Bambini palestinesi 'abusati' nelle carceri israeliane.

AlJazeera.com
14.08.2012
http://www.aljazeera.com/indepth/features/2012/08/20128910267627456.html

 

Bambini palestinesi ‘abusati’ nelle carceri israeliane.

Studi recenti asseriscono che i bambini posti in stato di arresto dall’apparato dei tribunali militari israeliani sono oggetto di abusi.

di Dalia Hatuqa 

Ramallah, Territori Palestinesi Occupati – Uno sporco materasso riempie uno spazio di appena due metri di lunghezza e un metro di larghezza. Un fetore soffocante che emana dai servizi igienici si libra sopra la stanza senza finestre, e una luce accesa 24 ore al giorno per 7 giorni la settimana sta a significare che il sonno è un sogno lontano. Questa è la famigerata cella 36 della prigione di Al Jalameh, in Israele. Si tratta di una delle celle delle quali molti bambini palestinesi hanno sentito parlare o, peggio ancora, nelle quali sono stati rinchiusi quando sono in isolamento.

                       palestinian children in military court

 

I bambini qui imprigionati molto spesso sono stati portati via dalle loro case tra la mezzanotte e le 05:00 del mattino. Nella maggior parte dei casi neppure se l’aspettavano. In un caso, a Beit Ummar, vicino a Betlemme, i soldati israeliani hanno arrestato un ragazzo palestinese, a quanto si dice, dopo aver tolto dai cardini alcune delle porte della casa. La maggior parte dei bambini detenuti vivono nei pressi dei “punti di frizione”, zone cioè vicine alle colonie israeliane, strade di uso riservato ai coloni, o in prossimità del muro di separazione. E quasi sempre, il loro attacco è consistito nel lancio di pietre contro soldati o coloni. 

Questi vividi particolari sono emersi di recente da un rapporto basato sulle testimonianze di più di 300 bambini palestinesi, raccolte in quasi quattro anni. La ricerca del Defence for Children International, “Bound, Blindfolded and Convicted : Children Held in Military Detention” ( Legati, Bendati e Condannati: Bambini in Stato di Detenzione Militare) mette in evidenza un modello di abusi nei confronti di bambini detenuti di pertinenza dell’apparato della giustizia militare israeliana. Negli ultimi 11 anni, il DCI stima che circa 7.500 bambini, alcuni di appena 12 anni, siano stati arrestati, interrogati e imprigionati all’interno di questo sistema. Si tratta di circa 500 – 700 bambini all’anno, o di quasi due bambini al giorno. 

Mohammad S., di Tulkarem una città nel nord della West Bank, secondo il rapporto aveva 16 anni quando è stato arrestato. E’ successo alle 2:30 del mattino quando i soldati lo hanno trascinato fuori dal letto. E’ stato bendato, ha subito abusi verbali ed è stato portato in una destinazione sconosciuta, dove dice di essere stato costretto a rimanere disteso al freddo per un’ora. In seguito, alle 11 circa, è stato portato in un centro per interrogatori nei pressi di Nablus e solo allora gli è stato permesso di bere un po’ d’acqua e usare il bagno, dopo aver subito una perquisizione. Ancora legato e bendato, è stato poi portato ad Al Jalameh, nei pressi di Haifa, in Israele. Là è stato messo nella cella 36, dove è stato costretto a trascorrere la prima notte dormendo su pavimento, dato che non c’era un materassino o una coperta. 

Mohammad afferma di aver trascorso 17 giorni in isolamento nelle celle 36 e 37, interrotti solo dagli interrogatori. Stando a quanto è stato detto, Mohammah è stato interrogato per due o tre ore al giorno, seduto su una sedia bassa e con le mani legate alla stessa. 

Le ore più cruciali. 

