Quand'è che Israele smetterà di considerare i palestinesi come una "minaccia demografica"?

+972, 31.05.2015

http://972mag.com/when-will-israel-stop-seeing-palestinians-as-a-demographic-threat/107304/

La prospettiva politica e sociale di Israele, radicata nel suo desiderio di essere uno 'stato ebraico', rende impossibile percepire i palestinesi come qualcosa di diverso da un problema esistenziale, compresi quelli che ha accettato come cittadini.

di Amjad Iraqi

Fedeli musulmani palestinesi svolgono le preghiere tradizionali del venerdì in una strada del quartiere di Wadi Joz, fuori dalla città vecchia di Gerusalemme, dopo che i poliziotti hanno bloccato loro l'accesso alla moschea di Al Aqsa, il 17 ottobre 2014. Il governo israeliano ha limitato l'accesso al complesso della moschea di al-Aqsa, il terzo luogo più sacro dell'Islam, per gli uomini sotto i 50 anni. (Activestills.org)

La scorsa settimana, Ofer Aderet di Haaretz ha riferito della messa all'asta di una lettera scritta dal primo ministro di Israele, David Ben-Gurion, all'allora sindaco di Haifa Abba Hushi. Nella lettera  Ben-Gurion respingeva i tentativi di consentire agli arabi palestinesi di tornare ad Haifa dopo la fuga durante la guerra del 1948, affermando che "fino a quando la guerra non sarà finita, non vogliamo un ritorno del nemico."

Se la lettera non rivela nulla di nuovo riguardo all'intenzione della leadership israeliana di mantenere il maggior numero possibile di palestinesi fuori dal nuovo stato, essa offre un ricordo agghiacciante delle origini di questa politica israeliana nei confronti dei palestinesi, rimasta straordinariamente costante 67 anni dopo l'istituzione dello Stato.

Agli occhi degli israeliani, l'atteggiamento di Ben-Gurion verso la presenza dei palestinesi nello stato era giustificata: la demografia in ogni conflitto etnico e nazionale ha effetti precari sulla politica, la sicurezza e la stabilità delle diverse comunità coinvolte. Più significativamente, per la comunità ebraica, Israele doveva essere uno stato a maggioranza ebraica dove gli ebrei non sarebbero stati minacciati dal dominio e dal razzismo di altri, come era successo per secoli.

La terribile ironia è che nel suo desiderio di sfuggire alla sua storia di minoranza perseguitata, la popolazione ebraica israeliana è diventata una maggioranza opprimente ossessionata dal controllo razziale. Fino ad oggi, gli abitanti palestinesi - che siano nei campi profughi, sotto occupazione, o cittadini di minoranza all'interno di Israele - sono percepiti dallo stato di Israele come una sfida esistenziale. Non è solo la destra che abbraccia questo paradigma razziale: i sionisti liberali, nel loro tentativo di sostenere una soluzione a due stati, hanno più volte lanciato l'allarme sul fatto che la popolazione palestinese che vive sotto il controllo israeliano supererà presto la popolazione ebraica, e che Israele sarebbe costretto ad abbandonare la democrazia, se volesse preservare il suo "carattere ebraico".

Questa ossessione per la "minaccia demografica" palestinese è diventata così normalizzata nel dibattito politico israeliano e in quello internazionale, che la gente si è dimenticata di quanto sia un concetto sinistro e razzista. La personalità di un palestinese, il suo avanzamento nella società, ed anche la sua indifferenza alla politica significano poco per lo Stato: è il suo sangue che determina il suo stato e lo definisce come un pericolo. Questo punto di vista è servito a legittimare numerose leggi e  politiche che tentano di manipolare la composizione demografica dello Stato, con l'obiettivo di minimizzare e tenere sotto controllo la popolazione non ebraica.

