La campagna per abolire l’UNRWA

di Peter Beinart, da Jewish Currents, 15/2/2024 https://jewishcurrents.org/the-campaign-to-abolish-unrwa

Il recente taglio dei fondi all’agenzia umanitaria fa parte di un tentativo in atto da tempo per cancellare le aspirazioni di ritorno dei rifugiati palestinesi.

NdR:   A seguito di osservazioni giunte a questa Redazione riguardo ai contenuti dell’articolo pubblicato nelle scorse settimane dal titolo Cosa c'è dietro le sanzioni contro i coloni israeliani e l'UNRWA https://www.amiciziaitalo-palestinese.org/index.php?option=com_content&view=article&id=7675:cosa-c-e-dietro-le-sanzioni-contro-i-coloni-israeliani-e-l-unrwa&catid=27&Itemid=78  pubblichiamo ora un secondo articolo sulla questione UNRWA.  Mentre il primo articolo -meno preoccupato per le sorti dell’UNWRA- era a cura di The Forward, espressione di J-Street organizzazione liberal statunitense, il secondo articolo -quello di oggi-  è pubblicato da Jewish Currents e ne è autore Peter Beinart, esponente di JVP, Jewish Voice fon Peace, organizzazione della sinistra ebraica che è stata promotrice delle imponenti manifestazioni in USA contro il genocidio in atto a Gaza e in Palestina. Il lettore potrà rimarcare la differenza tra i due diversi punti di vista sulla questione, riflesso dei diversi orientamenti politici di J-Street e di JVP

L’AGENZIA DI SOCCORSO E LAVORO DELLE NAZIONI UNITE (UNRWA), che ha fornito istruzione, assistenza sanitaria e altri servizi essenziali ai rifugiati palestinesi dal 1949, potrebbe presto scomparire. Nelle ultime settimane, gli Stati Uniti e almeno altri 18 paesi hanno sospeso gli aiuti all’agenzia, che opera nella Striscia di Gaza, in Cisgiordania, Gerusalemme Est, Giordania, Libano e Siria, dando assistenza ad oltre cinque milioni di persone. La Camera e il Senato stanno entrambi prendendo in considerazione una legge per impedire agli Stati Uniti – che sono il principale donatore dell’UNRWA – di riprendere tali finanziamenti. Funzionari dell'UNRWA hanno affermato che se i finanziamenti non verranno ripristinati, l'organizzazione probabilmente interromperà le operazioni già alla fine di questo mese.

L’attuale tentativo di abolire l’UNRWA risale alla fine di gennaio, quando Israele ha affermato che 12 membri dello staff dell’agenzia hanno preso parte al massacro del 7 ottobre e che circa 1.200 dipendenti – il 10% della forza lavoro dell’UNRWA a Gaza – hanno legami con Hamas o altri gruppi. Ma è da almeno un decennio che Israele e i suoi sostenitori negli Stati Uniti cercano di indebolire l’agenzia.

Nel 2018, quando alcune e-mail trapelate rivelarono che Jared Kushner, genero e consigliere dell’allora presidente Donald Trump, stava tentando di “interrompere le attività UNRWA” perché l’agenzia “perpetua lo status quo” ed “è corrotta, inefficiente e non aiuta pace”, diversi gruppi ebraici tradizionali elogiarono gli sforzi di Kushner. La Conferenza dei presidenti delle principali organizzazioni ebraiche americane dichiarò che l’UNRWA “non è la risposta” ai bisogni umanitari dei palestinesi. (L’amministrazione Trump successivamente tagliò gli aiuti statunitensi all’UNRWA; Joe Biden ha ripristinato i finanziamenti subito dopo essere entrato in carica.)

