Cinque ragioni per cui il 2014 è stato un anno di svolta in Palestina

Antiwar.com, 24.12.2014

 http://original.antiwar.com/ramzy-baroud/2014/12/23/five-reasons-why-2014-was-a-game-changer-in-palestine/

di Ramzy Baroud

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Manifestazione pro-Palestina a Parigi,  luglio 2014. Sui cartelli c’è scritto: Un solo stato adesso! Abbasso il sionismo!

In termini di perdita di vite umane, il 2014 è stato un anno  orribile per i palestinesi, che ha superato gli orrori sia del 2008 che del 2009, quando la guerra di Israele contro la Striscia di Gaza aveva ucciso e ferito migliaia di persone.

 

Mentre alcuni aspetti del conflitto ristagnano tra un'Autorità Palestinese (AP) corrotta, inefficace, e la criminalità delle guerre e dell’occupazione israeliana, sarebbe anche giusto sostenere che il 2014 è stato anche, per certi versi, un punto di svolta, e non ci sono solo brutte notizie.

Il 2014 è stato, in un certo modo, un anno di chiarezza per coloro che si sforzavano di comprendere la realtà del ‘conflitto israelo-palestinese’, ma che erano francamente confusi dai modi contrastanti in cui si  raccontava la situazione.

Ecco alcuni motivi per sostenere l’idea che le cose stanno cambiando.

 

1. Un tipo diverso di Unità Palestinese

Sebbene i due principali partiti palestinesi, Fatah e Hamas, in aprile abbiano accettato un governo di unità nazionale, poco è cambiato nella realtà dei fatti. Sì, un governo è stato ufficialmente costituito in giugno, e ha tenuto il suo primo incontro a ottobre. Gaza, però, è di fatto ancora gestita da Hamas che è stata in gran parte lasciata sola a gestire le faccende della Striscia dopo la guerra israeliana di luglio-agosto. Forse l’autorità di Mahmoud Abbas spera che la massiccia distruzione indebolisca Hamas fino a portarla alla sottomissione politica, specialmente alla luce del fatto che l’Egitto continua a tenere completamente chiuso il valico di confine di Rafah.

Mentre, però, le fazioni non riescono a unirsi, la guerra di Israele a Gaza ha suscitato un nuovo impeto di lotta in Cisgiordania. La strategia di Israele di prendere di mira i luoghi sacri di Gerusalemme, in particolare la Moschea al-Aqsa, accoppiati alla profonda angoscia provata dalla maggior parte dei palestinesi per i massacri compiuti da Israele a Gaza, stanno lentamente riecheggiando in un’ondata di mini-insurrezioni. Alcuni immaginano che la situazione alla fine provocherà una massiccia Intifada che travolgerà tutti i territori. Se avverrà una terza intifada nel 2015, oppure no, è una questione aperta. Quello che importa è che il complotto da tempo orchestrato per dividere i palestinesi stia andando in pezzi, e si stia finalmente formando un nuovo racconto collettivo di una lotta comune contro l’occupazione.

 

2. Un nuovo paradigma di resistenza

Il dibattito riguardo a quale forma di resistenza i palestinesi dovrebbero adottare o non adottare è stata  risolta non dai filantropi internazionali, ma dai palestinesi stessi. Al momento scelgono di usare qualsiasi forma di resistenza possibile che possa scoraggiare i progressi militari di Israele, come hanno fatto attivamente a Gaza i gruppi della resistenza. Anche se la più recente guerra di Israele ha ucciso quasi 2.200 palestinesi  e ne ha feriti oltre 11.000, per lo più civili, non è tuttavia riuscita a raggiungere nessuno dei suoi obiettivi dichiarati o sottintesi. Ha ricordato ancora una volta che la pura forza militare non è più l’unico fattore prevalente nella condotta di Israele verso i palestinesi. Mentre Israele trattava in modo violento i civili, la resistenza uccideva 70 israeliani, oltre 60 dei quali erano soldati; questo è stato anche un passo importante che testimonia la maturità della resistenza palestinese, che in precedenza aveva preso di mira i civili durante la seconda intifada e che rifletteva più disperazione che una strategia vincente. La legittimazione della resistenza si è riflessa, per certi versi, nella recente decisione del Tribunale Europeo di togliere Hamas dalla sua lista di organizzazioni terroriste.

La resistenza in Cisgiordania  sta assumendo nuove forme. Sebbene debba ancora evolvere in una campagna continua di attività contro l’occupazione, sembra che si stia formando un’identità definita che tiene conto di che cosa è possibile e di che cosa è pratico. Il dibattito sui modi di resistenza in stile ‘taglia unica’ sta diventando meno rilevante, lasciando spazio a un approccio organico alla resistenza ideata dai palestinesi stessi.