“Dopo che un bambino è stato preso, le prime 48 ore sono le più importanti, perché quello è il momento in cui si verificano gli abusi,” ha asserito l’avvocato del DCI Gerard Horton. Secondo il rapporto del Centro, i bambini sottratti durante la notte dalle loro case vengono legati, bendati e fatti sdraiare a faccia in giù o sul fondo dei veicoli militari. 

                      children-in-demonstrations

Molto raramente, viene detto ai genitori dove viene portato il loro figlio e, a differenza dei bambini originari dell’interno di Israele o delle colonie nella West Bank occupata, a quanto è stato riferito, ai minori palestinesi non è concesso che un genitore sia presente prima o durante l’interrogatorio iniziale e in genere non incontrano un avvocato se non dopo la conclusione dell’interrogatorio. 

Più specificatamente, i bambini israeliani hanno possibilità di contattare un avvocato entro 48 ore e quelli di età inferiore ai 14 anni non possono essere incarcerati. I bambini palestinesi possono essere imprigionati , comunque, anche se hanno 12 anni e, come gli adulti, possono essere trattenuti in carcere per un massimo di 188 giorni senza accuse formali nei loro confronti. 

“La questione fondamentale è l’uguaglianza. Se due bambini, uno palestinese e l’altro israeliano, vengono presi mentre si stanno tirando l’un l’altro dei sassi, allora l’uno verrà processato in base al sistema giudiziario minorile, e l’atro in un tribunale militare,” ha riferito Horton. 

“I due hanno diritti completamente diversi. E’ difficile da giustificare tutto ciò dopo 45 anni di occupazione. La questione non è se siano stati commessi dei reati. Quel che stiamo dicendo è che i bambini non dovrebbero essere trattati in modo totalmente diverso.” 

Secondo le testimonianze raccolte dal DCI, non appena i bambini vengono portati via dalle loro case e sbattuti all’interno dei veicoli militari, vengono molto spesso presi a calci e schiaffi. Alcuni hanno raccontato di essere stati derisi e altri hanno udito il click di macchine fotografiche. 

Incubi. 

Dato che i bambini vengono spesso arrestati a notte inoltrata, sono tradotti nella più vicina colonia perché restino in attesa che, al mattino, gli inquirenti della polizia israeliana aprano l’ufficio. Il ché sta a significare che, talvolta, i bambini vengono lasciati fuori per molte ore al freddo o alla pioggia. Molto spesso viene risposto con un diniego alle domande di acqua o di uso del bagno e i bambini vengono portati direttamente agli interrogatori dopo una notte trascorsa senza un po’ di riposo. 

Ciò che ha raccontato Ahmad F. è successo proprio a lui. Quindicenne del villaggio di ‘Iraq Burin, appena fuori Nablus, è stato arrestato nel luglio 2011. E’ stato condotto nel vicino centro interrogatori di Huwwara, dove è rimasto fuori all’aperto dalle 5:00 del mattino fino alle 3:00 del pomeriggio. A un certo punto i soldati hanno portato un cane. “Hanno portato il mangiare del cane e me lo hanno messo sulla testa,” ha raccontato Ahmad al DCI. “Poi mi hanno messo un altro pezzo di pane sui pantaloni, vicino ai genitali, così ho cercato di spostarlo, ma [il cane] ha cominciato ad abbaiare. Ero terrorizzato.” 

Molti bambini hanno riferito che, durante l’interrogatorio, sono stati insultati e minacciati di violenze fisiche. In un piccolo numero di casi, a quanto è stato detto, gli inquirenti hanno minacciato i minori di stupro. 

Nel 29% dei casi analizzati dal DCI, ai bambini di lingua araba è stato mostrato o consegnato un documento scritto in ebraico da firmare. Un portavoce israeliano ha negato tutto ciò ad Al Jazeera, affermando . “La norma è che gli interrogatori in arabo debbano essere registrati o scritti in arabo”. Funzionari israeliani hanno, comunque, dichiarato di aver individuato dal rapporto 13 casi in cui dei bambini avevano firmato una confessione scritta in ebraico. Ma, il portavoce ha sostenuto che erano disponibili le registrazioni video di questi interrogatori, qualora gli avvocati difensori dei bambini avessero dei dubbi sull’esattezza delle dichiarazioni scritte in ebraico. 