Nel 2021, l’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, Gilad Erdan, dichiarò che “questa agenzia delle Nazioni Unite per i cosiddetti ‘rifugiati’ non dovrebbe esistere nella sua forma attuale”. Questa campagna in atto da tempo contro l’UNRWA riflette il modo che sta alla base del discorso politico israeliano: la tendenza a considerare i palestinesi non come un popolo con le proprie opinioni e aspirazioni politiche, ma come marionette manovrate da qualcun altro. Per più di 40 anni nessuno ha illustrato questa tendenza meglio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Ancor prima di candidarsi a una carica elettiva, in un’intervista del 1982 con l’emittente cristiana Pat Robertson, Netanyahu si riferì all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) come al “capo procuratore” dell’Unione Sovietica. Quando l’Unione Sovietica cadde ma non l’OLP, Netanyahu passò a definire l’OLP uno strumento dei regimi arabi ostili, descrivendola nel suo libro del 2000, Una pace durevole, come un “cavallo di Troia panarabo”. Confermando questa logica nel 2018, sostenne che la pace con i governi arabi renderebbe banale il problema palestinese. “Normalizzate le relazioni con il 99% degli arabi”, ha spiegato, “e alla fine otterrete la pace con l’1%”. Oggi Netanyahu definisce regolarmente Hamas un “procuratore iraniano”, anche se Hamas si è contrapposta a Teheran sostenendo la ribellione contro il dittatore siriano Bashar Assad. Nella sua biografia del primo ministro del 2018, l’editorialista di Haaretz Anshel Pfeffer scrive che “Netanyahu ha sempre sostenuto che la questione palestinese è un diversivo, non un problema centrale nella regione”.

L’UNRWA è ancora un altro spauracchio che consente a Netanyahu e ai suoi sostenitori di affermare che i problemi di Israele con i palestinesi non derivino principalmente dalle reazioni dei palestinesi all’oppressione israeliana, ma da qualche forza esterna. I leader israeliani e i loro alleati all’estero muovono due accuse principali contro l’UNRWA. Il primo è che fomenta la resistenza violenta tra i palestinesi; la seconda è che incoraggia il sogno di ritornare nelle terre natali. In entrambi i casi, Netanyahu e i suoi simili interpretano il nesso di causalità al contrario, incolpando l’UNRWA per aspetti della politica palestinese che derivano dallo status fondamentale dei palestinesi come rifugiati – proprio il problema dell’esproprio per cui l’UNRWA esiste.

NETANYAHU SOSTIENE che, poiché l’UNRWA è stata infiltrata da Hamas, sbarazzarsi dell’organizzazione e trasferire le sue funzioni ad “altre agenzie delle Nazioni Unite e altre agenzie umanitarie” renderà Israele più sicuro. Ma anche se le accuse di Israele contro l’UNRWA fossero vere – cosa difficile da accertare, perché pochi giornalisti, se non nessuno, hanno visto le prove – non è chiaro perché sostituire l’UNRWA migliorerebbe la sicurezza israeliana. Qualsiasi agenzia umanitaria che opera a Gaza sceglierebbe la maggior parte del suo personale tra gli abitanti di Gaza, come fa l’UNRWA. Ciò significa assumere personale da una popolazione composta in gran parte da famiglie che nel 1948 furono espulse, o fuggite per paura, da quello che oggi è Israele , in quella che i palestinesi chiamano la Nakba. Da allora i palestinesi di Gaza hanno cercato di ritornare, a volte in modo violento e a volte in modo non violento. Per evitare ciò, Israele ha invaso e bombardato Gaza fin dagli anni ’50. Occupa la Striscia dal 1967 e, dopo aver ritirato l’esercito e gli insediamenti nel 2005, tiene la regione sotto blocco dal 2007, con l’aiuto dell’Egitto, creando quella che Human Rights Watch definisce “una prigione a cielo aperto”.

Dal 7 ottobre, Israele ha ucciso quasi 30.000 palestinesi a Gaza e ne ha sfollati il ??90% dalle proprie case. Considerata la quantità di violenza che Israele ha inflitto ai palestinesi di Gaza, non sorprende affatto che molti abitanti della Striscia considerino che i palestinesi abbiano il diritto di ricorrere alla violenza. Ciò non giustifica gli attacchi palestinesi contro i civili israeliani. Ma ciò significa che ci sono poche ragioni per credere che una diversa agenzia si dimostrerebbe più efficace di quanto lo è stata l’UNRWA nell’isolare la propria forza lavoro dai gruppi armati.

