istituire un'autorità nazionale su qualsiasi parte di Palestina venisse liberata. Questo a sua volta portò alle concessioni fatte negli accordi di Oslo a partire dal 1993. Così, anche se la scissione fra Fatah-Hamas dovesse essere sanata, come hanno tentato di fare iniziative di vari governi e della società civile, come primo passo per raddrizzare il corpo politico palestinese, ciò non farebbe tornare la destra palestinese ad essere una forza efficace per l'auto-determinazione e i diritti palestinesi. 

In questa fase la Destra, sia religiosa che laica, è impegnati nel progetto dei due Stati che, sostanzialmente, nega il diritto al ritorno dei palestinesi e trasforma il rapporto tra i palestinesi della Cisgiordania e di Gaza, da un lato, e i profughi palestinesi, esuli e cittadini di Israele dall'altro in un rapporto di "solidarietà". Per quanto riguarda l'auspicata creazione di uno stato, se dovesse avvenire, non sarebbe meglio di un bantustan basato sulla discriminazione etnico-religiosa. Peggio ancora, la Cisgiordania e Gaza sono ormai diventate due entità distinte. 

La Destra palestinese laica e, adesso, la destra religiosa sono sostanzialmente cadute nella trappola tesa decenni fa dalla sinistra sionista che era disposta ad accettare uno stato palestinese con una "giusta soluzione" per la questione dei profughi. Questo è l'approccio che l'Olp ha accettato nel suo programma nonostante le contraddizioni tra la creazione di uno Stato indipendente sui confini del 1967 e il diritto al ritorno, così come il diritto all'autodeterminazione del popolo palestinese nel suo complesso. E questo approccio è stato sancito dagli accordi di Oslo a partire dal 1993. 

Sia la destra religiosa che quella laica si sono date come priorità quella stabilire relazioni con gli Stati Uniti. La Destra laica ha avuto successo mentre la destra religiosa invia ripetutamente messaggi sulla propria disponibilità ad accettare una soluzione a due Stati e a rispettare una tregua di 20 anni, anche se si rifiuta di riconoscere formalmente Israele. Entrambe le parti sono state disposte ad accettare "indipendenza" in cambio della libertà. Né hanno dimostrato la capacità di una resistenza creativa ed efficace. La loro priorità è quella di mantenere la propria esistenza politica nella forma di due autorità senza spina dorsale in due bantustan separati. Il loro fallimento è aggravato dal fatto che Israele ha reso chiaro che il suo progetto di colonizzazione continuerà implacabile. 

La sinistra “osloizzata” 

I fallimenti della destra non dovrebbero provocare troppa sorpresa. È il fallimento della sinistra che crea dolore e delusione. Il deterioramento della sinistra è venuto a seguito della sua implicita accettazione degli accordi di Oslo, nonostante la sua opposizione di facciata. Il Partito popolare (l'ex partito comunista) li ha legittimati con la sua accettazione di incarichi ministeriali in quasi tutti i governi formati dal momento della costituzione dell'Autorità Palestinese (AP) nel 1994. E sia il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) che il Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina (FDLP) hanno partecipato alle elezioni del Consiglio legislativo del 2006, fornendo così la legittimità ad una delle più importanti istituzioni degli Accordi di Oslo. Hanno anche tacitamente accettato i due incontri illegittimi del CNP tenuti dopo che furono firmati gli accordi di Oslo. 

Devo confessare che io, come molti residenti della Cisgiordania e di Gaza, avevamo ingenuamente pensato che la sinistra palestinese e le altre forze liberali avrebbero usato questa apertura per rafforzare e democratizzare il movimento nazionale palestinese e indebolire la morsa autoritaria di Fatah sul OLP. Tuttavia, l'affermazione della sinistra di rappresentare le aspirazioni nazionali del popolo si è rivelata vuota. 

Nessun onesto sostenitore della sinistra può negare che gli accordi di Oslo hanno portato la Palestina al disastro. Nelle parole del compianto Edward Said, Oslo è stato una "seconda Nakba". Ha portato con sé un livello senza precedenti di corruzione, cooperazione con Israele in materia di sicurezza, colonizzazione ancora più aggressiva e veloce della Cisgiordania e di Gerusalemme Est e un assedio brutale e spietato su Gaza. 

La maggior parte dei membri del bureau politico dei principali partiti di sinistra sono direttamente impiegati dalla AP/OLP o ricevono stipendi mensili senza essere impiegati direttamente. Possono fare un appello onesto o efficace per la dissoluzione della AP come chiedono alcuni attivisti palestinesi e intellettuali rispettati? Nel frattempo, molti di quelli che non sono impiegati dalla AP sono diventati direttori delle proliferanti ONG finanziate dagli occidentali, con tutti i legami e gli ordini del giorno che ne derivano. In breve, invece di condurre degli sforzi per combattere l'esito degli accordi di Oslo, la maggior parte della sinistra è, ahimè, domata dagli accordi di Oslo. Questo è lo sviluppo che ho definito precedentemente "Osloizzazione". Va notato che non tutta la sinistra segue questa rotta e vi è un segmento, seppur piccolo e marginale, che cerca delle alternative. 