La lettera di Ben-Gurion è una testimonianza di quanto la negazione del diritto dei palestinesi al ritorno, e le espulsioni e fughe che lo hanno preceduto, fossero visti come strumenti chiave per il raggiungimento degli obiettivi dello Stato. La stessa paura persistente del diritto di ritorno è stata anche un fattore che ha portato Israele nel 2003 a vietare il ricongiungimento familiare tra i cittadini palestinesi di Israele con coniugi e figli provenienti dai territori occupati. Se il divieto è stato inizialmente difeso come una "misura di sicurezza", è ora ampiamente considerato come un mezzo per impedire ai palestinesi di entrare e di vivere in Israele. Queste politiche, naturalmente, cozzano con la "Legge del Ritorno", che permette a qualsiasi ebreo nel mondo di acquisire la cittadinanza e la residenza in Israele solo sulla base della sua etnia o religione.

Un gruppo di ragazzi ebrei visitano il villaggio palestinese disabitato di Lifta, che si trova ai margini di Gerusalemme Ovest, in Israele, il 4 marzo 2014. Durante la Nakba, i residenti di Lifta fuggirono agli attacchi delle milizie sioniste iniziati nel dicembre 1947, con la conseguente completa evacuazione del villaggio entro il febbraio 1948. (Foto di Ryan Rodrick Beiler / Activestills.org)

La paura demografica si rivolge non solo ai palestinesi al di fuori dello stato, ma anche a quelli al suo interno. La "Legge per i Comitati di Ammissione", che consente a centinaia di piccole comunità di rifiutare le domande di residenza sulla base di "criteri sociali e culturali", è stata emanata in risposta alla preoccupazione che il precedente della sentenza Ka'adan della Corte Suprema avrebbe permesso ai cittadini palestinesi di accedere a terre al di fuori delle località arabe. Nazareth Illit (Alta Nazareth), guidata dal suo sindaco, Shimon Gapso, sta tentando di scoraggiare i traslochi di cittadini palestinesi nei suoi quartieri, al fine di preservare l'"identità ebraica" della città. A Gerusalemme, dove la politica demografica è più rigida, i palestinesi sono cacciati fuori dalla città attraverso la revoca di residenza, il sequestro di beni, la separazione fisica e altri mezzi, mentre gli insediamenti di cittadini ebrei si espandono rapidamente al loro posto.

Alla luce di questi e numerosi altri esempi, l'ossessione per la minaccia demografica pone una  domanda semplice: quando finisce la minaccia? La risposta cinica è che non finisce mai. La prospettiva politica e sociale di Israele, radicata nel suo desiderio di essere uno 'stato ebraico', rende impossibile percepire i palestinesi come qualcosa di diverso da un problema esistenziale, compresi quelli che ha accettato come cittadini. Anche se si formassero due stati, con i rifugiati naturalizzati nello stato palestinese o nei paesi che attualmente li ospitano, e con pari diritti concessi alla minoranza palestinese in Israele - tutti scenari sempre più improbabili - i palestinesi, in virtù della loro identità e della connessione alla terra, sarebbero ancora visti come un pericolo.

È difficile dire se Ben Gurion sapesse, nel momento in cui scriveva la sua lettera a Abba Hushi, che la "guerra" di Israele non sarebbe mai veramente finita. È chiaro tuttavia, che il risultato di questa guerra ancora in corso non sono la democrazia e la pace, ma la discriminazione e l'oppressione. Molti palestinesi stanno rispondendo articolando un futuro comune basato sul riconoscimento, la diversità e l'uguaglianza, ma è proprio questo futuro che Israele come "Stato ebraico" non può accettare. Fino a quando la paura, il razzismo e la separazione guideranno la visione di Israele di se stesso e dei palestinesi, la minaccia demografica non cesserà mai.

Amjad Iraq è un Coordinatore di Progetti e Sostegno Internazionale presso Adalah - Il Centro Legale per i Diritti della Minoranza Araba in Israele.

(Traduzione di G.Graziani per l'Associazione di Amicizia Italo-Palestinese Onlus, Firenze)