Terzo palestinese ucciso dall'esercito israeliano in 72 ore

Nena News, 25.10.2015

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Ahmad Izzat Khatatbeh è morto ieri per le ferite riportate lo scorso venerdì. Intanto il Gabinetto di Sicurezza israeliano approva le nuove regole di ingaggio: pallottolle contro chi lancia pietre

Il funerale di Ahmad Izzat Khatatbeh (Foto: Ma'an News)

Il funerale di Ahmad Izzat Khatatbeh (Foto: Ma’an News)

della redazione

Gerusalemme, 25 settembre 2015, Nena News – Un altro giovane palestinese ha perso la vita, dopo essere stato gravemente ferito dall’esercito israeliano nei Territori Occupati. È il terzo in soli 3 giorni: lo scorso martedì la stessa sorte era toccata al 21enne Diyaa Abdul-Halim al-Talahmeh, di Dura, e alla 18enne Hadil Hashlamoun, uccisa ad Hebron al checkpoint che divide le due aree H1 e H2. In entrambi i casi le versioni fornite dall’esercito israeliano non reggono: nel caso di Diyaa, i soldati hanno detto che è morto per l’esplosione di un ordigno che stava lanciando ad una pattuglia, ma i segni sul suo corpo raccontano una storia diversa; nel caso di Hadil, i militari si sono giustificati affermando che la ragazza voleva accoltellare un soldato, ma video e foto dimostrano che stava solo camminando vicino al checkpoint.

E ieri è morto anche Ahmad Izzat Khatatbeh, 26 anni, ferito lo scorso venerdì al checkpoint di Beit Furik, a est di Nablus. È stato colpito dalle pallottole sparate dall’esercito, centrato tre volte, al petto e all’addome. Anche in questo caso a parlare è stato il portavoce dell’esercito israeliano: il fuoco è stato aperto perché un ordigno è stato lanciato ad una pattuglia militare vicino alla colonia di Itamar.

Sale così a 26 il numero di palestinesi, spesso giovanissimi, uccisi nei Territori Occupati dall’inizio dell’anno. Un bilancio che non tiene conto di quelli ammazzati dai coloni, come i tre membri della famiglia Dawabsheh (il padre, la madre e il piccolo Ali di soli 18 mesi), che hanno perso la vita a inizio agosto per un rogo appiccato contro la loro casa a Kufr Douma da un gruppo di coloni.

Se questa è la situazione attuale, alla luce del voto di ieri non può che peggiorare: il Gabinetto di Sicurezza ha dato il via libera all’applicazione di nuove misure di combattimento e nuove regole di ingaggio per esercito e polizia contro “la violenza palestinese”. Come preannunciato, ai lanciatori di pietre, ai ragazzini e ai giovani che lanciano sassi o fuochi d’artificio contro l’esercito occupante, i militari potrano rispondere aprendo il fuoco. Pallottole vere e non di gomma (che comunque hanno già dimostrato di poter uccidere). Inoltre, dopo la morte di un motociclista israeliano apparentemente colpito da una pietra, la nuova legge prevede l’uso del fuoco anche quando ad essere minacciato è un civile.

Secondo il testo approvato, polizia e militari potranno usare le pallottole “se esiste un concreto e immediato pericolo di vita per soldati o civili”. Potranno sparare con i fucili Ruger, di fabbricazione Usa, che utilizzano pallottole più piccole e quindi garantiscono una risposta immediata all’eventuale lanciatore di pietre.

Il Consiglio, così come il premier Netanyahu che ieri elogiava il voto, non dicono però che tipo di pericolo rappresenti una pietra. Da sempre simbolo della resistenza palestinese, è difficile immaginare che un soldato vestito di tutto punto, con elmetto e giubbotto antiproiettile (nella maggior parte delle manifestazioni i soldati si tengono a debita distanza dai palestinesi) possa davvero essere in pericolo di vita per il lancio di un sasso.

Le nuove regole di ingaggio si accompagnano ad un’altra votazione, stavolta della Knesset: a fine luglio il parlamento israeliano aveva approvato il disegno di legge che introduce una pena fino a 20 anni di carcere per chi lancia pietre. Con il nuovo pacchetto approvato ieri la pena minima viene fissata a 4 anni e vengono introdotte multe più alte per le famiglie dei minori (tra i 14 e i 18 anni). E si applicherà anche ai cittadini israeliani (con evidente riferimento ai palestinesi d’Israele) e ai residenti, ovvero i palestinesi che vivono a Gerusalemme ma non hanno la cittadinanza. Nena News