Un secolo di lotta al sionismo: voci di dissidenti ebrei

Allan C. Brownfeld su Lincoln Review, rivista trimestrale dell'American Council for Judaism. https://www.wrmea.org/middle-east-books-and-more/wrestling-with-zionism-jewish-voices-of-dissent.html

Il sionismo, molti ora lo dimenticano, ha sempre costituito una posizione minoritaria tra gli ebrei. Quando Theodor Herzl organizzò il movimento sionista nel 19° secolo, incontrò un'aspra opposizione da parte dei leader ebrei di tutto il mondo. Il rabbino capo di Vienna, Moritz Gudemann, denunciò il rischio che intravedeva di un nazionalismo ebraico. "La fede in un solo Dio era il fattore unificante per gli ebrei", dichiarò, e il sionismo era "incompatibile con gli insegnamenti del giudaismo".

Nel 1885, i rabbini riformati americani, riuniti a Pittsburg, rifiutarono il nazionalismo di qualsiasi tipo e dichiararono: "Non ci consideriamo una nazione ma una comunità religiosa, e quindi non ci aspettiamo né un ritorno in Palestina ... né il ripristino di alcuna legge riguardante uno stato ebraico".

Fu solo l'avvento di Hitler e dell'Olocausto a convincere molti ebrei che uno stato ebraico era necessario. Molti ora stanno arrivando alla conclusione che questo è stato davvero un errore e una violazione dei valori morali ed etici ebraici.

In un importante libro, pubblicato nel settembre 2020, Daphna Levit(1) amplifica le voci di 21 pensatori ebrei e israeliani: studiosi, teologi, giornalisti e attivisti che si confrontano col sionismo su basi religiose, culturali, etiche e filosofiche. Il libro riunisce una serie di punti di vista in un'unico excursus storico, a partire dalla fine del 19° secolo, molto prima della fondazione dello Stato di Israele. Tra coloro di cui parla ci sono Theodor Herzl, Albert Einstein, Martin Buber, Hannah Arendt, Noam Chomsky e israeliani dissenzienti come Yeshayahu Leibowitz, Zeev Sternhell, Shlomo Sand e Ilan Pappe.

Levit è una israeliana che ora vive e insegna in Canada. Fu ufficiale dell’esercito israeliano e progressivamente è arrivata a capire che la narrativa israeliana degli eventi era contraria alla storia. Ha visto con i propri occhi il maltrattamento quotidiano dei palestinesi nei territori occupati. Scrive: "Il mio lungo processo di disillusione nei confronti della narrativa sionista e la ricerca di altre voci dissenzienti è iniziato subito dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, quando ero ufficiale per i rapporti con la stampa al ponte Allenby e ho visto i rifugiati palestinesi che tentavano di fuggire attraverso il confine. La separazione dal mio paese è stata graduale e ha richiesto diversi decenni. Nel 2002 ho lasciato Israele per il Canada, in quanto la politica sionista stava diventando sempre più aggressiva ed intollerante nei confronti del dissenso.”

Uno stato "ebraico", questa era l’idea di Levit, avrebbe dovuto essere "una luce per le nazioni". Invece, sottolinea, è diventato qualcosa di molto diverso. “Invece, siamo diventati una potenza militare, armati fino ai denti e ciechi di fronte alle vittime della nostra stessa crudeltà. Ho trovato altri spiriti liberi, forse più illuminati di me, nella mia ricerca di assoluzione dalla colpa della mia complicità nelle azioni del mio paese ".

Le voci che ha raccolto sono davvero eloquenti, mentre cercano di mantenere la tradizione morale ed etica ebraica di fronte agli eccessi a cui conduce il nazionalismo. Fin dall'inizio, lo slogan del sionismo "Una terra senza popolo per un popolo senza terra" è stato confutato dai primi coloni sionisti in Palestina, che hanno scoperto che la terra era popolata da persone che erano lì da molte generazioni. Asher Ginsberg, un sionista "culturale" di origine russa, criticò la mancanza di nefesh o spirito ebraico da parte di Herzl. Scrisse sotto lo pseudonimo di Ahad Ha'am, che letteralmente significa "una delle persone". Nel 1891, dopo la sua prima visita in Palestina, scrisse che la terra non era deserta, che la sua gente non era selvaggia e la superiorità morale degli ebrei era ingiustificata, che gli ebrei in Palestina si stavano comportando in modo ostile e crudele nei confronti della popolazione nativa.

Levit esamina il pensiero di un'ampia varietà di critici ebrei e israeliani del sionismo. Nel 1938, con riferimento al nazismo, Albert Einstein mise in guardia un pubblico di attivisti sionisti contro la “tentazione di creare uno stato intriso di un nazionalismo ristretto, tentaziome che è all'interno delle nostre stesse file".