L’inesorabile peggioramento della sinistra è forse meglio illustrato dalla posizione opportunista e senza scrupoli ha adottato nel braccio di ferro fra Hamas e Fatah. Invece di rispettare l'esito delle elezioni del 2006 e sostenere la formazione di un fronte unito con il partito che aveva vinto le elezioni con una chiara maggioranza su una piattaforma di resistenza e di riforme, la sinistra palestinese ha in gran parte sostenuto il governo incostituzionale di Ramallah ed ha combattuto il governo provvisorio di Hamas. 

Nessuna delle azioni della AP ha convinto la sinistra a prendere una posizione di principio o efficace che potesse convincere la "leadership ufficiale" dell'OLP a riconsiderare le proprie azioni. La lista è lunga e comprende: la chiusura di organizzazioni di beneficenza in Cisgiordania, il divieto di circolazione in Cisgiordania a due giornali della linea di Hamas, la chiusura degli uffici della stazione satellitare Al Aqsa, l’imprigionamento senza prove di prigionieri politici della AP, la decisione di tornare al tavolo dei negoziati, l'ostruzione del rapporto Goldstone al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e la brutalità con cui le forze di sicurezza dell'AP attaccano le manifestazioni anti-Oslo, comprese quelle organizzate da organizzazioni di sinistra. 

Anche il FPLP, in teoria, il più radicale della sinistra, ha chiuso un occhio sul segreto di Pulcinella dell’ampiamente diffuso piano del generale Keith Dayton per orchestrare un colpo di stato con le forze di sicurezza dell'Autorità Palestinese contro il governo di Hamas. Il FPLP, l'FDLP e il Partito popolare non hanno protestato efficacemente contro l’agenda filo-americana dell'OLP e i suoi ripetuti sforzi di normalizzazione o quelli del suo partito Fatah. 

Oggi, ci si deve chiedere che cosa resta ancora dell'OLP e ciò che resta dell’intera questione palestinese. Che logica può eventualmente avere la sinistra palestinese nel suo costante impegno per una OLP che affermano essere stata "deviata”? La pesante eredità dello stalinismo soffoca ancora la sinistra araba in generale e la sinistra palestinese in particolare. Si tratta di una delle principali differenze tra la sinistra araba e palestinese e quella dell'America Latina. 

Sono tuttavia consapevole che c'è una grande differenza tra i "vecchi" leader della sinistra e i quadri che lavorano oggi sul terreno, in particolare i giovani di sinistra, anche se Fatah e Hamas hanno ancora un seguito significativo come dimostrano le elezioni del consiglio degli studenti universitari. Recentemente si sono formati diversi movimenti giovanili, tra cui Herak Shababi che ha contribuito a coordinare le grandi e determinate proteste contro il "Piano Prawer", contro i recenti tentativi di Israele di praticare la pulizia etnica fra i Beduini del Negev, utilizzando i social media e seguendo l'esempio dei movimenti giovanili arabi in Tunisia, Egitto e negli altri paesi arabi. 

Non-partecipazione: decolonizzare la mente palestinese 

La domanda è: come si può portare avanti un cambiamento in un contesto politico così desolante? Questa domanda richiede urgentemente una risposta non solo per i giovani ma per tutti coloro che hanno ancora a cuore i diritti nazionali palestinesi, e ce ne sono molti. Qui è dove può esserci utile il concetto di "non-partecipazione". 

Non-partecipare è mettere in gioco la legittimità dell'ordine esistente e allo stesso tempo di lavorare per altre alternative e possibilità. Significa rifiutare il sistema esistente e la sua faziosità politica e ideologica e rivelare ed contrastare lo sfruttamento, la distorsione, e le sue caratteristiche autoritarie. Mettere in pratica il concetto di "non-partecipazione" sarebbe riportare l’agenzia palestinese al suo ruolo di portare all’effettiva realizzazione dei diritti nazionali palestinesi. 

Molti partiti e individui in tutti i territori occupati continuano a chiedere le elezioni del Consiglio Legislativo Palestinese (CLP) nei territori occupati come soluzione a tutti i problemi palestinesi. Davvero? L'OLP ha chiesto che tutte le fazioni accettino la AP e partecipino alle elezioni, costringendo alcune organizzazioni di sinistra a mentire dicendo che le elezioni per il CLP sono una manifestazione di pluralità. (Naturalmente, i rifugiati e gli esuli sono stati esclusi da queste elezioni). Il risultato è una situazione in cui la legittimità politica è concessa solo a coloro che accettano di lavorare all'interno del sistema. Questa non è pluralità. 