Dopo che i bambini firmano una “confessione” vengono portati davanti a un tribunale militare israeliano. Un portavoce israeliano ha dichiarato che è dal 2009 che i bambini vengono portati di fronte a un tribunale militare minorile. Il più delle volte, quella è la prima volta in cui i minori vedranno i loro avvocati. La confessione è generalmente la prova principale contro il bambino, riferiscono i funzionari del DCI. Altre prove sono spesso costituite da dichiarazioni fatte da un inquisitore e, talvolta, da un soldato. 

Dato che il numero dei bambini cui viene concessa la cauzione è molto piccolo, questi devono risolvere il dilemma giuridico: possono chiedere all’avvocato di impugnare il sistema – e così facendo in teoria se ne stanno, rinchiusi, ad aspettare per quattro o sei mesi – o dichiararsi colpevoli e ottenere una condanna di due o tre mesi di carcere per “primo reato”. 

Dichiararsi colpevole 

“Quindi è molto raro che qualcuno contesti il sistema”, ha affermato Horton del DCI, in quanto la via più rapida per essere rilasciato è quella di dichiararsi colpevole. Questo serve in qualche modo per spiegare perché, secondo i tribunali militari, la percentuale di condanne per adulti e bambini nel 2010 è stata del 99,74%. 

Secondo il DCI, circa il 50 – 60% del tempo, i bambini lo trascorrono in prigioni all’interno di Israele, fatto questo che rende impossibile ai genitori di recarsi in visita. “Alcuni genitori si sono visti negare i permessi per non meglio specificati ‘motivi di sicurezza’. Ad altri possono occorrere fino a due mesi prima che la burocrazia conceda loro un permesso, il che significa che se i figli saranno condannati a una pena più breve, non usufruiranno della visita” ha rammentato Horton. “Tuttavia, alcuni permessi vengono notificati in meno di due mesi, e quei bambini che sono stati condannati a un tempo superiore in genere riceveranno pure visite.” 

Le accuse di quello che sembra essere un sistema intenzionale di abusi risulta confermato da un altro rapporto redatto da un gruppo di giuristi inglesi. La delegazione di nove giuristi sostenuta dal governo del Regno Unito, con una preparazione nel campo dei diritti umani, dei reati e del sostegno ai minori, ha concluso che i soldati israeliani violano regolarmente la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo (CRC) e la IV Convenzione di Ginevra, di cui Israele è un firmatario. 

Il loro rapporto, Children in Military Custody (Bambini in Detenzione Militare ), ha attribuito gran parte della riluttanza di Israele a trattare i bambini palestinesi in conformità con le norme internazionali a “una credenza, che ci è stata fatta presente da un procuratore militare, secondo la quale ogni bambino palestinese è un ‘potenziale terrorista’.” I giuristi hanno dichiarato che questo è sembrato loro “il punto di partenza di una spirale di ingiustizia, e che solo Israele, in quanto potenza occupante nella West Bank, può invertire”. 

Il rapporto è giunto alla conclusione che la pratica di Israele di tenere i bambini ”in isolamento per periodi prolungati potrebbe rischiare, se verificato, di essere considerato equivalente a tortura”. Di tutti i bambini rappresentati dal DCI, il 12% ha dichiarato di essere stato trattenuto in isolamento per una media di 11 giorni. 

Smentita 

L’Agenzia di Sicurezza di Israele (ISA) , nota anche come Shin Bet, ha negato che i bambini siano stati maltrattati nell’ambito del sistema giudiziario militare, sostenendo che affermazioni contrarie sono “totalmente infondate”. L’ISA ha pure dichiarato che i ricorsi riguardanti la preclusione di un’assistenza legale erano del tutto infondati. 