Un altro eminente ebreo tedesco, il filosofo Martin Buber, si espresse nel 1942 contro "l'obiettivo della minoranza di 'conquistare' il territorio per mezzo di manovre internazionali". Da Gerusalemme, nel mezzo delle ostilità che scoppiarono dopo che Israele dichiarò unilateralmente l'indipendenza nel maggio 1948, Buber gridò disperato: "Questa sorta di 'sionismo' bestemmia il nome di Sion, non è altro che una delle forme rozze del nazionalismo. "

Un capitolo è dedicato a Yeshayahu Leibowitz, ebreo ortodosso e professore di lunga data all'Università ebraica. Dice che nessuna nazione o stato dovrebbe mai essere adorato come santo e ha sostenuto la separazione tra religione e stato. Vedeva l'occupazione della terra palestinese come un abominio che stava corrompendo l'anima di Israele. Non voleva che il giudaismo servisse da "copertura per la nudità del nazionalismo". Né voleva che fosse "usato per dotare il nazionalismo con l'aura di santità attribuita al servizio di Dio". Il rispetto per lo Stato di Israele come terra santa era inaccettabile, una forma di idolatria. Nella comprensione di Leibowitz del giudaismo, nessun pezzo di terra potrebbe essere santo, né potrebbe alcuna nazione o stato. Solo Dio è santo e solo il Suo imperativo è assoluto.

Un altro capitolo è dedicato a Zeev Sternhell, che è stato capo del dipartimento di scienze politiche all'Università ebraica ed esperto ampiamente riconosciuto di fascismo. Ha scritto un articolo nel 2018 dal titolo "In Israele, il crescente fascismo e un razzismo simile al nazismo iniziale". Sternhell chiede: “come interpreterebbe uno storico tra 50 o 100 anni ... il nostro periodo? Quand'è che lo stato si è trasformato in una vera mostruosità per i suoi abitanti non ebrei? Quando è che gli israeliani cominciarono a capire che la loro crudeltà e capacità di dominare gli altri, palestinesi o africani, iniziò a erodere la legittimità morale della loro esistenza come entità sovrana?"

Shlomo Sand, professore emerito di storia all'Università di Tel Aviv ed ora in UK, ritiene che la società ebraica in Israele sia diventata intollerabilmente etnocentrica e razzista. Gli ebrei in Israele oggi hanno privilegi maggiori rispetto ad altri che vivono nello stesso paese. Anche gli ebrei che vivono al di fuori di Israele, osserva, che non hanno mai messo piede in Israele, hanno più diritti e privilegi all'interno di Israele rispetto agli israeliani non ebrei.

C'è molto in questo libro sui "Nuovi storici" di Israele, che hanno denunciato la campagna di pulizia etnica per liberare il paese dai suoi abitanti palestinesi. Nel suo libro “The Ethnic Cleansing of Palestine”, Ilan Pappe scrive che il problema della popolazione era già stato riconosciuto come una questione importante dai primi sionisti alla fine del XIX secolo. Già nel 1895, Herzl propose una soluzione: "Cercheremo di espellere la popolazione povera attraverso il confine in modo da non suscitare scalpore". E nel 1947, David Ben-Gurion riaffermò il principio di fondo: "Non può esserci uno stato ebraico forte fintanto che ha una maggioranza ebraica di solo il 60%". Nel 2003, Benyamin Netanyahu ha riaffermato questa posizione affermando: "Se gli arabi in Israele formano il 40% della popolazione, questa è la fine dello stato ebraico ... ma anche il 20% è un problema ... Lo stato ha il diritto di assumere misure estreme."

Levit osserva che: "Questo libro non intende essere una storia completa di opposizione al fallimento morale del nazionalismo ebraico perché ciò richiederebbe un lavoro molto più lungo". Ciò che il libro fa è presentare al lettore un gran numero di importanti critici ebrei del sionismo, persone che o cercano di salvaguardare la tradizione ebraica umanitaria, che crede che gli uomini e le donne di ogni razza e nazione siano creati a immagine di Dio e meritino essere trattati allo stesso modo. Mentre Israele si muove nella sua attuale direzione, è probabile che il numero di dissidenti ebrei aumenti notevolmente.

Daphna Levit

da: Steve France https://mondoweiss.net/2020/12/the-land-will-sink-beneath-your-feet-a-century-of-jews-wrestling-with-zionism/

Hannah Arendt non diede tregua al sionismo.

Arendt, morta nel 1975, fornisce l'analisi più profonda dell'incoerenza del sionismo e la conseguente certezza, prima o poi, del suo crollo. E di conseguenza fu - e rimane tuttora – il personaggio di cui meno gli israeliani vogliono palare.

Arendt era interessata a comprendere i fatti della storia ebraica europea in relazione ai non ebrei tra i quali vivevano, specialmente i tedeschi. Si dedicò a tale compito con un atteggiamento rigoroso, sebbene sia stato il terribile culmine dell'antisemitismo nella sua nativa Germania che la spinse ad affrontare l'argomento ea cercare le cause storiche esatte dell'antipatia verso gli ebrei. Non scusando in alcun modo l'odio, Arendt rilevò l'importanza del fatto che degli ebrei spesso si mantenevano separano moralmente, culturalmente e linguisticamente, dice Levit, "al fine di preservare la loro identità, per non farsi influenzare dall’esterno". Più precisamente, secondo Levit, Arendt ha riconosciuto la "tradizione ebraica di un antagonismo spesso violento con cristiani e gentili".