Ci sono già esempi di come sia possibile non-partecipare e lavorare ugualmente per la realizzazione dei diritti dei palestinesi. Il movimento della società civile per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni (BDS) fino a quando Israele non riconoscerà e sosterrà il diritto internazionale lavora al di fuori del sistema e tiene in considerazione il sistema. Il movimento giovanile è un altro modo di non-partecipare lavorando per l’affermazione dei diritti. Un altro importante sviluppo negli ultimi anni è l’attivismo collettivo dei palestinesi attraverso tutta la Palestina storica. Le proteste contro il piano Prawer sono state un esempio di attivismo transfrontaliero. 

Vale la pena notare che i rappresentanti di tutto il sistema politico palestinese - da sinistra a destra - fanno parte del Comitato Nazionale BDS in cui le decisioni vengono prese all’unanimità. In altre parole, anche se i leader dei partiti politici lavorano in un sistema fortemente compromesso, l'impegno a realizzare i diritti dei palestinesi è ancora profondo tra i quadri di partito. 

Naturalmente, senza un movimento nazionale che sia in qualche modo o forma rappresentativo, i movimenti sociali non possono realizzare da soli i diritti dei palestinesi, anche se possono contribuire a garantire che tali diritti non siano completamente annientati. 

La speranza che un tale movimento nazionale possa nascere solo da una alleanza tra i quadri del partito politico ancora impegnati per i diritti dei palestinesi e il movimento giovanile palestinese nascente attraverso un processo di non-partecipazione che coinvolge il rifiuto del sistema esistente e la sua sostituzione. 

È improbabile che il cambiamento possa venire da destra, ma possiamo immaginare una "nuova" sinistra che sia completamente libera dal lascito di Oslo e in grado di fornire una alternativa democratica alla soluzione dei due stati? Una sinistra che possa davvero sfidare lo status quo e tenere conto dei diritti dei palestinesi? Tale Sinistra avrebbe dovuto non-partecipare all’attuale classe dirigente e: 

-          Presentare la sua analisi della situazione palestinese attuale e un programma alternativo. Ad esempio, se, come la maggior parte degli ideologi della sinistra hanno recentemente concluso, la soluzione dei due stati è morta, allora qual è l’alternativa? Continuando a far finta di accettare una soluzione a due stati come un passo verso l'obiettivo strategico di uno stato è come accettare il sistema dei Bantustan dell'apartheid del Sud Africa come un passo verso la liberazione

Partecipare con altre forze popolari di resistenza a mettere a punto strategie              per campagne internazionali di solidarietà e di boicottaggio, in un fronte unito contro l'attacco sionista e per la difesa dei diritti di tutti palestinesi, tra cui giustizia per i rifugiati palestinesi, uguaglianza per i cittadini  palestinesi di Israele e riconoscimento dei loro diritti come minoranza indigene e libertà, compresa la libertà dall'occupazione, dal colonialismo e dall'assedio. 

-          Presentare una visione economica alternativa a quella neoliberista praticata e legittimata dalla destra diritto. 

-          Utilizzare tatticamente gli strumenti a sua disposizione. Ad esempio, le elezioni per eleggere i membri del Consiglio nazionale palestinese (CNP) non hanno mai avuto luogo. Questo permette la mossa tattica di dimettersi dal Comitato Esecutivo, cosa che legittima le concessioni fatte dal partito al comando, mantenendo i seggi nel CNP eletto. Ci sono naturalmente limitazioni istituzionali al potere del CNP - anche per uno eletto - che saranno aggravate se la sinistra esce dal Comitato Esecutivo. 

-          Studiare l'esperienza della sinistra in America Latina per trovare degli esempi su come rivitalizzare la sinistra palestinese. 

Senza queste e altre misure radicali, non c'è speranza per i palestinesi di sinistra come disse Osamah Khalil in un contesto diverso: "Invece, per quanto hanno sperimentato nel OLP dopo il 1988, la disperazione della sinistra palestinese verrà utilizzata per promuovere le agende dei partiti più forti le cui posizioni e piattaforme sono antitetiche alla sua. " 

Quanto sopra stabilisce un'istantanea di alcune delle sfide che deve affrontare il popolo palestinese e un appello affinché affrontino questi aspetti attraverso non-partecipazione a strutture illegittime. Queste idee preliminari hanno lo scopo di stimolare il dibattito e promuovere una riflessione sulle alternative per andare oltre l'attuale sistema. Non c'è dubbio che la creatività e la determinazione che i palestinesi hanno dimostrato per quasi un secolo caratterizzerà e realizzerà queste alternative. 

(tradotto da barbara gagliardi
per Associazione di Amicizia Italo-Palestinese Onlus)