“Nessun inquisito, compresi i minori che sono sotto inchiesta, viene tenuto solo in una cella come misura punitiva o allo scopo di ottenere una confessione”, ha sostenuto l’ISA in un comunicato quando The Guardian ha pubblicato per primo un rapporto speciale sullo stato dei minori detenuti in Israele. 

L’ISA ha pure affermato di fornire ai minori una protezione speciale a causa della loro età e che aderisce ai “trattati internazionali di cui lo Stato di Israele è un firmatario e che comprendono, secondo la giurisprudenza israeliana, il diritto all’assistenza legale e visite da parte della Croce Rossa”. 

Parlando ad Al Jazeera, un portavoce israeliano ha accusato il rapporto del DCI di parzialità, e ha confutato le risultanze del gruppo secondo le quali la maggior parte dei bambini perseguiti erano accusati del lancio di pietre: “Questa è stata la base per solo il 40% delle accuse presentate contro minori nella West Bank…la giovane età degli autori dei reati non è rilevante per la gravità del fatto: è stato dimostrato al di là di ogni dubbio che una pietra lanciata da un bambino di 15 anni può essere non meno fatale di un sasso lanciato da un adulto”. 

                           a palestinian youth

Il lancio di una pietra può dimostrarsi mortale, ha sottolineato il portavoce, citando un caso del settembre 2011, verificatosi quando un colono israeliano e il figlio di un anno sono stati uccisi a seguito del capovolgimento dell’auto dovuto al lancio di pietre contro di loro. “Due palestinesi di Halhul hanno confessato di aver tirato la pietra che ha causato la morte di Asher e Yonatan. La pietra è stata scagliata da un’auto in corsa”, ha dichiarato il portavoce. Il funzionario ha sostenuto che bambini sono pure implicati nel lancio di granate, nell’uso di esplosivi, in sparatorie e aggressioni. 

Il portavoce ha negato pure che l’ISA abbia utilizzato l’isolamento come tecnica di interrogatorio o come forma coercitiva per strappare confessioni dai minori. “Ci sono determinati casi in cui l’interrogato verrà tenuto da solo per un paio di giorni al massimo, per evitare che le informazioni in suo (di lui o di lei) possesso vengano fatte trapelare ad altri attivisti terroristi detenuti nella stessa struttura carceraria, la qual cosa potrebbe compromettere l’interrogatorio del sospetto. Si noti che anche in questi casi, l’interrogato non viene tenuto in isolamento assoluto, ma ha il diritto di incontrare i rappresentanti della Croce Rossa, il personale medico, ecc.” 

Inoltre, il portavoce ha respinto l’idea che il dichiararsi colpevole risulti essere la più veloce via d’uscita dal sistema per un imputato, ritenendo l’accusa “fuorviante, distorta e premessa di informazioni non esatte.”
”Se un imputato minore sceglie di dichiararsi ‘non colpevole’ e contestare le prove della pubblica accusa portando a termine l’intero processo e impostando in buona fede una difesa, i tribunali militari, nella stragrande maggioranza dei casi, svolgono le udienze in modo molto efficiente, talvolta anche nell’ambito di poche settimane.” 

Tuttavia, da quando sono usciti i rapporti del DCI e del Regno Unito, “non c’è alcun cambiamento sostanziale sul terreno”, ha confessato Horton. “La risposta da parte della autorità israeliane è stata quella di dare inizio a colloqui sul come apportare alcune modifiche per revisionare gli ordini militari.” Ma quando si considerano i particolari, i cambiamenti sono di poca cosa”. 

“In realtà, quello che vediamo è un’annessione di fatto di gran parte della West Bank; non si tratta di un’occupazione militare temporanea”, ha concluso. “I tribunali militari sono parte integrante di questo processo utilizzato per controllare la popolazione.” 

(tradotto da mariano mingarelli)