Susiya, il villaggio palestinese che sfida la colonizzazione d’Israele

http://ilmanifesto.info/susiya-il-villaggio-palestinese-che-sfida-la-colonizzazione-disraele/

Susiya, il villaggio palestinese che sfida la colonizzazione d’Israele

Palestina. Dal 1986 target delle politiche di trasferimento forzato della popolazione, la comunità ha trascinato Tel Aviv alla Corte Suprema. Ha perso e oggi rischia la demolizione completa. Ma la battaglia non è conclusa

 

 

 

Una delle tende del piccolo villaggio di Susiya

© Chiara Cruciati

Chiara Cruciati SUSIYA

Edizione del04.06.2015

Pubblicato 3.6.2015, 23:58

Ahmad versa il caffè nei bic­chieri di pla­stica, nella tenda della pro­te­sta del pic­colo vil­lag­gio di Susiya. Ha 8 anni e que­sto com­pito lo rende orgo­glioso: seduti, pro­tetti dal sole che già pic­chia forte nelle col­line a sud di Hebron, ci sono i rap­pre­sen­tanti dei comi­tati popo­lari dei vil­laggi della zona, venuti a dimo­strare soli­da­rietà. «Siamo qui per man­te­nere una pre­senza fissa – spiega al mani­fe­sto Hafez Huraini, del vicino vil­lag­gio di At-Tuwani – Se Israele demo­li­sce Susiya, potrebbe demo­lire altre comunità».

Il timore, dal 4 mag­gio scorso, è con­creto: dopo una tor­tuosa bat­ta­glia legale, la Corte Suprema israe­liana ha deciso il destino di Susiya: il giu­dice Sohl­berg ha can­cel­lato l’ordine tem­po­ra­neo che da anni impe­diva all’esercito di distrug­gere la comu­nità e dato ai mili­tari e all’Amministrazione Civile (l’ente israe­liano che gesti­sce l’Area C della Cisgior­da­nia, il 60% del ter­ri­to­rio sotto il con­trollo israe­liano) la facoltà di deci­dere la sorte del villaggio.

Non sarebbe la prima volta che Susiya viene rasa al suolo: comu­nità di 250 resi­denti, pastori e agri­col­tori, ha vis­suto la prima espul­sione nel 1986. All’epoca Tel Aviv la giu­sti­ficò con la pre­senza di un’antica sina­goga all’interno del vil­lag­gio. La zona fu dichia­rata sito archeo­lo­gico: per la legge israe­liana, che viene appli­cata – in vio­la­zione al diritto inter­na­zio­nale – nel ter­ri­to­rio occu­pato, signi­fica che nes­sun civile può risie­dervi. Eppure gli abi­tanti di Susiya, costretti a rico­struire il vil­lag­gio a qual­che cen­ti­naia di metri dal sito, hanno assi­stito impo­tenti al tra­sfe­ri­mento di coloni israe­liani nelle loro terre. Per i coloni, il sito archeo­lo­gico non è off limits.

Nel 2001, è arri­vata la seconda espul­sione. Ma sta­volta Susiya è rima­sta: gli abi­tanti hanno vis­suto in grotte natu­rali e poi hanno rico­struito le loro case. Case fatte di tende e allu­mi­nio, non di cemento: nell’Area C della Cisgior­da­nia, un pale­sti­nese può costruire una vera abi­ta­zione solo con il per­messo delle auto­rità israe­liane. Che nel 96% dei casi lo rifiu­tano, costrin­gendo la popo­la­zione a costruire lo stesso e a vivere nel ter­rore di veder arri­vare i bulldozer.

Un ter­rore pro­vo­cato sia dalle uni­formi mili­tari che dalle pistole e i col­telli dei coloni dei vicini inse­dia­menti. Abu Nas­ser, 65 anni, muove il bastone con foga men­tre ci rac­conta degli attac­chi not­turni di gio­vani estre­mi­sti ebraici: «Ven­gono di notte, aggre­di­scono la gente, danno fuoco alle tende, ammaz­zano le pecore. Nes­suno interviene».

Nes­suno inter­viene per­ché (a Susiya ne sono con­vinti) l’obiettivo di Israele è pren­dersi que­sto pezzo di terra. «Il vil­lag­gio si trova lungo la strada 317 – aggiunge Hafez – che corre lungo la Linea Verde, che divide la Cisgior­da­nia del sud da Israele. Tel Aviv sta creando lungo la 317 un anello di colo­nie per annet­tere defi­ni­ti­va­mente tutto il sud di Hebron al pro­prio territorio».

Per pren­derlo usano ogni mezzo. Anche la Corte Suprema, la stessa che per anni ha impe­dito la distru­zione del vil­lag­gio, oggi ha dato il via libera all’esercito. «Per difen­derci abbiamo optato per le vie legali, con il soste­gno di Rab­bini per i Diritti Umani – spiega al mani­fe­sto il capo del comi­tato popo­lare di Susiya, Nas­ser Nawa­jah – Nel 2012 abbiamo con­se­gnato alla Corte i docu­menti di pro­prietà della terra per sfi­dare una peti­zione dell’associazione dei coloni ‘Rega­vim’ che chie­deva la demo­li­zione del nostro vil­lag­gio per­ché ‘inse­dia­mento ille­gale’. Il nostro appello ha con­vinto la Corte a ordi­nare la sospen­sione delle demo­li­zioni e ci ha chie­sto di pre­sen­tare un piano rego­la­tore del villaggio».

Il piano è stato con­se­gnato all’Amministrazione Civile che nel 2013 lo ha, ovvia­mente, rifiu­tato. «La Corte Suprema ha allora impo­sto all’esercito di indi­vi­duare una solu­zione alter­na­tiva alla demo­li­zione, un fatto posi­tivo: in que­sto modo ci ha for­nito una sorte di protezione».

Quella pro­te­zione, però, il 4 mag­gio è eva­po­rata: la Corte ha deciso di non deci­dere e rimesso tutto in mano a eser­cito e Ammi­ni­stra­zione Civile. Così due giorni dopo la sen­tenza, fun­zio­nari israe­liani si sono pre­sen­tati al vil­lag­gio per con­se­gnare ordini di demolizione.

«La giu­sti­fi­ca­zione uffi­ciale è che a Susiya manca tutto: ser­vizi pub­blici, allac­cio all’acqua, all’elettricità – ci spiega il rab­bino Arik Ascher­man, avvo­cato israe­liano di Rab­bini per i Diritti Umani – Ma è pro­prio Israele che, non rico­no­scendo il vil­lag­gio, non per­mette di avere tali ser­vizi. Come asso­cia­zione stiamo seguendo un caso più ampio alla Corte Suprema: la pos­si­bi­lità per i vil­laggi pale­sti­nesi in Area C di pre­sen­tare un pro­prio piano rego­la­tore. Israele non per­mette il natu­rale svi­luppo delle comu­nità pale­sti­nesi per obiet­tivi poli­tici, senza rispet­tare le norme di legge. Insomma, sfi­diamo le basi dell’occupazione per ricon­se­gnare que­ste terre ai pro­prie­tari, i palestinesi».