Questo problema non riguarda solo Gaza. Come hanno notato  accademici di ogni tendenza, i rifugiati spesso sostengono la resistenza armata contro gli stati che li hanno sfollati. E come ha recentemente riconosciuto Patrick Kingsley, capo dell’ufficio di Gerusalemme del New York Times, “qualsiasi operatore umanitario esperto ti dirà che è una sfida costante mantenere l’indipendenza da qualsiasi gruppo armato o gruppo ribelle, sia nel Sud Sudan che nel nord dello Sri Lanka”. L’UNRWA ha messo in atto pratiche per affrontare questo problema. Secondo il direttore dell'UNRWA a Washington, William Deere, l'agenzia fornisce ogni anno a Israele i nomi, il numero dei dipendenti e le funzioni di tutti i suoi dipendenti a Gaza, a Gerusalemme est e in Cisgiordania, e due volte l'anno li confronta con l'elenco delle sanzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Da quando Israele ha formulato le sue accuse, l’UNRWA ha licenziato nove dei 12 dipendenti accusati di aver partecipato agli attacchi del 7 ottobre, anche senza vedere prove a sostegno delle accuse (due sono morti e uno è ancora in fase di identificazione), e l’ONU ha avviato due indagini sulle accuse specifiche e la condotta generale dell'UNRWA, che potrebbe produrre raccomandazioni per ulteriori misure di sicurezza. Considerato tutto ciò, ci sono poche ragioni per credere che un’agenzia diversa si dimostrerebbe più efficace di quanto lo è stata l’UNRWA nell’isolare la propria forza lavoro dai gruppi armati.  Infatti, poiché nessun’altra agenzia avrebbe la capacità di offrire i servizi forniti dall’UNRWA, la sua sostituzione aggraverebbe la già terribile crisi umanitaria a Gaza, e quindi probabilmente aumenterebbe i livelli di radicalizzazione.

L’altra affermazione centrale di Netanyahu e dei suoi alleati contro l’UNRWA è che essa alimenta il sogno palestinese di un ritorno dei rifugiati, che Israele cerca di reprimere da decenni. Fedele a se stesso, Netanyahu ha sempre individuato il problema non primariamente negli stessi palestinesi, ma negli attori esterni accusati di controllarli. Nel suo libro “Una Pace Durevole”, Netanyahu lamenta il “coerente rifiuto dei leader arabi di risolvere questo problema” e li critica per aver “manipolato la questione dei rifugiati al fine di offrire argomenti ad una censura mondiale contro Israele”. Più recentemente, forse perché le relazioni di Israele con i principali governi arabi sono migliorate, Netanyahu ha reindirizzato la sua ira verso l’UNRWA. Nel 2018, ha chiesto l’abolizione dell’agenzia perché “perpetua il problema dei rifugiati palestinesi”. Ha ripreso quell’appello alla fine del mese scorso quando ha accusato l’agenzia di avere “il desiderio di mantenere viva la questione dei rifugiati palestinesi”.

Solo che, come nel caso dell’infiltrazione di gruppi armati, Netanyahu affronta la questione al contrario. L’UNRWA non spinge i rifugiati palestinesi a voler ritornare; è perché i rifugiati palestinesi vogliono tornare, e hanno il diritto di farlo secondo il diritto internazionale, che l’UNRWA esiste. Abolirlo non priverebbe i palestinesi del loro diritto al ritorno, che deriva non dall’UNRWA, ma dalla Risoluzione 194 delle Nazioni Unite, che dichiarò nel 1948 che “ai rifugiati che desiderano tornare alle loro case e vivere in pace con i loro vicini deve essere consentito di farlo nel più breve tempo possibile”, posizione che è stata riaffermata dalle Nazioni Unite più di 100 volte. Ciò non impedirebbe ai palestinesi di trasmettere lo status di rifugiato ai propri figli poiché, come spiegano le Nazioni Unite, “Secondo il diritto internazionale e il principio dell’unità familiare, anche i figli dei rifugiati e i loro discendenti sono considerati rifugiati finché non si trova una soluzione duratura. "

