Dal libro-intervista di Noam Chomsky e Ilan Pappe:
“Palestina e Israele- che fare”
a cura di Frank Barak, Fazi Editore
Chomsky: Il sionismo dell'epoca precedente alla
fondazione dello Stato era una cosa diversa rispetto a
quello del periodo posteriore. Dal 1948 in poi il sioni-
smo è diventato l'ideologia e anzi la religione dello Sta-
to, esattamente come l'americanismo o l'eccezionalismo
francese. E anche dopo il 1948, la nozione di sionismo
ha subito delle modifiche. Nel 1964 trascorsi un po' di
tempo in Israele, e ricordo che per gli intellettuali di si-
nistra il sionismo era una specie di barzelletta, una pro-
paganda da bambini. Appena tré anni dopo, nel 1967,
tutto cambiò e quelle stesse persone diventarono dei na-'
zionalisti convinti; vi fu una profonda trasformazione nel
modo in cui gli israeliani percepivano se stessi e la fisio-
nomia dello Stato. In sostanza, prima del 1948 il sioni-
smo non era una religione di Stato. Io stesso, a metà de-
gli anni Quaranta, sono stato un leader studentesco sio-
nista, per quanto fermamente contrario a uno Stato
ebraico. Ero a favore di una collaborazione tra la classe
operaia ebraica e quella araba per la costruzione di una :
Palestina socialista, ma aborrivo l'idea di uno Stato
ebraico. Sono stato un leader studentesco sionista per- ;
che allora il sionismo non era una religione di Stato. An-
cor prima, mio padre e la sua generazione avevano ade-
rito al sionismo, ma della corrente di Ahad Ha'am: era-
no alla ricerca di un epicentro culturale in cui la diaspo- :
ra potesse finalmente convivere con i palestinesi. Questo
fermento ebbe fine nel 1948; da quel momento il sioni-
smo divenne in pratica una religione di Stato, che im-
presse alle scelte politiche un abbrivio ben diverso. È
fondamentale tenere a mente questo cambio di rotta.
Poi, a metà degli anni Settanta, gli arabi si mostrarono
disponibili a un accordo politico. Siria, Egitto e Giorda- ;
nia proposero una soluzione a due Stati al Consiglio di :
Sicurezza ONU, ma gli USA opposero il veto. In realtà
l'Egitto aveva già offerto un pieno accordo di pace con
Israele. Fu quindi necessario innalzare nuovi muri per
fermare i negoziati, e il concetto di sionismo mutò anco-
ra.
La nuova condizione era che tutti dovevano accettare
il "diritto di esistere" di Israele. Il punto è che uno Stato
non detiene in sé il diritto di esistere.
Il Messico non ri-
conosce il diritto di esistere degli Stati Uniti su metà del
suo vecchio territorio. Gli Stati si riconoscono recipro-
camente, ma non riconoscono l'uno all'altro il diritto di
esistere; non esiste un concetto simile. Invece Israele ha
innalzato quel muro per pretendere che i palestinesi con-
siderassero legittime le loro politiche di oppressione e di
espulsione. Attenzione, non pretendeva solo che se ne ri-
conoscesse la verità storica, ma proprio che quelle azioni
fossero giustificate. Naturalmente i palestinesi non lo
avrebbero mai accettato; quindi si trattò di un simpatico
espediente per bloccare i negoziati. Ora la faccenda è più
complicata, e le pressioni per arrivare a un compromesso
sono talmente forti che gli israeliani hanno dovuto in-
nalzare ancora di più l'asticella: i palestinesi devono ri-
conoscere Israele in quanto Stato ebraico. Questa è la
chiave di volta di tutti i discorsi di Netanyahu. Perché?
Perché sanno che è impossibile: nessuno riconoscerebbe
Israele in quanto Stato ebraico, così come non ricono-
sceremmo gli Stati Uniti come Stato cristiano. Certo, il
Pakistan si autodefinisce uno Stato islamico, ma gli USA
non lo riconoscono in quanto tale. Il sionismo di Stato ha
dovuto cambiare strada, per elevare muri sempre più alti
dinanzi alle diverse proposte di accordo politico. E se in
futuro sarà necessario, inventeranno qualcosa di nuovo.
Il sionismo in quanto linea politica è un concetto camale-
ontico, che muta secondo le esigenze dello Stato.