 

3. Il Movimento  BDS normalizza il dibattito sui crimini di Israele

Un’altra forma di opposizione si sta  consolidando  nel Movimento Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) che continua a crescere, acquistando energia, sostenitori, e risultati costanti. Non soltanto il 2014 è stato un anno in cui il BDS è riuscito a ottenere l’appoggio di numerose organizzazioni della società civile, di accademici, scienziati, persone famose, e di arrivare a persone di tutte le estrazioni sociali, ma ha fatto un'altra cosa ugualmente importante: ha normalizzato il dibattito su Israele in molti circoli di tutto il mondo. Se in passato qualsiasi critica a Israele suscitava scandalo, questo tabù è stato ora infranto per sempre. Discutere la moralità e l’attuabilità del boicottaggio a Israele non è più un argomento che spaventa, ma è oggetto di dibattito su numerosi organi di stampa, nelle università e in altre piattaforme.

Il 2014 è stato un anno che ha reso la discussione sul boicottaggio di Israele ancora più normale di prima. Mentre negli Stati Uniti si deve ancora raggiungere una massa critica, lo slancio  si sta svipuppando  costantemente  con la guida di studenti, uomini e donne del clero, persone famose e gente comune. In Europa il movimento ha avuto un enorme successo.

 

4. I parlamenti sentono la pressione

Questa politica  degenerata sta venendo contestata dai cittadini di varie nazioni europee. La guerra di Israele a Gaza di questa estate ha tolto il velo sulle violazioni dei diritti umani e i crimini di guerra di Israele come mai prima, svelando al contempo l’ipocrisia dell’UE. Per ridurre un po’ la pressione, sembra che alcuni paesi dell’UE stiano prendendo delle posizioni più forti contro Israele, riconsiderando la loro collaborazione militare, e contestando più coraggiosamente le politiche di destra del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. E’ seguita un’ondata di voti parlamentari, con maggioranze schiaccianti a favore del riconoscimento della Palestina come stato. Anche se queste decisioni rimangono in gran parte simboliche, rappresentano un cambiamento nell’atteggiamento dell’UE verso Israele. Netanyahu continua a scagliarsi  contro l' ‘ipocrisia’ europea, forse fiducioso nell’appoggio incondizionato di Washington. Ma, dato che gli Stati Uniti stanno perdendo il controllo del Medio Oriente in tumulto, il primo ministro israeliano potrebbe presto essere costretto a riconsiderare  il suo atteggiamento ostinato.

 

5. La democrazia di Israele smascherata

 Per decenni, Israele si è definita stato sia democratico che ebraico. L’obiettivo era chiaro: mantenere la superiorità ebraica sugli arabi palestinesi, continuando contemporaneamente a presentarsi come una moderna democrazia ‘occidentale’ – di fatto ‘l’unica democrazia in Medio Oriente’. Mentre i palestinesi e molti altri non si sono fatti convincere dalla farsa della democrazia, molti hanno accettato questa dicotomia ponendosi poche domande.

 Sebbene Israele non abbia una costituzione, ha un ‘codice’, chiamato la Legge Fondamentale. Dato che non esiste un equivalente israeliano di ‘emendamento costituzionale’ – il governo di Netanyahu sta facendo pressioni per avere una nuova legge nel parlamento israeliano, la Knesset. Questa, sostanzialmente, proporrà nuovi principi di auto definizione dello stato Israeliano. Uno di questi principi è la definizione di Israele come ‘stato nazionale del popolo ebraico’,  il che implica che tutti i cittadini di Israele non ebrei abbiano uno stato inferiore. Anche se dal punto di vista pratico i cittadini palestinesi di Israele sono sempre stati trattati come reietti, e siano stati discriminati in molti modi, la nuova Legge Fondamentale sarà una conferma costituzionale della loro inferiorità istituzionale. Il paradigma ebraico e democratico sta morendo definitivamente,  rivelando la realtà israeliana per quello che è.

 

6. L’anno che verrà

 Certamente il 2015 porterà molte delle stesse cose: l’AP combatterà per sopravvivere e per cercare di mantenere, con tutti gli strumenti a sua disposizione, i privilegi che Israele, gli Stati Uniti e altri le hanno conferito; Israele sarà ancora incoraggiata dai finanziamenti, dall’appoggio incondizionato americano e dal suo supporto militare. Tuttavia il nuovo slancio, reale e antagonista, è improbabile che finisca, contestando e svelando l’occupazione israeliana da un lato, ed eludendo dall'altro una inefficace e autoreferenziale Autorità Palestinese.

 

Il 2014 è stato un anno molto doloroso per la Palestina, ma anche un anno in cui la resistenza collettiva del popolo palestinese e dei suoi sostenitori si sono dimostrate troppo forti da piegare o da rompere. E in questo possiamo trovare molto conforto.

 

 

 

Ramzy Baroud (www.ramzybaroud.net) è  un opinionista sulla stampa internazionale, consulente nel campo dei mezzi di informazione, scrittore e fondatore del sito PalestineChronicle.com. Il suo libro più recente è: My Father Was a Freedom Fighter: Gaza’s Untold Story (Pluto Press, London ) [Mio padre era un combattente per la libertà: la storia di Gaza che non è stata raccontata].

 


 

Versione italiana basata sulla traduzione di Maria Chiara Starace per ZNET Italy © 2014 ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC BY NC-SA 3.0

 

http://znetitaly.altervista.org/art/16579