La "scomunica virtuale in Israele" di Arendt

Niente di tutto questo piacque ai sionisti, ma furono le corrispondenze di Arendt sul New Yorker sul processo a Gerusalemme del protagonista nazista dell'Olocausto Adolph Eichmann nel 1961 che portò a quella che Levit chiama la "scomunica virtuale in Israele" di Arendt. Le sue corrispondenze, e successivamente il libro che ne derivò (“La banalità del Male”)criticavano gli aspetti propagandistici del "processo farsa" del procedimento e si addentravano sulla cooperazione immorale di alcuni leader ebrei con la "soluzione finale" dei nazisti.

La bestemmia della Arendt contro i sacrosanti principi del sionismo è illustrata nel racconto del suo litigio con il suo vecchio amico Gershom Scholem, un eminente studioso israeliano di misticismo ebraico. Scholem la accusò pubblicamente di non amare il popolo ebraico. E lei rispose: "Hai perfettamente ragione - non sono mossa da nessun 'amore' di questo tipo. ... Non ho mai "amato" in vita mia nessun popolo o collettività, né il popolo tedesco, né i francesi, né gli americani, né la classe operaia o qualcosa del genere. Amo davvero "solo" i miei amici, e l'unico tipo di amore che conosco e in cui credo è l'amore delle persone. ... Non amo gli ebrei, né credo in loro: semplicemente appartengo a loro come una cosa ovvia, al di là di ogni controversia o discussione."

Quando l'icona sionista Golda Meir disse ad Arendt che lei, Golda, non credeva in Dio ma nel popolo ebraico, Arendt, una atea, rispose seccamente che la grandezza del popolo ebraico proveniva dall'essere un popolo che credeva in Dio. Il suo libro del 1963, "Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil", non è stato tradotto in ebraico per 36 anni.

Honig-Parnass dal Palmach all'antisionismo

Honig-Parnass era nata durante il Mandato britannico sulla Palestine. Lei, come Arendt, insiste categoricamente nel considerare il popolo ebraico non più importante degli altri, in particolare i palestinesi. A differenza di Arendt lei, come tutta la generazione del '48, aveva subìto, secondo le sue parole, la "lavatura del cervello" per portare a termine la "distruzione colonialista, nazionalista, tribale, ipocrita" degli abitanti indigeni, al di fuori di qualsiasi considerazione dei diritti umani. Il giorno dopo che le Nazioni Unite approvarono un piano per dividere la Palestina del mandato, nel 1947, Honig-Parnass lasciò l'università per unirsi alla guerra contro i palestinesi, prestando servizio in un'unità di Palmach che ripulì etnicamente diversi villaggi.

Dopo la guerra, divenne socialista e iniziò ad allontanarsi dal sionismo, che arrivò a chiamare una versione del "socialismo nazionalista". Nel 1960 fu antisionista e co-fondatrice del piccolo ma combattivo partito antisionista Matzpen. Il suo scritto, "Falsi Profeti di Pace" (2011), espone senza mezzi termini la vacuità del sionismo liberale. Ma il suo lavoro più importante è forse quello pubblicato nel 1998 "Riflessioni di una figlia della Generazione del ‘48" pubblicato sul giornale socialista Against the Current(Contocorrente). In esso descrive la "disumanizzazione avanzata" della sua mente sottoposta al lavaggio del cervello durante la Nakba. L'articolo cita una lettera agghiacciante che scrisse a sua madre nell'ottobre 1948. La lettera pone il problema che vede degli ebrei "che non sanno fare i conquistatori". La giovane donna che partecipa alla pulizia etniche racconta a sua madre di due americani, reduci della seconda guerra mondiale, nella sua unità: "[Q] quando videro bbero le donne e i bambini arabi tornare ai loro villaggi affamati di pane, si commossero ed ne ebbero pietà, e la sera poi si misero a gridare che se questo nuovo stato non sapeva prendersi cura dei suoi abitanti arabi, allora non aveva diritto di esistere. … Questa America, con tutti i suoi sionisti idealisti, a volte dà sui nervi. Il loro intero approccio filantropico alla vita e al mondo va espresso anche nel loro atteggiamento nei confronti del sionismo ". Essi cioè, non avevano capito che era proprio la pulizia etnica lo scopo di quel che stavamo facendo.

(1)Daphna Levit è stata professore di economia e finanza alle università di Tel Aviv e Gerusalemme, è stata attiva in gruppi pacifisti quali Gush Shalom, B’tselem, Windows, Physicians for Human Rights, Makhsom Watch, Ta’ayush

Traduzioni a cura di Associazione di Amicizia Italo.Palestinese