Questo principio governa non solo l’UNRWA ma anche l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), l’organismo più spesso proposto come sostituto dell’UNRWA, che supervisiona molteplici generazioni di rifugiati dall’Afghanistan alla Somalia al Tibet. Sebbene i sostenitori di Israele immaginino che il trasferimento dei rifugiati palestinesi sotto la supervisione dell’UNHCR significherebbe il loro reinsediamento nei paesi vicini, ciò è estremamente raro che possa verificarsi. I rifugiati dell’UNHCR hanno molte più probabilità di ritornare nel paese da cui sono fuggiti o da cui sono stati espulsi – esattamente il risultato che Netanyahu e i suoi sostenitori cercano di impedire.

Ma al di là di tutto ciò, l’abolizione dell’UNRWA non estinguerebbe il desiderio palestinese di tornare perché quel desiderio è fondamentale per ciò che significa essere palestinese. Nelle parole dell’accademico palestinese Yusuf Jabarin, “la società palestinese è stata totalmente sconfitta sul piano territoriale; non le è rimasto nemmeno un centimetro quadrato. L’unico spazio di opposizione che gli è rimasto è quello virtuale: la memoria collettiva”. I palestinesi coltivano questa memoria collettiva in molti modi. La politologa Leila Khalili ha notato che i palestinesi a volte chiamano le loro figlie con il nome dei villaggi perduti. L’archivista palestinese Tarek Bakri descrive come “ogni palestinese che visita il suo villaggio o la sua terra per la prima volta, porta con sé della terra”. Nel marzo 2018, 70 anni dopo la Nakba, decine di migliaia di palestinesi hanno iniziato a marciare ogni venerdì verso il confine di Gaza con Israele nella Grande Marcia del Ritorno, e hanno continuato a marciare per più di un anno anche se i tiratori scelti e gli operatori di droni israeliani hanno ucciso più di 200 persone e ferite più di 36.000. L’UNRWA non ha indotto i palestinesi a fare questo. Al contrario, come ha spiegato lo studioso Jalal Al Husseini, i palestinesi hanno ripetutamente resistito alle iniziative dell’UNRWA che consideravano mirate a reinsediarli nei paesi ospitanti, e hanno criticato l’agenzia per non essere sufficientemente impegnata nel loro ritorno.

L’incapacità dei leader ebrei israeliani e americani di cogliere questo desiderio è profondamente ironica. Hanno passato decenni a sostenere che i palestinesi abbandonerebbero il desiderio di tornare, rinnegherebbero la loro identità nazionale e diventerebbero libanesi, siriani o canadesi se solo i governi arabi o l’UNRWA smettessero di incoraggiarli a tornare a casa. Ma la stessa Dichiarazione di Indipendenza di Israele si vanta del fatto che “dopo essere stato esiliato con la forza dalla propria terra, il popolo mantenne fede ad essa durante tutta la sua Dispersione e non smise mai di pregare e sperare per il suo ritorno”. Il desiderio di un ritorno nazionale – non importa quanto tempo passa o quante difficoltà si sopportano – è centrale per il sionismo stesso.

Con i suoi alleati a Washington, Netanyahu potrebbe nei prossimi mesi riuscire a paralizzare o addirittura ad abolire l’UNRWA. Se lo farà, un numero maggiore di palestinesi morirà a causa delle ferite, del freddo, delle malattie o della fame, perché nessuna agenzia umanitaria potrà sostituire adeguatamente l’UNRWA. Come ha recentemente spiegato Jan Egland, segretario generale del Consiglio norvegese per i rifugiati: “Tutti noi messi insieme,o altri gruppi, non siamo nemmeno vicini ad essere ciò che l’UNRWA è per la popolazione di Gaza”. Ma anche se Netanyahu e i suoi alleati riuscissero a distruggere l’UNRWA, faranno pochi progressi nel loro costante obiettivo di distruggere il desiderio dei palestinesi di ricostituirsi come nazione nella loro terra ancestrale, perché quel desiderio non ha mai richiesto il permesso degli altri.

Traduzione a cura di Claudio Lombardi, Associazione di Amicizia Italo Palestinese